Mondo

IL VINO E' ORGOGLIO E DENARO. MAI COME ORA LA SUA IDENTITA' E' STATA SERIAMENTE COMPROMESSA

L'accoppiata Dvd con libro al seguito è una iniziativa dell'editore Feltrinelli. Il film "Mondovino" è giunto alla ribalta della cronaca per una denuncia disperata rivolta a chi ancora in questo settore ci crede fermamente. Ecco le aziende, le biografie dei personaggi e un'intervista al regista Jonathan Nossiter

25 giugno 2005 | T N

Il vino è stato un simbolo della civiltà occidentale per migliaia di anni ma, mai come ora, la lotta per la sua identità è stata così disperata. Mai sono stati messi in gioco così tanti soldi e tanto orgoglio. Gli schieramenti non sono, però, quelli che si potrebbero immaginare: i proprietari locali contro le multinazionali, i semplici contadini contro i potenti capitani d’industria. Nel mondo del vino non si tratta mai dei soliti sospetti…

Il film
Attraverso tre continenti l'intreccio delle saghe familiari dei broker milionari della Napa Valley, con la rivalità di due aristocratiche dinastie fiorentine e gli sforzi di tre generazioni di una famiglia per mantenere la propria tenuta di pochi acri in Borgogna. Il clamore di queste lotte viene, però, superato dagli allegri traffici di un pirata dispettoso di Bordeaux, mentre diffonde il vangelo della modernità dall’Italia, all’Argentina, fino a New York. Durata film 132 minuti, con l'extra "In viaggio con Jonathan Nossiter" di 31 minuti.



Jonathan Nossiter, Mondovino, collana "Real cinema"; Feltrinelli, euro 19,00


Approfondimento: personaggi in ordine di apparizione

YVONNE HEGOBURU
produttore di vino, Jurançon, Francia

BATTISTA & LINA COLUMBU
produttori di vino, Sardegna, Italia

MICHEL ROLLAND
consulente enologo, Pomerol, Bordeaux, Francia

AIMÉ GUIBERT
produttore di vino, "Mas de Daumas-Gassac" Aniane, Francia

FAMIGLIA MONDAVI
azionisti della Robert Mondavi Winery, Napa, California, USA
Robert, padre fondatore – Margrit, sua seconda moglie – Michael, figlio maggiore e amministratore
Tim, figlio minore, amministratore e direttore tecnico

FAMIGLIA DE MONTILLE
produttori di vino, Volnay, Borgogna, Francia
Hubert, padre – Étienne, figlio – Alex, figlia, ex-vinificatrice in una sussidiaria Boisset

BILL HARLAN
agente immobiliare, proprietario Harlan Estate, Napa, California, USA

PATRICK LÉON
amministratore e direttore tecnico Château Mouton-Rothschild, Bordeaux, Francia

XAVIER DE EIZAGUIRRE
amministratore e direttore marketing Château Mouton-Rothschild, Bordeaux, Francia

NEAL ROSENTHAL
importatore di vini, New York, USA

MICHAEL BROADBENT
responsabile settore vini, Christie’s, Londra, Inghilterra

JEAN-LU THUNEVIN
fondatore di Château Valandraud, St-Emilion, Francia

JEAN-CHARLES BOISSET
direttore, Gruppo Boisset, Nuits-St-George, Francia

BERNARD MAGREZ
amministratore, William Pitters, Bordeaux, Francia

FAMIGLIA FRESCOBALDI
proprietari Frescobaldi Spa, Firenze, Italia
Marchesa Bona – Marchese Vittorio, suo marito e amministratore
Marchese Dino, fratello di Vittorio,
autore della storia di famiglia "I FRESCOBALDI Una famiglia fiorentina"

FAMIGLIA ANTINORI
proprietari Antinori Srl, Firenze, Italia
Piero, amministratore – Albiera e Allegra, figlie di Piero, responsabili marketing
Ludovico, fratello e fondatore della denominazione Ornellaia

SALVATORE FERRAGAMO
manager de "Il Borro", Toscana, Italia

JAMES SUCKLING
critico "Wine Spectator Magazine", Il Borro, Toscana, Italia

MASSIMO & PATRIZIA VINCI
proprietari enoteca, Volterra, Toscana, Italia

ISANETTE BIANCHETTI & INALDO TEDESCO
produttori di vino, Pernambuco, Brasile

FAMIGLIA ETCHART
proprietari terrieri, Denominazione San Pedro de Yacochuya, Cafayate, Argentina
Arnaldo x 3 = padre, figlio e nipote e Marco, figlio minore

ANTONIO CABEZAS
produttore di vino, Cafayate, Argentina

Biografie dei Personaggi

YVONNE HEGOBURU
"Quando morì mio marito piantai delle viti. Da allora, tutto questo amore dentro di me, lo do alle viti. Parlo con loro. Ho uno scambio con loro."

YVONNE HEGOBURU, 6,5 ETTARI,
APPELLATION JURANÇON (BÉARN, SUD EST, FRANCIA)
Yvonne piantò il suo vigneto nel 1986, dopo la morte del marito giornalista, in una terra dove si piantavano vigneti fin dal XVI secolo. Dal 1940 però, quando gli uomini partirono per la guerra in Germania o si unirono alla Resistenza, le viti furono lasciate morire. Yvonne, ora 77enne, si occupa in prima persona del vigneto. Cura i grappoli secondo i principi della agricoltura biologica, che esclude l’uso di sostanze chimiche, pesticidi o erbicidi.


BATTISTA COLUMBU
"Non dobbiamo essere distratti dalle illusioni del progresso, che potrebbero distruggere noi, distruggere la natura e portare sofferenze al prossimo. Qui in Sardegna abbiamo una cultura millenaria. Dovremmo vivere con tranquillità su questa terra: c’è abbastanza spazio per tutti."

BATTISTA & LINA COLUMBU, 1,5 ETTARI,
DENOMINAZIONE MALVASIA DI BOSA (SARDEGNA, ITALIA)
Poiché il podere di famiglia era troppo piccolo per sostenere anche una sola persona, Battista Columbu ha perseguito una carriera politica come membro del Partito Sardo. I Sardi dicono di lui che è l’unico politico locale che è andato in pensione vivendo nella stessa casa degli inizi della sua carriera.


MICHEL ROLLAND
ENOLOGO (POMEROL, FRANCIA)
Considerato il principale enologo al mondo, Rolland è senza dubbio il più influente ed il più costoso. Dal suo laboratorio a Pomerol è il consulente tecnico di più di 400 vini d.o.c. di Bordeaux. E’ il consulente di svariate aziende sparse in 12 paesi, tra cui i Mondavi, il Vigneto Staglin e Harlan Estate negli Stati Uniti e, in l’Argentina, la famiglia Etchart. E’ anche l’enologo di Bernard Magrez per le sue molte proprietà che vanno dal Bordeaux al Marocco, dall’Algeria al Portogallo, incluso un nuovo podere di Aniane in Languedoc. Michel Rolland è stato anche il primo enologo a produrre vino in India.


AIMÈ GUIBERT
"Il vino è morto. Che sia chiaro, il vino è morto. E non solo il vino. La frutta. Il formaggio…Il vino rappresenta un rapporto quasi religioso tra l’uomo e gli elementi naturali. Con l’immateriale. Ci vuole un poeta per fare un grande vino."

AIMÉ GUIBERT, 40 ETTARI,
APPELLATION MAS DE DAUMAS GASSAC (ANIANE, LANGUEDOC, FRANCIA)
Guibert fondò il podere Daumas Gassac nel 1979 ad Aniane, un villaggio di 2,400 abitanti, quando l’enologo di Bordeaux, Henri Enjalembert, scoprì la natura singolare del terreno. Guibert è considerato un pioniere del rinascimento della qualità della produzione del vino in Languedoc, anche da parte dei suoi avversari.


MICHAEL MONDAVI
"Vogliamo iniziare una dinastia. Tra dieci, quindici generazioni sarebbe fantastico vedere i nostri eredi fare il vino su un altro pianeta. Sarebbe divertente. Esaltami, Scotty, mandami del vino da Marte."

ROBERT MONDAVI,
AZIENDA VINICOLA (NAPA, CALIFORNIA)
Robert Mondavi, figlio di un impoverito immigrante marchigiano, fondò la Cantina Robert Mondavi nel 1966 e la trasformò in un’azienda da mezzo miliardo di dollari di fatturato annui. I Mondavi producono più di 100 milioni di bottiglie nel mondo, da Napa al Cile, dall’Australia alla Toscana.
Agli inizi degli anni 90 i suoi figli, Michael e Tim dirigono insieme l’azienda di famiglia e nel 1993 decidono di farla quotare in borsa. Recentemente, su richiesta dell’assemblea degli azionisti, la famiglia si è ritirata dalla guida della società.


HARLAN ESTATE, 20 ETTARI,
(NAPA, CALIFORNIA)
Dopo aver sviluppato con successo i suoi affari immobiliari nel Nord della California, Bill Harlan creò nel 1985 l’Harlan Estate. Nel 1994 il vino prodotto da Harlan ha ricevuto il massimo punteggio (100 punti) da Robert Parker. Nel 1998 Michel Rolland è diventato consulente di Harlan (tre anni dopo ha aggiunto anche gli Staglin nella lunga lista dei suoi clienti). Adesso è uno dei vini rossi più costosi e ricercati al mondo, il pioniere di quel genere di vini che la rivista Wine Spectator definisce "da culto".

VIGNETO FAMIGLIA STAGLIN, 18 ETTARI
(NAPA, CALIFORNIA)
Dopo aver prestato servizio come ufficiale nella Guerra del Vietnam, Garen Staglin è nell’entourage di Henry Kissinger durante i colloqui tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che conducono al SALT. In seguito fonda numerose compagnie di software nella Silicon Valley incluso One Global, dal valore di 200 milioni di dollari. Dal 1985 ha acquistato dei vigneti nella Napa Valley, dedicandosi alla produzione di vino.

GRUPPO BOISSET
(BORGOGNA, FRANCIA)
Fondato nel 1961 dall’allora diciottenne Jean-Claude Boisset, il Gruppo Boisset è cresciuto tanto da diventare il numero uno delle vendite in Borgogna ed il terzo in Francia. Il figlio di Boisset, Jean-Charles, ora al comando, ha esteso i suoi investimenti anche in ventures internazionali negli Stati Uniti, in Giappone ed in Canada.


CHATEAU MOUTON-ROTHCHILD
(PAUILLAC, B0RDEAUX, FRANCIA)
Un Bordeaux di 2nd Cru in base alla famosa classificazione del 1855, Château Mouton fu acquistato dal Barone Philippe de Rothschild nel 1922. Nel 1973, grazie alle conoscenze del barone, Mouton-Rothschild fu promosso allo status di 1er Grand Cru. Fu l’unico caso della storia in cui un Chateau di Bordeaux riuscì a cambiare status. Nel 1979, Mouton-Rothschild si alleò con Robert Mondavi per creare il primo vino californiano di lusso, Opus One. Dopo la morte di Philippe nel 1988, sua figlia Philippine de Rothschild ha preso in mano le redini dell’azienda.
Mounton-Rothschild è capeggiato da un direttorio di tre persone: Patrick Lèon, direttore tecnico; Xavier De Eizaguirre, direttore marketing; Pierre Guinchard, direttore finanziario.


JEAN-LUC THUNEVIN, VIGNERON, 6.5 ETTARI.
APPELLATION CHATEAU DE VALANDRAUD (SAINT-EMILION, FRANCIA)
Jean-Luc Thunevin comprò un piccolo appezzamento di terra non classificato a Saint-Emilion nel 1991 e lo nominò Chateau Valandraud. Fin dall’inizio lavorò con Michel Rolland e divenne il primo "garagiste" conosciuto, un termine coniato dal più influente difensore di Valandraud, Robert Parker, per descrivere i produttori di piccole quantità di costosi vini di alta qualità realizzati, a suo dire, con "viticolture radicali". Valandraud vende oggi il proprio vino a $300-$400 la bottiglia.


BERNARD MAGREZ, DIRETTORE GENERALE E FONDATORE,
WILLIAM PITTERS (BORDEAUX, FRANCIA)
Bernard Magrez fondò la William Pitters nel 1964. Approfittando del boom della distribuzione di massa nei supermercati in Francia, trasformò la sua piccola azienda di bibite in uno dei maggiori intermediari di vino di Bordeaux. In parallelo, ha sviluppato insieme a Michel Rolland, un’attività su più piccola scala di "garagiste" in Francia, Algeria, Marocco, Spagna e Argentina. Recentemente ha acquistato un terreno in un piccolo villaggio di Aniane in Languedoc, in joint-venture con Gèrard Depardieu come uomo immagine e l’ha chiamato "Les Clefs du Terroir."


HUBERT DE MONTILLE
"Dove ci sono vini c’è la civiltà. Non c’è la barbarie"

FAMIGLIA DE MONTILLE, 8 ETTARI
APPELLATION VOLNAY, RUGIENS, POMMARD. (BORGOGNA, FRANCIA)
Hubert, insieme alla moglie Christine, al figlio Etienne e alle due figlie Alix e Isabelle, coltiva 8 ettari di vigneti in Volnay e Pommard, Borgogna. Diventato avvocato a Dijon per incrementare il reddito del podere di famiglia, Hubert, dall’età di 20 anni, a partire dal raccolto del 1950, ha gestito il vigneto (inizialmente di soli 4 ettari). Dal 1991, Etienne lo ha affiancato alla guida della cantina, fino a diventare negli ultimi anni il responsabile della produzione di vino dell’azienda di famiglia. Alix ha lavorato come produttrice per Ropiteau, un grossisa legato al gruppo Boisset, finchè, nel 2003, non si è dimessa. Poiché il podere di famiglia è troppo esiguo per sostentare due famiglie, lei e suo fratello hanno creato insieme una nuova etichetta, comprando uva dai piccoli proprietari e producendo il loro vino.

ALIX I vini puttane vengono dritti da te.

HUBERT Sono vini imbroglioni.

ALIX Sono vini che ti vengono incontro e poi ti abbandonano.

HUBERT Ti abbandonano cosi!

ALIX Infatti sono vini "traditori"

HUBERT: Ma il mondo moderno c’è abituato. Questo mondo ama essere ingannato.


NEAL ROSENTHAL
"A Bordeaux il terroir c’è ma la stanno distruggendo. Stanno sopprimendo il loro terroir. Proprio come le nostre libertà vengono soppresse qui, negli Stati Uniti. La gente dice: "Bisogna essere patriottici, per cui bisogna rinunciare a delle libertà". Non discutiamo più di niente. Accettiamo e basta. E’ in corso una battaglia tra la resistenza e la collaborazione. Non è tra modernità e tradizione. Perché si può essere moderni rispettando la tradizione."

NEAL ROSENTHAL,
IMPORTATORE DI VINI (NEW YORK, USA)
Neal Rosenthal iniziò la sua attività nel 1970 aprendo un piccolo negozio di vini a Manhattan, vicino alla farmacia del padre. Gradualmente cominciò ad importare per conto suo i vini, rappresentando produttori artigianali francesi e italiani proprio come un editore, un gallerista o un produttore cinematografico lavora con un autore, artista, o regista. Negli anni si è affermato come uno dei principali importatori di vini europei di terroir.

MICHAEL BROADBENT RESPONSABILE VINI
CHRISTIE’S (LONDRA, INGHILTERRA)
Un maestro del vino. Autore e banditore, Michael Broadbent ha lavorato nel mercato del vino per più di 50 anni. A capo del dipartimento di vini a Christie’s dal 1966, autore di "Vintage Wine: 50 year of tasting the World’s Finest Wines" e di "How to Approach and Appreciate Wine". E’ considerato il miglior assaggiatore di vini al mondo.

SCHRODER & SCHRODER, NEGOZIATORI
(BORDEAUX, FRANCIA)
Fondata da due immigrati tedeschi nel 18esimo secolo, la Maison Schroder & Schroder è una delle più antiche compagnie di scambio di Bordeaux. Sopravvissuta a numerosi sconvolgimenti – inclusa la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche e l’occupazione tedesca del 1940 – è ora guidata da Jean-Henrì Schÿler, suo figlio Yann e sua nuora Marie. Oltre ad imbottigliare più di 15 milioni di vini all’anno, possiedono vari Chateaux di Bordeaux, incluso Chateau Kirwan (3em Cru) nel paese di Margaux. Michel Rolland è il loro consulente per Kirwan da alcuni anni.

ROBERT PARKER
"Ho sempre detto di me stesso: se c’è un lascito di Robert Parker, è che egli ha livellato il campo di gioco. In questa stratificata casta, dominata da elite reazionarie, Robert Parker ha portato il punto di vista americano, democratico. E credo che questa sia stata una rivoluzione."

ROBERT PARKER, CRITICO DI VINI
(MONKTON, MARYLAND)
Dopo aver praticato legge per 10 anni, Robert Parker si è convertito al vino. Nel 1978 fonda "Wine Advocate" e diventa famoso a livello internazionale dopo i suoi favorevoli commenti a proposito dalla vendemmia di Bordeaux del 1982, molto simile a maturità a quelle californiane. Da allora, Robert Parker è diventato senza dubbio il critico più influente al mondo, determinando con i suoi giudizi i prezzi di vini di tutto il mondo, incluso il mercato multimilionario del Bordeaux.

MARCHESI FRESCOBALDI
(FIRENZE, ITALIA)
Dall’undicesimo secolo, la famiglia Frescobaldi è strettamente legata alla storia politica, artistica e commerciale di Firenze. I Frescobaldi coltivano vigneti in Toscana da settecento anni. Attualmente sono la seconda più importante azienda vinicola in Toscana, con vendite che sfiorano i 50 milioni di dollari annui. L’attuale direttore generale, il marchese Vittorio Frescobaldi, ha creato varie joint-ventures con la Cantina di Robert Mondavi, producendo vini come Ornellaia, Luce e Danzante. Oggi queste joint-ventures rappresentano approssimativamente un terzo del fatturato dei Frescobaldi.

MARCHESI ANTINORI
(FIRENZE, ITALIA)
Una delle famiglie più antiche di Firenze, i Marchesi Antinori sono stati coinvolti nelle arti e nella storia di Firenze da ottocento anni. Le loro vendite di vino sono al primo posto in Toscana e al terzo in Italia. Al Marchese Piero Antinori, direttore generale dell’azienda di famiglia viene universalmente riconosciuto il merito della modernizzazione radicale dei vini Toscani e del rilancio dell’immagine dei vini italiani all’estero.
Lodovico Antinori, suo fratello, negli anni ‘90 ha fondato Ornellaia separatamente dagli affari di famiglia. Dopo aver piantato viti nella regione non classificata di Bolgheri, lungo la costa Toscana, il suo vino Ornellaia è diventato il leader del "movimento post moderno dei Super Toscani" (un termine coniato da "Wine Spectator" per definire vini che si fanno beffa delle storiche leggi di denominazione). Nel 1998 Lodovico Antinori si è associato a Robert Mondavi e successivamente gli ha venduto l’intera impresa. Da allora ha unito le forze con il fratello Piero per sviluppare una cantina nella zona di Bibbona, in Toscana.

BIANCHETTI, VIGNERONS, 6 ETTARI
(PERNAMBUCO, BRASILE)
Isanette Bianchetti insieme a suo marito Mauro Tedesco, entrambi enologi, negli anni ‘80 lasciarono il sud del Brasile per arrivare nella valle di Rio de Sao Francisco, a migliaia di chilometri di distanza, nello Stato di Pernambuco. Lavorando sulle terre dei Botticelli, aiutarono a creare i primi vigneti mai piantati nel nord est del Brasile, in una zona dell’entroterra scarsamente popolata. Data la vicinanza con l’equatore e la totale assenza di umidità, questa è forse l’unica regione al mondo che riesce a dare due raccolti e mezzo l’anno. Nel 1997 i Bianchetti con 6 ettari di vigneto hanno creato la loro etichetta omonima. Il loro vino è attualmente venduto solo sul mercato Brasiliano ad un costo di due dollari la bottiglia.

FAMIGLIA ETCHART, SAN PEDRO DE YACOCHUYA
(CAFAYATE, ARGENTINA)
La cantina Etchart fu fondata da emigrati baschi a Cafayete, nel nord est dell’Argentina, alla metà del XIX secolo, in una regione conosciuta per la qualità dei suoi vini dai tempi della conquista spagnola nel XVII secolo e dei primi insediamenti di gesuiti. Arnaldo Etchart (il terzo di cinque Arnaldo Etchart) ha venduto negli anni ‘90 la cantina e il marchio di famiglia ad una multinazionale francese, la Pernod Ricard. Nel 1996, Arnaldo e i suoi figli Arnaldo e Marco hanno fondato una nuova cantina a San Pedro de Yacochuya in società con Michel Rolland, che avevano già apprezzato come consulente alla Etchart.

ANTONIO CABEZAS, VIGNERON, 1 ETTARO
(TOLOMBON, ARGENTINA)
Antonio Cabezas possiede un ettaro di uva bianca Torrontes e di uva rossa Malbec nel paese di Tolombon, a 5 km da Cafayete. Per incrementare il reddito (60 dollari al mese) ricavato dalla vendita del vino (circa $1.50 a bottiglia), fa vari altri lavori nei vigneti dei suoi vicini.

UN RITRATTO DEL REGISTA JONATHAN NOSSITER

Jonathan Nossiter ha al suo attivo quattro lungometraggi, di cui il più recente, "Mondovino", è stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 2004. "Mondovino" è sia un lungometraggio, che una serie televisiva da 10 puntate sui ricchi, poveri e potenti nel mondo del vino dal Paraguay, a Firenze, passando da Brooklyn,.

Gli altri lungometraggi girati da Nossiter sono:
"Signs and Wonders" (2000), un thriller psicologico girato ad Atene, prodotto da MK2 e Nick Wechsler, con Charlotte Rampling e Stellan Skarsgard, presentato in concorso al Film Festival di Berlino del 2000.
"Sunday" (1997), è una commedia noir scritta e diretta da Nossiter, su un coup de foudre con scambio di identità, interpretato da David Suchet e Lisa Harrow. Ha vinto il Premio della Giuria per il miglior film e la miglior sceneggiatura al Sundance Film Festival, il Premio Internazionale della Critica a Deauville ed è stato selezionato al Certain Regard di Cannes.

Jonathan Nossiter ha anche diretto "Resident Alien" (1991), una commedia che mescola documentario e fiction sugli anni Bohemièn di Manhattan, con Quentin Crisp, John Hurt e Holly Woodlawn. Il film, uscito negli Stati Uniti nel 1992, è stato selezionato in numerosi festival, tra cui Berlino e Toronto ed è stato trasmesso dalla BBC.

Tra i documentari citiamo il lungometraggio di un’ora "Losing the Thread" (2001) per RAI Italia e per il Sundance Channel negli Stati Uniti, su un falso aritistico e sul machismo toscano, presentata al Festival di Rotterdam e "Searching for Arthur", uno sguardo su Arthur Penn a New York per la serie di Telepiù Italia "I Registi sui Registi" presentata a Locarno e "Making Mischief" un documentario di mezz’ora sulla preparazione di "Signs and Wonders".

Jonathan Nossiter ha studiato pittura al Beaux Arts di Parigi e all’Istituto d’Arte di San Francisco e il Greco Antico al Dartmouth College. É stato assistente alla regia per due prestigiosi teatri inglesi, il Newcastle Playhouse, e il King’s Head e per il regista Adrian Lyne per il film "Fatal Attraction". Sommelier esperto, ha preparato la lista dei vini di vari ristoranti a New York, tra cui "Balthazar", "Rice", "Il Buco" e "Prava". Ha anche scritto di vini per il "New York Magazine", "Wine and Food" e "The Forward".

Figlio di un giornalista, nato negli Stati Uniti, Nossiter ha vissuto in giro per il mondo, in Francia, Inghilterra, Italia, Grecia e India.


INTERVISTA A JONATHAN NOSSITER

Pur essendo un regista lei ha anche una carriera nel settore del vino. Come è iniziata?
Per me il vino è sempre stato come l’amicizia, da gustare. Cominciai ad interessarmi di vini all’età di 15 anni, quando lavoravo come cameriere a Parigi. In seguito, a New York ho preso il diploma di sommelier e ho preparato le carte dei vini per una serie di ristoranti. Mio padre, Bernard Nossiter, era corrispondente per il "Washington Post" e il "New York Times" e io sono cresciuto in giro per il mondo tra la Francia, l’Italia, la Grecia, l’India e gli Stati Uniti. Molto presto ho capito che mio padre imparava a conoscere l’essenza di un paese parlando con le persone più improbabili. Nel corso degli ultimi vent’anni ho conosciuto produttori vinicoli di tutti i paesi e mi sono reso conto che, in qualche modo, questo mondo è stranamente rappresentativo di tutti noi. La ragione è semplice. Il vino somiglia alle persone, nella sua infinita complessità, più di qualsiasi altra cosa sul pianeta. E’ una delle più chiare espressioni sia della tradizione giudaico-cristiana, che di quella greco-romana. Queste tradizioni non vengono tramandate rigidamente ma vengono piuttosto usate in modo fluido, vitale e moderno. Il vino è come il guardiano della civiltà occidentale. Analizzare oggi il mondo del vino è così un modo per capire cosa proviamo per il nostro passato e cosa stiamo preparando per il futuro. Il dato che ne emerge, ai miei occhi, è insieme esilarante e terrificante.

Come sono i produttori di vino?
Un produttore è insieme contadino, imprenditore e artista. Il suo attaccamento alla terra è atavico e la sua dipendenza dai crudeli capricci della natura lo rende umile. Pur coltivando la terra, il vino che produce è, però, caricato delle più grandi ambizioni e pretese culturali di oggi. Come un artista anch’egli cerca di dare piacere e provocare scambi tra le persone. La grande differenza tra i due è che il lavoro a cui il produttore di vino dedica la propria anima è necessariamente effimero. Egli non può cadere nella trappola dell’artista, da cui metteva in guardia Orson Welles: "L’unica cosa più volgare del lavorare per i soldi è lavorare per la posterità."

Lei ritiene che il vino rifletta i cambiamenti culturali?
Assolutamente. Per esempio, non è una coincidenza che negli anni ‘70 ci sia stato un boom del vino negli Stati Uniti . Il vino californiano a quel tempo era eccessivo, spesso troppo ambizioso e forte per piacere. Ma era intrigante, radicale e rinvigorente. I produttori di vino condividevano allora lo stesso desiderio per la scoperta e la sperimentazione di Cassavetes, Scorsese, o Coppola nel cinema. Negli anni ‘80, con l’arrivo dell’era Reaganiana, il vino iniziò a cambiare. Nel giro di una notte, quel liquido crudo e imprevedibile divenne raffinato e accessibile a più: facili vini da tavola in belle confezioni. Vini concepiti per ragioni di prestigio e potere economico. Non penso che fosse accidentale che contemporaneamente i film di Hollywood divenissero più compiacenti: spudorati prodotti commerciali. I piccoli produttori di vino della California degli anni ’70, che somigliavano a quelli della Borgogna nelle loro ambizioni artigianali, cominciarono a vendere alle grandi imprese. La Coca Cola comprò i vigneti Sterling negli anni ‘80. Un decennio dopo la Coca Cola vendette la cantina a Diageo, un’ancor più imponente multinazionale, e contemporaneamente per le aziende globalizzate iniziò a diventare irrilevante il paese di origine. Penso che la prossimo evoluzione, che vivendo oggi, sia la captazione volontaria dei piccoli produttori artigianali (coltivazione biologica, terroir, etc) ai bisogni culturali e economici del nuovo ordine mondiale.

E’ questo ciò che lei aveva in mente dall’inizio, un inventario dell’ordine globale?
No. Le motivazioni originarie e il cuore del film sono di gran lunga più personali. Sono partito con un amico, il filmmaker uruguayano Juan Pittaluga, per fare una sorta di casting dei viticultori di diverse regioni. Mentre parlavamo con i produttori in Borgogna, siamo rimasti colpiti dall’intensità dei rapporti padre-figlio e come questa si esprimesse, con amore e tensione, nella produzione di qualcosa di tangibile. Naturalmente abbiamo pensato ai nostri padri, entrambi morti molto giovani, ma che hanno lasciato in quanti li circondavano un forte segno del loro amore e del loro impegno. Vedere come funziona la trasmissione personale da generazione a generazione, di quello che viene tramandato e di quello viene perso… o viene volutamente rifiutato è diventato per me, il Gral di questa avventura attraverso tre continenti. E’ stato particolarmente emozionante notare come quasi tutti gli incontri che ho fatto abbiano messo in discussione i miei stessi preconcetti. Persone che si definiscono reazionarie si scoprono più profondamente progressiste di altre che magari votano a sinistra ma poi si legano ad una insieme di nozioni associate con la resistenza di tradizioni.

Perché ha scelto la Borgogna come punto di partenza?
Ho parlato della California, ma quello che accadde in Borgogna negli anni ‘70 è altrettanto interessante da un punto di vista economico e politico. I produttori di vino a quel tempo erano isolati dalle pressioni economiche e culturali del mondo moderno. Il loro vino veniva apprezzato da migliaia di anni – almeno da quando i Romani avevano invaso la Gallia - ma non andava più di moda. Per emergere nel mercato globale, sono caduti sotto il peso delle tendenze del periodo, incluso l’uso indiscriminato di fertilizzanti chimici, erbicidi e pesticidi. Miracolosamente, il loro attaccamento alla terra e alla cultura era così forte che si sono presto liberati da queste espressioni tossiche del progresso e si sono concentrati invece sulla ricerca di modi individuali di esprimere il loro patrimonio nel gusto moderno, creando un ponte vitale tra la loro antica cultura e il mondo in cui vivono oggi.

Lei ha aperto le porte di un club molto privato. Come è stato accolto nel mondo del vino?
Molto bene, anche da quelli che non condividevano le mie idee. C’è una naturale convivialità nel mondo del vino. Anche coloro che producono vino per le ragioni meno idealistiche trovano difficile resistere al tipo di seduzione naturale che emerge dalla bottiglia. C’è una vera magia nella naturale trasformazione dell’uva in vino e anche se è vero che il mondo del vino è stato oscurato troppo a lungo da una certa omertà, o voto del silenzio, chiunque beva o produca vino diventa istintivamente gregario.

Ha iniziato questa avventura come amante del vino?
Più come uno scopritore direi. Ho sempre cercato di evitare l’altezzosità dei conoscitori di vino.. tutta quella ridicola bagarre sull’aroma del fiore di pero o… l’odore delle mutande di pizzo di mia nonna. Sfortunatamente il vino è diventato associato a tutti gli aspetti più esclusivi di un certo stile di vita. Specialmente in luoghi che non sono culturalmente produttori tradizionali come gli Stati Uniti, L’Inghilterra e l’Estremo Oriente, il vino è diventato un simbolo elitario e pretenzioso. Contro questo ho sempre lottato. Quando preparo una carta dei vini per un ristorante e istruisco i camerieri, insisto che mi descrivano il vino a parole loro, sulla base della loro reazione istintiva. Non si dovrebbe fingere di conoscere una bottiglia di vino, così come un attore non dovrebbe fingere le proprie emozioni. Anche il bevitore - o lo spettatore - meno esperto può immediatamente identificare un approccio fasullo. Desideravo avvicinarmi il più possibile al punto di vista dello spettatore comune, alla gente a cui non importa nulla dello snobismo di certi ambienti, ma che è sensibile ai piaceri semplici, di tutti i giorni, essenziali per gustare la vita. Penso che la tradizione di questi piaceri sia in effetti essenziale per la sopravvivenza della nostra cultura.

Ci sono due fazioni opposte tra i produttori: quelli che hanno mantenuto dei valori tradizionali, culturali e rurali e coloro che sostengono la globalizzazione del vino, ciò che alcuni definiscono "il gusto internazionale"?
No, non la vedo in questi termini. Ho cercato di evitare le semplificazioni tra bene e male e di fare un film che pur prendendo una posizione non esacerbasse i contrasti. La nozione di resistenza che mio padre sosteneva era una posizione etica e non ideologica. Nel mondo del vino, come nella Francia di Vichy, quelli che resistono vengono da tutte le classi sociali ed economiche e da tutte le ideologie. Oggidì non è in gioco la vita di nessuno, ma penso che sia in atto una forma di repressione più subdola che rende il concetto di resistenza e collaborazione più ambigua. Ci sono comportamenti quotidiani che determinano come ci si conformi al potere o come lo si metta in discussione, al di là della propria professione. Queste stesse tensioni sono presenti nel mondo del vino, dalla lontana Argentina ai palazzi di Firenze.

Lei ci presenta Michel Rolland, un famoso enologo che lavora con le maggiori case di produzione vinicole di dodici paesi. Chi è davvero quest’uomo?
Rolland è come uno Spielberg del mondo del vino, come suggerisce nel film Jean-Luc Thunevin – collega di Rolland e protetto di Robert Parker. Rolland è una pura espressione della sua epoca, così come ammette anche il suo avversario Aimè Guibert. Istintivamente capisce le tendenze e il gusto del suo tempo e sa creare un prodotto che anticipa ciò che piacerà al consumatore. É, senza dubbio, il più conosciuto enologo al mondo. Mentre stavo finendo il film in Argentina, non mi immaginavo di sentire qualcuno dire: "Michel Rolland ha completamente trasformato il vino Argentino e ora, grazie a lui, è completamente diverso da quello che era quando i Gesuiti introdussero la vite qui, nel XVII secolo." E’ come un consulente politico o economico di grande successo, perfettamente integrato nel mercato globale.

Come hanno fatto i vini californiani della Napa Valley ad affermarsi con tanta forza?
Nel XV e XVI secolo, le grandi famiglie fiorentine come i Medici e gli Strozzi hanno sostenuto poeti e pittori in modo da affermare la loro posizione sociale. Oggi l’arte è stata abbandonata come simbolo di prestigio a favore del vino. E’ più prestigioso per una magnate internazionale avere il proprio nome su un’etichetta di vino piuttosto che farsi ritrarre, fotografare, o anche farsi riprendere da un regista. Perciò dalla fine degli anni ‘80 il vino californiano si è imposto sul mercato globale in termini sia di vendite che di influenza sulla produzione vinicola del resto del mondo, inclusi paesi come Francia e Italia

Il suo film è come un romanzo del XIX secolo, con il suo cast epico di personaggi dell’alta società di Bordeaux e di umili pionieri dell’entroterra brasiliano...
Durante le riprese mi sono accorto che era come essere in un romanzo di Dickens o Balzac. Ho cercato di catturare questa sensazione nelle riprese. C’era un’enorme varietà di persone di origine culturale, sociale, economica e ideologica diversa, con le pretese (e umili aspettative) diverse. Grazie alla loro lucidità mi sono spesso sentito come se lavorassi con un cast internazionale di grandi attori.

Tutto questo è specifico al mondo del vino?
Ho amato l’idea di condividere con lo spettatore l’emozione di queste vite così intense da somigliare ad una fiction. Ho avuto la fortuna di potermi avvicinare ai leader e ai mediatori più importanti perché il mondo del vino è molto particolare. Questo mi ha permesso di mostrare il volto umano della globalizzazione e di filmare con insolita intimità le emozioni e la psicologia di coloro che esercitano il potere e l’influenza.

Sembra essere un mondo il cui il cielo è il limite. I fratelli Mondavi immaginano di creare una dinastia che potrebbe produrre vino su Marte.
Come in un romanzo, le loro ambizioni gli si sono ritorte contro, un po’ come se le "Illusioni Perdute" di Balzac si mescolassero con la serie televisiva "Dallas" e la soap messicana "Pueblo Chico, Infierno Grande". Molto recentemente, il consiglio di amministrazione della corporazione Mondavi ha rimpiazzato la famiglia nella conduzione della loro stessa compagnia. Quello che i fratelli Mondavi hanno messo in moto un decennio fa, con un’aggressiva politica imprenditoriale per vincere la competizione sul mercato globale, ora gli ritorna come un boomerang: l’impero che loro padre ha costruito con tanti sacrifici dal nulla non è più nelle loro mani.

Secondo Alix de Montille "il modo in cui produci vino riflette chi sei."
Assolutamente vero. Ho quasi inserito nei titoli di coda "Qualsiasi cosa pensiate di ciascun personaggio sarà esattamente quello che penserete del vino che produce."

Anche il modo di girare un film è un riflesso di noi stessi?
Probabilmente. Inevitabilmente. Forse fatalmente. Ho affrontato questo tema nello stesso modo in cui ho cercato di fare i miei altri film, senza alcuna distinzione tra fiction e documentario. Nei film di fiction che ho girato ho sempre cercato di provocare negli attori uno scambio vitale con l’ambiente in cui giravamo, da David Suchet nel ricovero di senza tetto nel Queens, a Stellan Skarsgard con il branco di capre nelle montagne greche. Con "Mondovino" ho lasciato spazio ai miei protagonisti (tutti non attori) affinché potessero esprimere in modo pieno e vivido le loro personalità. Con attori professionisti uso mezzi diversi per ottenere la stessa cosa. Ho girato il tutto in quasi due anni, con un raro senso di piacere. Spero che la mia esperienza con la pellicola 35mm, sia servita a farmi sfruttare a pieno la libertà e la spontaneità della nuova tecnologia digitale, con disciplina e senso del mestiere. Grazie al lavoro di Tommaso Vergallo a Digimages, il risultato finale in 35mm si avvicina molto ai film anni ‘70 – che amo molto. E’ stata anche una decisione consapevole da parte mia girare con due amici, il produttore Juan Pittaluga e il direttore della fotografa brasiliano, Stephanie Pommez. Penso che vedendoci come tre strani amici, che apparivano con una macchina da presa discreta invece di un’invadente troupe, ci sia stato un inusuale scambio umano tra macchina da presa e soggetti intervistati. La macchina da presa è diventata un’estensione di me stesso e di come percepisco i mondi che incontro. Ho sempre lavorato molto dietro la macchina da presa nei film che ho diretto, ma mai con tanto senso di intimità, gioia e scoperta. Anche se sembra che, a volte, la macchina da presa abbia bevuto troppo. Sono una persona responsabile, ma non potrei mai immaginare un mondo senza un po’ di ebbrezza.



Fonte: Feltrinelli, link esterno