Gastronomia

Davide Oldani e la cucina pop

Il noto chef milanese? Sognava di fare il calciatore, ma prima Gualtiero Marchesi, poi Albert Roux, Alain Ducasse e Pierre Hermé gli hanno dato le basi per esaltare la "cucina dell'umiltà"

19 dicembre 2009 | Monica Sommacampagna

Davide Oldani

Da ragazzino sognava di fare il calciatore. Ma i suoi goal li ha segnati tutti in cucina. Dalle mani appassionate di mamma Luigia alla scuola di Gualtiero Marchesi, dalla scuola di Albert Roux e Alain Ducasse a quella di Pierre Hermé, questo milanese di 41 anni ha attinto le basi per la sua arte.

Certo, quella che potremmo chiamare la sua “altezza”, la sua cifra stilistica, è tutta farina del suo sacco: “Si impara dai maestri per poi darsi una precisa identità”. La metafora del calcio gli appartiene come una seconda pelle.

“Vedo la ristorazione come un lavoro di squadra. Ho un’idea e la confronto con i miei collaboratori, i risultati nascono dall’opera di un team, non dalla maestria di un solo cuoco”. Instancabile, dopo aver calamitato l’attenzione e l’apprezzamento della critica gastronomica e del pubblico sul suo “D’O”, ha recentemente pubblicato il libro La mia cucina pop. L’arte di caramellare i sogni (Rcs Editore, 2009) e ci dice: “La verità del mio essere pop è in quello che probabilmente ha fatto più parlare di me negli ultimi anni: la mia cipolla caramellata. Lì, credo, sta tutto il mio essere pop e anche il sogno della mia vita.



Non si tratta di “cucina povera” quanto piuttosto di cucina umile, perché creata e portata in tavola con una sana dose di umiltà, una virtù che dovrebbe estendersi a tutti gli ambiti della vita”. Ecco perché vi presentiamo proprio questa ricetta. L’intervista l’ho fatta a Davide mentre era in viaggio verso un’insolita meta: la partita tra la nazionale DJ e l’Atalanta. “Ma per cinque minuti sul campo ci gioco anch’io” mi ha detto. Il tono della voce era quello di un adulto che ha l’impagabile soddisfazione di ghermire – anche per un solo istante - il suo sogno di ragazzino.


La mia filosofia. “Senza” per lui fa rima con “essenza”. La sua cucina la chiama “pop”, nel senso di popolare, di materie prime povere lavorate con tecnica sopraffina. Ma è priva di grassi, sobria, incentrata sull’esaltazione dei sapori grazie ai modi semplici, poco glamour, tanto stuzzicanti. “É dietista, utilizzo molto le spezie, tanta frutta e verdura, poca carne. Il menù ha un prezzo onesto, tenuto conto delle materie prime che acquisto e del loro costo”.

La cucina italiana all’estero. “Dopo anni in cui veniva reputata alla stregua di pizza, mandolino e vino, oggi viene identificata prettamente con la pasta. E non è facile trasportare la vera cucina italiana oltre i confini nazionali, in questo senso preferirei essere primo in Italia che secondo all’estero dove il ristorante italiano viene identificato con la trattoria. Ecco, io con il D’O ho concretizzato un sogno: reimpostare la trattoria italiana secondo una concezione moderna”.

Prodotti tipici. “Non credo nel romanticismo del contadino che ti porta la sua piccola produzione. Anche perché, avendo prenotazioni per un anno, devo sempre assicurare di avere in casa quello che inserisco in menù e la gente si aspetta da me. Mi piace però quel gusto antico e vero dei prodotti stagionali, di qualità e pieni di sapore”.

Olio extra vergine di oliva. “Non deve mai farla da padrone nei miei piatti, per questo lo uso in misura del 10% e solo d’estate. In genere per gli arrosti utilizzo l’olio di semi di girasole per non alterare il gusto. Il mio amore per il “dietetico” mi spinge a privilegiare invece l’acqua, le cotture al vapore, le bolliture e il burro a crudo. I miei dolci non prevedono carboidrati né glutine”.

Vino. “La mia carta dei vini prevede 300 etichette, per tutti è possibile l’apertura anche solo per un calice. La mia idea è che il vino non deve valorizzare il cibo, ciascuno deve valere di per sé. Anzi, per me la buona cucina va mangiata senza bere a pasto perché i piatti devono contenere tutti i liquidi necessari per l’organismo”.

Nuove idee. “Per l’estate propongo alcuni piatti abbinati a infusioni fredde di spezie ed erbe essiccate, adatte con le carni”.

Sogni… “Da ragazzo volevo diventare calciatore. A 16 anni giocavo già in C2. Ma non ci sono riuscito. Un infortunio mi ha precluso ogni possibilità. Per fortuna avevo un altro sogno. Vedendo cucinare mia mamma Luigia, milanese e amante delle tradizioni, mi sono appassionato alla buona cucina. Così ho maturato l’ambizione di aprire un locale tutto mio. In questo sono riuscito con il “D’O” e oggi il mio obiettivo è quello che a mio avviso dovrebbe avere ogni chef: essere quanto più preciso nel servizio alla clientela”.