Italia

La viticoltura siciliana si arrende. Crollati gli investimenti

I produttori si dividono sulla Doc Sicilia che dovrebbe essere approvata entro giugno, intanto il 20% dei vitivinicoltori ha deciso anche di ridurre sostanzialmente le spese, a partire dal marketing e promozione

06 marzo 2010 | Graziano Alderighi

Investimenti contenuti per far fronte ad una crisi che c'è e si fa sentire.

Su 114 produttori vitivinicoli siciliani intervistati, il 41,3% ha dichiarato di aver contratto gli investimenti, mentre il 14% ha scelto di abbattere i prezzi. Se, invece, il 10,7% ha deciso di diminuire il numero delle bottiglie da produrre, l'8,7% ha preferito ridurre il numero dei propri lavoratori nel tentativo di rientrare con le spese di un 2009 tutt'altro che facile.

E' questo il risultato dell'indagine condotta da Cronache di Gusto per verificare il reale stato dell'enologia siciliana, dei suoi produttori e delle sue aziende, di cui si è anche discusso in occasione del forum "Aspettando Verona: come sta il vino del Sud Italia?".

Un dibattito che ha visto il coinvolgimento trasversale di produttori, rappresentanti di commercio, distributori, importatori ma anche ristoratori, enotecai e i rappresentanti delle associazioni dei consumatori.

Diversi gli argomenti discussi soprattutto nella prima sessione di lavori, quella della mattina, interamente dedicata al tema "Dalla terra alla bottiglia". La questione più controversa è sicuramente stata quella della denominazione Doc Sicilia che, stando alle parole di Giuseppe Bursi, funzionario dell'assessorato regionale Agricoltura e foreste, "potrebbe essere approvata quest'anno, entro il prossimo mese di giugno".
Una notizia che ha di certo suscitato pareri divergenti e creato una vera spaccatura tra i produttori divisi su due fronti: da un lato, nel caso delle aziende più grandi come Planeta e Cusumano, c'è chi sostiene che la codificazione di una Doc Sicilia possa solo essere un elemento di garanzia in più per l'enologia isolana, "una scelta che non danneggerà le piccole Doc ma, al contrario, le tutelerà maggiormente"; dall'altro lato, invece, una fetta seppur minore ritiene che il rischio e' di "perdere la tipicità del vino e la sua territorialità, finendo col fare di tutta l'erba un fascio".

Un secondo dato rilevante è quello relativo agli investimenti. Messina e Catania risultano, ad oggi, le zone dove - nonostante la crisi, avvertita comunque da tutti i produttori - maggiormente si continua ad impiegare il denaro soprattutto nell'ambito della tecnologia e dell'innovazione.

"La nostra area è sicuramente quella che fa da apripista - ha detto Giuseppe Benanti, a capo di una delle maggiori aziende vitivinicole dell'Etna - ma, alla fine, si arriva ad una sorta di accorpamento e omologazione dei vini siciliani, per cui i nostri sforzi diventano nulli".
E' proprio nel settore comunicazione e marketing, infatti, che le aziende isolane investono di meno, con degli sforzi che non superano quasi mai il 5%.

Nel corso della sessione pomeridiana di lavori, in cui si è discusso del tema "Dalla bottiglia alla tavola", ad insorgere sono stati invece ristoratori ed enotecai. Uniti da una stessa linea di pensiero, hanno protestato per i rincari che si applicano sui vini al momento della vendita. "Aumenti di prezzo troppo alti rispetto al prezzo originario - hanno spiegato - e che mediamente raggiungono il 20% ma spesso lo superano di gran lunga".