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L'olivicoltura andalusa ha bisogno di una ristrutturazione urgente
Nel medio periodo gli studiosi spagnoli vendono un abbassamento delle quotazioni dell'olio d'oliva, fatto che manderebbe fuori mercato la maggior parte dei produttori con oliveti tradizionali in Andalusia
15 luglio 2016 | T N
L'olivicoltura tradizionale andalusa, quella con meno di 300 alberi ad ettaro, che ancora costituisce il bacino produttivo più importante della regione spagnola potrebbe presto ritrovarsi fuori mercato.
E' quanto sostiene in un suo studio Macario Rodriguez del Dipartimento di economia agraria e sociologia dell'Ifapa Almeda del Obispo.
Nel report il ricercatore iberico sostiene che senza aiuti diretti dell'Unione europea la maggior parte dell'olivicoltura tradizionale andalusa andrebbe in perdita.
In particolare la situazione di difficoltà dell'Andalusia si verifica nel caso di quotazioni basse, 2 euro al chilo di media, e di annate olearie di scarica.
Lo scenario invece migliora se consideriamo campagne produttive medie e un prezzo dell'olio di 3 euro/kg o superiore.
Senza gli aiuti diretti alla produzione le aziende tradizionali, insomma, andrebbero incontro a perdite quasi costanti, con un reddito negativo.
Al contrario i sistemi colturali intensivi, con più di 400 piante ad ettaro, mostrano buone performance sia nel caso di annate come quella del 2016 (quotazioni elevate e produzione media) sia come quella del 2014 (record produttivo e prezzi bassi).
La ricerca spagnola ha poi sottolineato come gli oliveti collinari e su pendenze accentuate, quindi con scarsa possibilità di meccanizzazione, non sono mai redditizi, neanche tenendo conto dell'aiuto alla produzione.
Secondo Rodriguez, quindi, è necessario che il governo prenda in seria considerazione un programma di conversione dell'oliveto andaluso. In quest'ottica un'importante leva di innovazione potrebbe essere il PSR che permette la riqualificazione degli oliveti.
Il costo di ammodernamento delle imprese è però molto elevato, tanto da richiedere qualche forma di aggregazione per poterlo sostenere. Rodriguez suggerisce che siano le cooperative a farsi carico dell'aggregazione tra produttori che hanno progetti simili di ristrutturazione.
A livello ambientale, poi, il governo dovrebbe creare una mappatura che stabilisca le zone vulnerabili, separandole, anche per l'utilizzo di politiche specifiche, a quei territori adatti all'olivicoltura intensiva e irrigua.