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GRANDI VINI D’ITALIA NEL NOME DEL BIO. ECCO I MAGNIFICI CINQUE

E’ giunta alla settima edizione la Guida ai vini da agricoltura biologica. Si apre un interessante spaccato di un comparto in continua crescita di consensi. Nostra intervista al curatore Antonio Attorre, che spera, per il futuro, in leggi meno lacunose

10 gennaio 2004 | T N

Un grande numero di vini degustati e di aziende biologiche censite, rispettivamente 386 vini e 161 aziende. E’ questo il risultato del lavoro durato alcuni mesi, in virtù del quale viene presentata al meglio la viticoltura biologica italiana. Si tratta di una produzione destinata ancora oggi soprattutto ai mercati esteri, ma questo volume offre un ampio e approfondito quadro d’insieme per i vini biologici italiani, consentendo peraltro di poter programmare visite alle aziende e assaggi mirati. Si profilano bottiglie qualitativamente sempre migliori, con punte di eccellenza notevoli. Molti dei vini censiti stanno infatti ottenendo premi e riconoscimenti in ogni ambito, non soltanto nel ristretto ambito del circuito del biologico.
Giunta alla sua settima edizione, la Guida ai vini d’Italia bio, curata da Antonio Attorre e Pier Paolo Rastelli, cambia ora anche la sua veste grafica, diventando così uno strumento di consultazione più agevole e più bello.



Con l’occasione dell’uscita, abbiamo intervistato il giornalista Antonio Attorre,, dirigente di Slow Food e autore della Guida sin dalla prima edizione.

I vini ottenuti con uve coltivate secondo i criteri dell’agricoltura biologica stanno registrando un significativo trend di crescita negli ultimi dieci anni. Conferma?
Sì, si può dire che questa crescita, sia quantitativa che qualitativa, sia stata piuttosto regolare. Ho l’impressione che, da quanto peraltro si può registrare dalla Guida, quest’anno sia sensibilmente più importante la presenza e lo standard qualitativo medio delle aziende biologiche. Anche l’attenzione crescente dei consumatori italiani è interessante. Fino a poco tempo fa, invece, erano stati poco ricettivi. Molte aziende bio hanno trovato più facilmente spazio e consenso nei mercati esteri, in particolare del Nord Europa. Addirittura vi sono aziende che vendono esclusivamente la propria produzione in Paesi come Svizzera e Germania. Oggi è diverso, anche perché le aziende biologiche, sul piano tecnico e anche sulla qualità dei vini, sono oggi con le carte in regola.

Ecco, c’è stata una sorta di diffidenza in Italia verso il vino biologico? Anche da parte di certa stampa di settore…
Sì, c’è stato un forte divario in Italia. Da una parte i consumatori con motivazioni salutistiche, che avevano i propri punti vendita in cui acquistare, e dall’altra invece i gourmet o i curiosi di gastronomia che non mettevano mai piede in questi negozi, situazione impensabile altrove. In Germania ci sono gastronomie che hanno prodotti di qualità da agricoltura biologica senza che vi sia alcuna forma di reticenza. Probabilmente ci sono stati anche degli errori di marketing, di comunicazione. Qualcosa non ha funzionato, quindi c’è stata una certa separazione. I vini biologici venivano un po’ derisi dagli appassionati gourmet, che trovavano che i vini bio ricordavano molto i vini del contadino e perciò scadenti dal punto di vista tecnico. Ma ciò lo dicevano proprio quando invece si andava registrando una grande crescita qualitativa. Oggi però c’è un interesse anche da parte di chi è un addetto ai lavori.

Però c’è pure chi contesta l’accezione stessa di vino biologico, perché in realtà solo le uve possono essere provenienti da agricoltura biologica…
Infatti, questa purtroppo è una ambiguità legittima. Occorre dirlo, è un’ambiguità frutto di una legge incompleta. Altrove, per esempio negli Stati Uniti, c’è una distinzione più precisa in tal senso. In Europa siamo soltanto alla certificazione della coltivazione dei terreni e di conseguenza delle uve. Le associazioni si sono create un proprio disciplinare, ma niente ancora ha assunto una veste legale. Pertanto finora quando si parla di vini biologici, in realtà si intende solo considerare i vini che sono ottenuti da uve biologiche.

Per il futuro cosa si può prevedere? La distinzione tra vini cosiddetti bio e non bio sembra quasi una distinzione poco favorevole a chi opera nell’ambito dell’agricoltura biologica. Quasi si trattasse di un ghetto, più che di una nicchia. La percezione è questa, non le pare
Sì, specie agli inizi, qualche anno fa, c’era molto la sensazione del ghetto. Credo che l’aspetto più auspicabile e prevedibile per il futuro è che vi possa essere una minore diffidenza e un generale avvicinamento verso esperienze che in questi anni sono state un po’ pionieristiche ma altrettanto qualificanti. Si arriverà presto, io credo, a una rivalutazione del comparto biologico e biodinamico, possibilmente, magari, con leggi più puntuali in materia.




Ecco i magnifici 5 premiati in Guida

Quest’anno i vini scelti tra i 49 risultati migliori nelle varie categorie sono i seguenti:

Categoria spumanti
Prosecco di Valdobbiadene Stefany DOC
Cantina Pizzolato

Categoria vini bianchi
Verdicchio di Matelica DOC 2002
Collestefano

Categoria vini rossi
L’Amaranto toscano IGT 2000
Casina di Cornia

Categoria vini rosati
Südtiroler Lagrein Kretzer DOC 2002
Nusserhof

Categoria vini dolci
Arzimo Passito veneto IGT
La Cappuccina



Antonio Attorre, Pier Paolo Rastelli, Guida ai vini d’Italia bio italiani 2004, Tecniche Nuove editore spa, Milano 2003, pagine 144, euro 7,90; libri@tecnichenuove.com