Italia

Dal 2003 al 2013. Tanti auguri Teatro Naturale

Pensiamo già al futuro, ai prossimi dieci anni. Nuovi progetti attendono di essere sviluppati, nuove idee di germogliare. Intanto, per celebrare con noi un momento importante e significativo, abbiamo chiamato i nostri sindaci: Rossano Pazzagli che ha visto nascere Teatro Naturale e Giampaolo Pioli che condivide la gioia di questo decennale

07 settembre 2013 | T N

Con la mente siamo già oltre.

Stiamo lavorando, anche in questi giorni, per il domani, per il futuro di Teatro Naturale.

Quasi non abbiamo avuto tempo di pensare che dieci anni sono passati. Quasi, appunto, perchè un decennale rappresenta pur sempre un decennale.

Si tratta di un appuntamento con la storia, la nostra storia, che vogliamo onorare come merita.

Non abbiamo voluto sfarzosi festeggiamenti o pletoriche cerimonie. Vogliamo, questo sì, celebrare questo momento con tutti voi, i nostri lettori, ma anche con chi ci è stato a fianco in questi anni.

Nell'Italia dei Comuni non potevamo far diversamente che chiamare a raccolta i nostri sindaci. I sindaci di Suvereto, il borgo medioevale dove ha sede Teatro Naturale.

Non è allora solo un caso la rievocazione dell'Italia dei Comuni, tessuto sempreverde di un Paese che ha dato molto e molto ancora può dare.

I nostri sindaci hanno accompagnato la nascita e la crescita di Teatro Naturale, sin dal primo vagito, quel 6 settembre 2003, che ha sancito l'esordio on line di questo magazine.

Ecco perchè abbiamo voluto festeggiare questa ricorrenza con loro, con le loro parole.

Tanti auguri Teatro Naturale!

 

Dieci anni di Teatro Naturale sono un compleanno di primaria importanza per tutti coloro che credono che la valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche e, conseguentemente, dei territori che le esprimono, sia la vera ricchezza del nostro paese.

Partendo da tutto quello che riguarda “sua maestà l’olio di oliva”, vero giacimento aurifero dell’Italia e anche di questa terra per la quale ho l’onore di lavorare come sindaco, Teatro Naturale, ha in questi anni condotto un’infaticabile attività di approfondimento, di informazione tecnica ed economica e, quando si è rivelato necessario, di battaglia per la difesa di questo straordinario prodotto, svolgendo quindi un ruolo insostituibile e rappresentando un punto di riferimento insostituibile non solo per il mondo della produzione, ma anche per tutti coloro a cui sta a cuore la tipicità, intesa nella sua duplice ma non distinguibile valenza di “prodotto” e di “territorio”.

Ma precise e documentatissime si sono rivelate le frequenti incursioni che Teatro Naturale compie volentieri su altri terreni, come quello delle produzioni vinicole di qualità. Scusandomi per il riferimento personale ricordo solo quanto preziosi furono i contributi della testata al mio lavoro di Presidente Nazionale dell’Associazione Città del Vino che ho svolto per tre anni e con cui continuo a collaborare.

Infine è per me e per la comunità di Suvereto motivo di orgoglio avere nel proprio comune una testata di tale valore e poter annoverare tra i nostri cittadini Alberto Grimelli. Alberto, che non si limita alle sue pur estesissime conoscenze teoriche, ma le pratica, nella sua azienda di famiglia, ha sempre messo a disposizione della comunità e del Comune, quando queste hanno chiesto, il suo tempo e le sue competenze.

Agli amici e a tutti i collaboratori di Teatro Naturale “cento di questi giorni”. In un paese dove governi e grande politica sembrano essersi dimenticati delle incredibili potenzialità che le nostre tipicità potrebbero esprimere, c’è ancora più bisogno di voi. Contiamo di avervi ancora molto a lungo al nostro fianco.

 

Giampaolo Pioli

Sindaco di Suvereto, esperto di comunicazione e marketing, già Presidente dell'Associazione nazionale Città del Vino

 

Dieci anni non sono molti nella lunga scala della storia, ma questi ultimi dieci anni, che hanno segnato l’apertura di un secolo e di un nuovo millennio, avrebbero potuto rappresentare il tempo di un riscatto, forse di una rinascita, dopo la forte accelerazione delle trasformazioni economiche e ambientali della seconda metà del Novecento. Teatro Naturale ci ha provato, con consapevolezza e lungimiranza, ma così per ora non è stato. E la realtà sembra procedere per conto suo, come spinta da una mano invisibile. I processi di marginalizzazione del territorio rurale, l’dea dell’inferiorità della dimensione locale, l’oppressione di una globalizzazione che ha generato sentimenti diffusi d’impotenza e di ineluttabilità sono continuati, guidati essenzialmente da poteri sempre più forti e concentrati, sempre meno trasparenti, sempre più lontani dai cittadini e dai territori. Così alla crisi economica e ambientale, già conclamate, si è aggiunta quella della politica e della democrazia. Teatro Naturale ha saputo guardare al mondo restando ancorato ai territori, tentando di proporre con regolarità, settimana dopo settimana, una visione che rimette al centro il patrimonio rurale del nostro Paese, il territorio come generatore e contenitore di bellezza e di risorse. La rivista fondata da Alberto Grimelli e Luigi Caricato ha contribuito a tenere alta l’attenzione sulla bellezza e sul gusto dell’Italia, di un paese plurale e bellissimo malgrado la brutta politica a cui ci siamo progressivamente abituati. Ne viene fuori un paesaggio a metà tra comunicazione e consapevolezza, tra conoscenza e responsabilità. È un paesaggio culturale che sembra andare di pari passo con il paesaggio vero e proprio, l’aspetto visibile del territorio italiano, fatto di città e di campagne. Di ampie campagne alle quali occorre ridare voce.

Il paesaggio è lo specchio della società. Scriveva più di cinquant’anni fa Emilio Sereni che il paesaggio è il farsi di una società in un territorio. Per questo possiamo dire che le odierne ferite al paesaggio sono anche il sintomo visibile di una società malata. Malata di speculazione e di cemento, ma non solo. La patologia comprende anche la trascuratezza del mondo rurale, l’oblio delle campagne dopo il lungo addio novecentesco, la scarsa considerazione dell’agricoltura. Le ferite, in molti casi mortali, al paesaggio non si sono verificate soltanto intorno alle grandi città. Se a Roma, la città dei Cesari e dei Papi, si è generata una cintura di favelas fatta di palazzoni, la campagna veneta che fu non meno mirabile e celebrata si è riempita di capannoni industriali e artigianali, spesso con villetta accanto: ben 113 milioni di metri cubi nel solo periodo 2000-2003; e in Toscana, nella bella signora delle regioni italiane, la riduzione di circa 70.000 ettari di superficie coltivata ha determinato la scomparsa di centinaia di aziende agricole. Sono solo alcuni esempi che dimostrano come il mercato immobiliare, la speculazione dilagante, la perdita di senso civico, i tagli finanziari agli enti locali, costretti a fare sempre più ricorso agli oneri di urbanizzazione per andare avanti, hanno attentato all’agricoltura italiana, che peraltro aveva già cominciato da sola, attraverso i processi di industrializzazione agricola, a trasformare il paesaggio rurale.

Le trasformazioni produttive dell’età contemporanea hanno generato una forte semplificazione del paesaggio rurale, con la perdita di rilevanti valori estetici e culturali e della biodiversità. Sono diminuiti il numero delle piante coltivate e la varietà dei sistemi agricoli, storicamente basati sul rispetto delle condizioni ambientali dei luoghi. Viviamo in un mondo più complesso e articolato, ma abbiamo intorno un paesaggio più semplice e banale. L'agricoltura, in effetti, è una delle attività umane più antiche che da sempre ha modellato il paesaggio ed influenzato l'ambiente e la biodiversità sul territorio di gran parte del pianeta. Partendo dalla rivoluzione neolitica e arrivando agli odierni quadri ambientali, lo sfruttamento razionale dello spazio ha subito una evoluzione profonda, che si è fortemente accelerata nell’ultimo secolo, in concomitanza con un incremento demografico sconosciuto nelle epoche precedenti (in soli 100 anni la popolazione mondiale è passata da un miliardo e mezzo a sei miliardi di abitanti; e ora siamo già a sette). È necessario guardare a questa evoluzione con un approccio non esclusivamente antropocentrico, che recuperi la soggettività delle forze naturali e, in particolare, sappia porre al centro dell’attenzione non tanto l’uomo, ma piuttosto il rapporto tra uomo e natura come l’asse privilegiato su cui misurare la direzione e la portata delle trasformazioni.

Nell’ambito del rapporto uomo/natura o uomo/risorse il ruolo dell’agricoltura si staglia netto, al di sopra di ogni altra attività umana per pervasività e continuità. L’agricoltura, che tra le varie attività economiche resta la più sensibile alle condizioni ambientali, contribuisce, oltre che alla fondamentale produzione di cibo, alla costruzione del territorio, all’organizzazione della società e, in particolar modo, alla formazione del paesaggio, costituendo sul lungo periodo il principale strumento di antropizzazione dell’ambiente naturale e la struttura di base di ogni paesaggio rurale. I suoi effetti si rendono visibili nelle colture utilizzate, nelle sistemazioni dei terreni, nelle tecniche di coltivazione, nell’allevamento del bestiame, nelle forme dell’insediamento rurale, nelle infrastrutture nella campagna, ecc. La storia dell’agricoltura conferma inequivocabilmente che l’Italia è un paese plurale. E questa pluralità è la sua ricchezza, a condizione di conoscerla e di governarla.

Di fronte a processi che semplificano e banalizzano il paesaggio, rendendo più scarso e vulnerabile il suolo, occorre conoscere e salvare le trame storiche. Occorre allora, innanzitutto, che la questione di che cosa e come coltivare entri a pieno titolo negli strumenti locali di governo del territorio, coniugando la sostenibilità economica delle aziende agricole con la conservazione della trama storica dei paesaggi, limitando la specializzazione estrema e la separazione degli spazi rurali. Ma per fare questo c’è bisogno del recupero di una cultura della pianificazione pubblica ormai scomparsa da tempo, divorata nelle fauci della negoziazione tra interessi forti e politica secondo una logica postdemocratica.

L’esperienza storica, frutto dell’intreccio tra condizioni naturali e azioni antropiche, mostra la forza, ma anche la fragilità, di un processo di lungo periodo che non deve essere trascurato: esso ha prodotto, grazie all’organizzazione dell’agricoltura, un insediamento “resistente”, fatto di case coloniche, di masserie, di cascine, di una fitta rete di viabilità rurale, della compresenza di colture legnose ed erbacee sugli stessi terreni, con la vite e l’olivo intercalati ai seminativi, di una continua e coerente manutenzione territoriale… un lungo processo di costruzione della campagna che oggi entra a pieno titolo tra la risorse del territorio e che non può essere sacrificato sull’altare del mercato e della specializzazione produttiva o, ancora peggio, svenduto per alterare irreversibilmente il territorio rurale con impianti turistici o energetici, disseminando la campagna di funzioni improprie, separate anziché integrate con l’attività degli agricoltori.

Una grande e nuova responsabilità attende le politiche urbanistiche e le politiche agricole, che devono contenere una più rigorosa ed efficace disciplina del territorio rurale che tanto peso ha nel paesaggio delle regioni italiane. All'agricoltura si chiede ormai un ruolo multifunzionale: non solo di nutrire l'umanità ed assicurare alla stessa alcuni prodotti non alimentari comunque essenziali per il suo sviluppo, ma anche di fornire energia pulita, di contribuire alla salvaguardia dell'ambiente, al miglioramento della qualità della vita anche delle popolazioni non agricole, all'integrazione dei sistemi economici e sociali locali, e soprattutto alla tutela, valorizzazione e miglioramento del paesaggio. È necessario che il settore agricolo diventi non solo cosciente del valore di questa risorsa, ma anche il primo attore della sua difesa, contrastando i fenomeni a carattere degradativi, le conseguenze di politiche inadeguate, e riappropriandosi del ruolo di attore principale che la storia ha assegnato al mondo rurale per la costruzione e conservazione di questo patrimonio. C’è una relazione forte tra qualità dei prodotti e qualità del paesaggio, che in fondo altro non è che una mirabile sintesi fra natura e pratiche agricole. Questa consapevolezza e questa responsabilità, però, non devono gravare interamente sulle spalle del mondo rurale: serve invece un riconoscimento generale, di tutta società, che l’agricoltura è e deve restare la più fondamentale tra le attività economiche e che coloro che la esercitano, vecchi e nuovi contadini, meritano rispetto e dignità. Teatro Naturale ha saputo tenere alta la bandiera del mondo rurale, dei suoi prodotti e dei suoi protagonisti. Così ci ha abituati e così – ne sono convinto – continuerà a fare, traducendo in linguaggi moderni il valore di una tradizione da coltivare governando (e non subendo) le sue inevitabili trasformazioni.

 

Rossano Pazzagli

Storico, docente all’Università del Molise, membro della Società dei Territorialisti, già sindaco di Suvereto

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