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Quella faccia poco esplorata della cultura contadina meridionale
Con il romanzo "Uno di noi", Giovanni Forte mette in luce la storia di un bracciante pugliese che attraversa in lungo e in largo il secolo scorso. Ed ecco entrare in scena la riforma agraria, ma non solo
14 giugno 2008 | Alfonso Pascale
Giovanni Forte ha scritto un romanzo il cui protagonista è un bracciante pugliese. Non un bracciante qualsiasi, ma una figura straordinaria che si è fatta pienamente coinvolgere dalle vicende politiche e sociali del secolo scorso, scegliendo tuttavia di restare "uno dei tanti" - come recita il titolo dell'opera - fino al punto di rifiutare la candidatura per un seggio sicuro in Parlamento.
Lâautore ha frequentato da ragazzo la Camera del Lavoro di Castellaneta, un centro della provincia di Taranto, diventandone presto un dirigente, e così ha potuto conoscere direttamente donne e uomini che avevano dato vita alle lotte del dopoguerra.
Nellâimbastire la storia di Nicola Annese, egli ha, pertanto, attinto al ricco repertorio dei fatti che gli erano stati più volte narrati, avendo però cura di slegarli dal contesto locale. Sicché la figura di Nicola è frutto dellâinventiva dellâautore non solo per evitare accostamenti con persone realmente vissute a Castellaneta, ma anche perché in questo splendido esempio di âcapolegaâ si racchiudono, tutte insieme, le peculiarità di centinaia di dirigenti politici e sindacali operanti nei diversi contesti del Mezzogiorno, i quali, pur provenendo da umili origini, sono stati capaci di diventare "capipopolo" non per imposizione dall'alto ma per largo riconoscimento popolare.
Ne vien fuori un romanzo coinvolgente che, in una scrittura fresca e piacevole, amalgama con sapienza due ingredienti fondamentali. Il primo elemento riguarda quella faccia poco esplorata della cultura contadina meridionale, fatta di atavica saggezza e di trame comunitarie che mitigavano una vita di stenti e le lunghe distanze tra i borghi da abitare e le terre da lavorare; in altre parole, la tipica cultura bracciantile e colonica dei piccoli centri meridionali, diversa da quella mezzadrile e dei salariati fissi caratterizzata, invece, dallâinsediamento sparso.
Lâaltro ingrediente è lâultima epopea contadina, interpretata questa volta non più nelle forme sovversive e velleitarie delle insorgenze dei secoli precedenti, ma in nome di principi e valori sanciti dalla Costituzione repubblicana per costruire la democrazia.
Questi due elementi peculiari segnano nel bene e nel male anche le vicende del Mezzogiorno successive alla liberazione e allâoccupazione delle terre.
A tali aspetti è senzâaltro da attribuire la larga partecipazione di massa alla vita democratica, sia con lâadesione ai partiti e lâesercizio del voto nelle consultazioni elettorali, sia mediante lâiscrizione a sindacati capillarmente presenti non solo nei luoghi di lavoro ma soprattutto nel territorio.
A questi caratteri originali va, inoltre, legato anche il successo della riforma agraria e dei programmi infrastrutturali della Cassa per il Mezzogiorno, che dettero il âcolpo dâarieteâ ai vecchi assetti sociali delle campagne e predisposero la società e lâeconomia del paese allo sviluppo industriale. Tali interventi non avrebbero avuto risultati positivi senza la capacità di migliaia di braccianti e contadini poveri di mettersi in gioco ed evolvere in una moderno e civile tessuto imprenditoriale agricolo.
Si trattava di un nuovo tessuto sociale che venne ad assumere, già agli inizi degli anni â60, le forme più varie, da quella professionale a quelle part-time e della pluriattività , in linea coi differenti e molteplici sistemi agricoli presenti nelle regioni meridionali. Una realtà sociale non coinvolta dallâenorme esodo verso il Nord, ma che ebbe a maturare ben presto, nel corso stesso del âboom economicoâ e in contemporanea con quanto avveniva tra i conterranei affluiti in massa nel âtriangolo industrialeâ, nuove concezioni ideali e culturali. Le quali si manifestarono in modo dirompente nelle battaglie civili degli anni â70 sui temi dei diritti, della famiglia, del divorzio e dellâaborto, a cui il Mezzogiorno offrì un contributo decisivo.
Anche il fallimento dellâindustrializzazione âdallâaltoâ e il disagio diffuso che tale esito provoca nelle regioni meridionali e che va ad intaccare in modo irreparabile il rapporto di fiducia tra politica e società , si possono comprendere meglio alla luce dei due ingredienti di fondo del romanzo di Forte. Non si volle, infatti, tener conto che lo sviluppo, per essere duraturo, avrebbe dovuto poggiare sullâenorme capitale sociale presente nel Sud e che derivava anche dalle sue tipiche origini agricole. E avrebbe dovuto valorizzare le peculiarità paesaggistiche, storiche e culturali dei territori meridionali, favorendo un largo coinvolgimento della società locale nella fase di definizione degli obiettivi e di progettazione degli interventi.
Nel romanzo Nicola Annese vive tali eventi senza conformismi e con una impronta personale talmente marcata da attirarsi il sospetto, da parte dei suoi compagni, di tradire le comuni idealità . Egli è difatti un comunista atipico. La sua militanza, che aveva avuto una lunga incubazione, si distingue per un tratto specifico: non ha nulla di dogmatico. In questo erano stati decisivi i contatti con esponenti antifascisti pugliesi di estrazione socialista e azionista, impegnati nella lotta clandestina. Ma è soprattutto la sua forzata permanenza in Russia durante la guerra a convincerlo che in Italia si sarebbe dovuta realizzare la ânostra rivoluzioneâ, diversa da quella veduta nella patria del comunismo.
Nel corso delle lotte per migliorare le condizioni dei braccianti presta, pertanto, la dovuta attenzione allâalleanza coi coltivatori e al consenso della popolazione. Non si abbandona mai a forme di settarismo e di massimalismo. E non ha alcuna titubanza nel 1956, in una infuocata riunione di partito, a schierarsi da solo con il popolo che a Budapest lotta per il rinnovamento e a condannare lâintervento dei carri armati sovietici mobilitati per soffocare la protesta.
Dagli anni â70 in poi le vicende personali di Nicola saranno segnate da un insanabile contrasto con suo figlio, Vito, che diventerà ingegnere e dirigente di unâazienda industriale nel Veneto. Ben presto il conflitto generazionale investirà soprattutto le scelte politiche di entrambi.
Quando cadrà il Muro di Berlino, per il comunista riformista, che aveva da sempre messo in discussione il legame del suo partito con Mosca, sarà naturale aderire con entusiasmo alla svolta di Achille Occhetto. Ma ciò non indurrà il figlio socialista ad attenuare i giudizi negativi nei confronti del padre, visto come un uomo abbarbicato ad una visione arretrata e non al passo coi tempi.
Vito nutrirà dei dubbi sulla perentorietà delle sue accuse, finalmente considerandole ingenerose, solo quando Nicola morirà . Vedrà , infatti, accalcarsi al funerale del padre non solo i vecchi braccianti, suoi compagni di lavoro e di lotta, ma anche i giovani, a cui lâanziano sindacalista non aveva mai fatto mancare il proprio bagaglio di esperienze e di saggezza. Dovrà a quel punto riconoscere che quella di Nicola era stata una vita ben spesa per gli interessi della collettività , in quanto i valori a cui la sua vicenda umana e politica avevano fatto riferimento erano saldamente ancorati alle radici bracciantili e ai principi democratici della Costituzione repubblicana.
Benché restasse convinto che la cultura politica del padre da tempo non fosse più in grado di produrre proposte concrete per il cambiamento, Vito considererà quei valori come un patrimonio imprescindibile per guardare con fiducia al futuro.
Leggere il romanzo di Giovanni Forte non è solo un diletto letterario per la forza espressiva con cui lâautore ci presenta la vita quotidiana dei piccoli centri del Sud, la suggestività dei paesaggi meridionali, il nitore delle belle figure femminili disseminate in tutto il racconto e perfino la descrizione vivida e trasparente del fenomeno leghista del Nordest, con le sue inaspettate origini popolari. Eâ anche unâopportunità per riflettere su un percorso storico di cui ancora oggi - per aspetti salienti, quali gli esiti non scontati della grande trasformazione da paese agricolo a paese industriale o lâincapacità dei partiti e delle organizzazioni sociali di rispondere al disagio provocato da quellâimpetuoso passaggio epocale â manca una lettura completa e condivisa.
Giovanni Forte, Uno dei tanti, Edizioni Palomar, Bari, 2007, pp. 372, euro 15