Italia
La scomparsa delle piccole aziende agricole applaudita da tutti o quasi
La fotografia dell'Istat indica un profondo cambiamento in atto nell'agricoltura italiana. Si arresta il crollo delle superfici agricole utilizzabili ma in dieci anni sono scomparse 800mila imprese
09 luglio 2011 | Alberto Grimelli
Dopo l'allarme rosso lanciato nel 2000 per il crollo della superficie agricola utilizzabile, la situazione sembra progressivamente migliorare e a distanza di 10 anni siamo a festeggiare un nuovo calo (-2,3%) ma decisamente contenuto e quindi, si spera, indice di una possibile inversione di tendenza di qui a qualche anno.
Qualche segnale c'è. In Abruzzo, Puglia, Sicilia e Sardegna i segni sono infatti positivi a significare che ritorna un certo interesse per i campi agricoli.
Ma da parete di chi?
Questo è il principale dilemma. Infatti il numero di imprese agricole in Italia è diminuito vertiginosamente, passando da 2.400.000 unità e 1.600.000 in dieci anni, un crollo del 30%.
La dimensione media aziendale è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, passando da 5,5 ettari di superficie agricola utilizzabile (SAU) per azienda a 7,9 ettari nel 2010 (+44,4%). L’effetto delle politiche comunitarie e dell’andamento dei mercati ha determinato l’uscita delle piccole aziende dal settore, favorendo la concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in unità di maggiore dimensione e avvicinando il nostro Paese alla struttura aziendale media europea.
Anche la dimensione media aziendale in termini di superficie agricola totale (SAT) aumenta rispetto al 2000, passando da 7,8 a 10,6 ettari. Tuttavia, in valore assoluto, la SAT complessiva diminuisce (-8%) assai più della SAU (-2,3%), segnale di un processo di ricomposizione fondiaria che ha trasferito alle aziende agricole attive nel 2010 prevalentemente superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e in misura minore i terreni non utilizzati o investiti a boschi annessi ad esse.
Il fenomeno dell’accorpamento aziendale risulta ancor più evidente dalla distribuzione delle aziende per classi di SAU. Le aziende di piccola e media dimensione (inferiori ai 30 ettari) sono diminuite in misura inversamente proporzionale alla loro dimensione, mentre quelle con 30 ettari ed oltre sono in numero crescente.
La distribuzione della SAU tra i quattro gruppi di coltivazioni rilevata al censimento del 2010 non differisce di molto da quella riferita al 2000. I seminativi coprono nel 2010 il 54,4% della SAU (erano il 55,3% nel 2000) e, in valore assoluto, registrano una diminuzione del 3,7%; i prati permanenti e pascoli rappresentano il 26,9% (erano il 25,9% nel 2000) e segnano un incremento dell’1,6%; restano quasi immutate le quote di SAU destinate a coltivazioni legnose agrarie (18,4% del totale contro 18,5% del 2000) e a orti familiari4 (0,2% del totale contro 0,3% del 2000), anche se diminuiscono entrambe in valore assoluto, rispettivamente del 3% e del 23,9%.
Le legnose agrarie che comprendono, tra l’altro, l’olivo, la vite, gli agrumi e i fruttiferi continuano ad essere le colture più diffuse tra le aziende (73,4% del totale) con una dimensione media di 2 ettari per azienda coltivatrice, in aumento di 0,6 ettari rispetto al 2000. I seminativi sono coltivati da oltre la metà delle aziende agricole (51,2% del totale) con una dimensione media di 8,4 ettari ad azienda coltivatrice, in aumento di 2,7 ettari rispetto al 2000. I prati permanenti e pascoli sono presenti in circa un sesto delle aziende censite (16,9% del totale) con una dimensione media consistente (12,6 ettari ad azienda coltivatrice) e in netto aumento rispetto al 2000 (+5,8 ettari).
“Da un’analisi dei dati emergono alcune tendenze che si sono accentuate in maniera particolarmente evidente negli ultimi anni – ha dichiarato il Ministro Romano -, prima fra tutte quella relativa alla massiccia riduzione del numero delle aziende agricole. Allo stesso modo, credo sia indispensabile valutare con la massima attenzione la forte riduzione dell’utilizzo di manodopera. La diminuzione superiore al 30% della manodopera aziendale complessiva, registrata nelle Regioni e Province autonome ad alta partecipazione, si presta a diversi livelli di lettura. Il primo e più immediato è senza dubbio quello di rispondere alla necessità, per gli imprenditori, di ridurre i costi per riuscire a rimanere competitivi. Ci conforta, almeno in parte, il fatto che le giornate di lavoro standard subiscano una flessione più contenuta, ma è un dato che rimane preoccupante. D’altra parte, non si può non considerare che le scelte degli operatori sono dettate inevitabilmente anche dal momento vissuto dai mercati. La volatilità dei prezzi che caratterizza il settore agroalimentare porta i produttori a semplificare gli ordinamenti produttivi”.
“La fotografia scattata dal censimento agricolo dell’Istat ci sembra si possa giudicare un bicchiere mezzo vuoto che rappresenta anche un campanello d’allarme, perché il settore agricolo è a rischio di un ulteriore ridimensionamento”. Lo ha affermato il presidente di Fedagri-Confcooperative, Maurizio Gardini anche a nome dei presidenti Giovanni Luppi di Legacoop Agroalimentare e Giampaolo Buonfiglio di Agci Agrital. “Il sottodimensionamento – aggiunge Gardini – resta il peggior nemico delle imprese agricole italiane, fattore che le relega ad un destino di marginalità e che va combattuto accompagnando le imprese a crescere in dimensioni. Non dobbiamo correre il rischio di ritrovarci tra dieci anni di fronte ad un ulteriore loro ridimensionamento con solo 900.000 imprese sul mercato”.
“L’8% delle imprese agricole gestisce il 63% dei terreni coltivabili, si consolida la ‘minoranza trainante’. Infatti la concentrazione produttiva negli ultimi dieci anni ha fatto sì che 132 mila aziende, ognuna che opera su almeno 20 ettari di superficie, gestiscano quasi 8 milioni di ettari dei 13 milioni complessivi. Lo ha posto in evidenza Giandomenico Consalvo, componente della Giunta di Confagricoltura. “La crescita delle imprese agricole condotte da giovani è un primo, incoraggiante segnale, a dimostrazione che le politiche che favoriscono il ricambio generazionale vanno ulteriormente rafforzate. Parte dalla campagna il rinnovamento economico del Paese” ha detto il presidente dei Giovani di Confagricoltura, Nicola Motolese.
L’impressione generale è che l’agricoltura stia uscendo, e in modo irreversibile, da un certo immobilismo strutturale. Un processo che però non è indolore, visto che fenomeni positivi come l’ampliamento dimensionale delle imprese agricole sono conseguenza di una forte contrazione del numero di aziende attive. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori. A timidi segnali di cambiamento si contrappone, però, un dato fortemente negativo: nel Censimento non c’è traccia di ricambio generazionale. Ad oggi, infatti, solo il 2,5 per cento delle imprese agricole ha un titolare con meno di 30 anni -sottolinea la Cia-. Dieci anni fa era il 2,1 per cento. Si tratta di un aumento davvero misero, e di un’ulteriore prova del fatto che finora si è fatto poco o nulla per favorire e incentivare l’ingresso dei giovani nel settore.
“Negli ultimi dieci anni sono più che raddoppiati i laureati alla guida delle aziende agricole a conferma di un processo di professionalizzazione che ha riguardato anche l’aumento della superficie media aziendale del 44,4 per cento e soprattutto la straordinaria crescita degli agricoltori impegnati in attività multifunzionali di trasformazione e vendita di prodotti e nell’offerta di servizi innovativi”. E’ quanto ha affermato il Presidente della Coldiretti Sergio Marini.
Alfonso Pascale
12 luglio 2011 ore 10:55Caro Dott. Grimelli,
lei riporta correttamente i dati provvisori dell'ultimo Censimento dell'Agricoltura diffusi dall'Istat e li analizza confrontandoli con quelli di 10 anni fa, "corretti" dallo stesso Istituto per renderli tra loro comparabili. Nei due Censimenti sono stati, infatti, adottati criteri differenti per definire l'universo di riferimento delle aziende.
Utilizzerei con molta cautela questi dati, soprattutto quello riferito al calo "vertiginoso" di aziende agricole. Ho l'impressione che la scomparsa delle aziende sia non solo il frutto di un artificio statistico, per uniformarci ai criteri europei, ma anche di una qualche disattenzione in fase di rilevamento.
Siccome noi siamo sempre bravi ad approfittare di questi momenti un po' opachi per tirare l'acqua al proprio mulino, non vorrei che la parola d'ordine circolata ultimamente con insistenza in Italia "va ridimensionato il numero di aziende agricole sfoltendo le più piccole per concentrare gli aiuti comunitari su quelle di ampiezza medio-grande", si sia trasformata in un invito pressante ai rilevatori di questo tipo: "Censite prima le imprese iscritte alla Camera di Commercio e poi andate a cercare le altre se ci sarà tempo". Sicché, in molte situazioni non si è tornati più a censire le unità produttive dedite principalmente all'autoconsumo.
Se così fosse, la scomparsa delle "lucciole" sarebbe solo apparente.
Ho, infatti, l'impressione che nel conteggio non ci siano tanti piccoli appezzamenti che servono ad altrettante famiglie italiane a risparmiare sulla spesa alimentare, ad accrescere il proprio benessere psico-fisico e a contribuire a tutelare il paesaggio agrario.
Molte unità produttive di questo tipo rientrano perfettamente nei criteri europei per definire l'universo di riferimento delle aziende ma non sono utili a mostrare una fotografia dell'agricoltura italiana che giustifichi una concentrazione di aiuti comunitari destinati a sostenere il reddito delle aziende di ampiezza medio-grande.
Cordiali saluti
Alfonso Pascale