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"SPINGENDO LA NOTTE PIU' IN LA'". OVVERO, QUEI PAZZI ANNI IN CUI L'ITALIA ERA UBRIACA DI VIOLENZA E TERRORE, VISTI CON SGUARDO LUCIDO DA MARIO CALABRESI

Un libro verità che deve far riflettere, soprattutto quei tanti "intellettuali" italiani che hanno puntualmente abbandonato il dono dell'intelletto per cadere nelle maglie dell'ideologia, facendo così più male, con le loro male parole, di qualsiasi proiettile che perfori corpi innocenti

19 maggio 2007 | T N

Mario Calabresi, il figlio del commissario Luigi, ammazzato dalla furia omicida della sinistra italiana degli anni terribbili e folli del terrorismo, è nato a Milano nel 1970, ha studiato Storia e frequentato la scuola di giornalismo di Milano. Oggi, a distanza di tanti anni, dopo che i tempi (forse) sono maturati per parlarne, per scriverne, ha pubblicato un libro prezioso che ricostruisce quegli anni di insensatezza collettiva, Spingendo la notte più in là, per la collana "Strade blu" di Mondadori.

Calabresi ha lavorato in questi anni come cronista parlamentare all'agenzia Ansa, poi alla redazione politica di "Repubblica" e successivamente a quella romana de "La Stampa". Per il quotidiano torinese ha seguito dagli Stati Uniti gli avvenimenti dell'11 settembre. Tornato a "Repubblica" nel 2002, è stato caporedattore centrale per poi divenire corrispondente da New York. Ha vinto nel 2002 il premio Angelo Rizzoli di giornalismo e nel 2003 quello intitolato a Carlo Casalegno.

Ecco, a seguire, una nota di presentazione del volume. Noi il libro lo consigliamo vivamente, contro quel conformismo di quegli intellettuali sempre tesi a tendere una mano all'eversione e a negare pietà ai familiari delle vittime.

«Spararono a mio padre alle 9.15, mentre apriva la portiera della Cinquecento blu di mia madre.» È la mattina del 17 maggio 1972, e la pistola puntata alle spalle del commissario Luigi Calabresi cambierà per sempre la storia italiana. Di lì a poco il nostro paese scivolerà in uno dei suoi periodi più bui, i cosiddetti «anni di piombo», «la notte della Repubblica».

Quei due colpi di pistola, però, non cambiarono solo il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti. La prima conseguenza di quel gesto e della lunga campagna di diffamazione organizzata da Lotta Continua contro il commissario Calabresi, nella sua terribile semplicità, spesso ci sfugge: una donna allora giovanissima, Gemma, perse il marito e si trovò, sola e incinta, a crescere tre figli, orfani prima di avere avuto il tempo di conoscere davvero il padre. Non fu una morte inaspettata, scrive oggi Mario Calabresi. Fu lo sbocco naturale di un vero e proprio strazio, scandito da lettere anonime, da minacce scritte sui muri e da violenti attacchi pubblici da parte di molti intellettuali e di quella che allora si chiamava sinistra extraparlamentare. E per chi rimase fu qualcosa di molto simile a un naufragio, a un evento senza ritorno, una voragine in cui si può sprofondare per sempre. O da cui invece si può ripartire raccogliendo le poche cose che restano, ricostruendo la propria memoria e la propria identità, ritrovando la voglia di vivere, spingendo la notte più in là.

L’esistenza delle «altre» vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto – ci racconta oggi il figlio primogenito del commissario Calabresi – in quel momento si è trovata infatti a un bivio: c’è chi non ha avuto più la forza di ripartire, di sopportare la disattenzione pubblica, l’oblio collettivo; e c’è chi non ha mai smesso di lottare perché fosse rispettata la memoria e per non farsi inghiottire dai rimorsi. La storia della sua famiglia si intreccia così con quella di tanti altri (la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini), costretti all’improvviso ad affrontare, soli, una catastrofe privata in un momento in cui grossa parte dell’opinione pubblica italiana offriva una complicità silenziosa alla lotta armata.

Questa è la storia di una famiglia italiana ferita dal terrorismo. Una storia fatta di profondo dolore, ma anche di inattesa e spensierata allegria, in cui la voglia di vivere e l’amore per gli altri sono spesso riusciti a vincere l’odio e le divisioni che ancora oggi colpiscono il nostro paese. Una vicenda privata che appartiene a tutti noi.





Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Mondadori, pp. 144, euro 14,50