Gastronomia

ELOGIO DEGLI SPAGHETTI

Forse non tutti conoscono un curioso saggio dello scrittore Giuseppe Prezzolini: “Maccheroni & C.”. La pastasciutta forse non piaceva a Leopardi, perché a causa del suo stomaco debole preferiva i brodini. In compenso gli spaghetti hanno pieno diritto di appartenere alla civiltà italica come e più di Dante Alighieri

17 gennaio 2004 | T N

Non potevamo non ricordare un grande scrittore messo purtroppo in ombra per ragioni ideologiche. “Teatro Naturale” si distingue proprio per la dichiarata intenzione di superare ogni forma di pregiudizio. E’ nel nome della libertà di pensiero – a volte purtroppo oscurata per ragioni di bottega o per pura insipienza – che noi invece presentiamo un curioso saggio di Giuseppe Prezzolini, tratto dal volume Maccheroni & C., pubblicato in prima edizione dall’editore Longanesi nel 1957, poi riproposto tal quale nel 1998 per i tipi della Rusconi.
Si dovrebbe rivalutare l’intera opera di una tra le figure più nitide e di maggior rilievo del Novecento. Prezzolini è stato fondatore peraltro, nel 1902, della celebre rivista “Leonardo”, con Giovanni Papini, e, nel 1908, dello storico settimanale “La Voce”. Nato a Perugia nel 1882, è morto a Lugano nel 1982. Tra i suoi libri ricordiamo
L’italiano inutile e Vita di Nicolò Machiavelli fiorentino.



Ho letto molti libri di professori nonché di professoresse sull’influenza dell’Italia e della coltura italiana in America, pubblicati da rispettabilissime case editrici e tutti ben documentati sulla fama di Dante Alighieri e sulle traduzioni che ha subìto e sui commenti che da questa parte dell’oceano gli hanno inflitto; ma, domando io, che son un professore poco professorale, che cos’è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti? Gli spaghetti sono penetrati in moltissime case americane dove il nome di Dante non viene mai pronunziato. Inoltre l’opera di Dante è il prodotto d’un singolare uomo di genio, mentre gli spaghetti son l’espressione del genio collettivo del popolo italiano, il quale ne ha fatto un piatto nazionale, ma non mostra di aver invece adottato le idee politiche e il contegno del grande poeta. Quell’australiano di cui Moretti narrava non avrebbe capito nemmen l’armonia, per non dire il senso, di un verso di Dante, ma il piatto di tagliatelle dovette convincerlo che si trovava di fronte ad una “civiltà”.

Quasi tutti i popoli del mondo han saputo mescolare la farina di grano con l’acqua e n’han cavato dei pani o dei biscotti, ma le forme fantasticamente svariate delle paste alimentari, di cui gli spaghetti son soltanto una, sia pur la più celebre, son proprio dell’immaginazione di un popolo artistico come l’italiano, che ha capito che per mangiare bene non basta offrire cosa sana o nutriente ed igienicamente preparata, ma bisogna stuzzicar la mente, e che l’appetito incomincia con gi occhi. Tale principio, conforme alle esperienze della fisiologia moderna, si trova applicato in questo cibo curioso, gli spaghetti, che non è mai lo stesso. La guancia rosata d’un rosbiffe da bene è gradita: ma a lungo stanca. E’ monotona, come la cucina anglosassone in cui tiene il primato. Gli spaghetti offron un fondamento, il primo piano anzi, per una costruzione di condimenti e di accompagnamenti, e si posson mangiare in maniere differenti, a seconda dei caratteri umani, accomodandoli con la forchetta, oppure afferrandoli con la punta delle dita e facendoli poi penetrare a sbalzi o correnti come una matassa nella bocca e giù per la gola. Conditi col burro e formaggio, stanno al principio del pranzo, come una minestra; e conditi con lo zucchero, posson stare in cima a un dolce, per la fine del pranzo; e conditi col sugo, posson andar in compagnia di qualunque portata di carne, come fossero dei vegetali.

La cucina americana ereditò dall’Inghilterra l’uso e l’abuso della carne arrostita e quindi l’arte dello scalco è viva tutt’ora, nelle case che si piccan di conservare le tradizioni. Saper tagliare un tacchino del Virginia riempito di brune castagne e circondato di rossa cranberry, o un’oca del Long Island cotta con fette d’arancio, è una bravura alla quale pochi padroni o padrone di casa voglion rinunziare; e si vendon tavolette irte di punte che tengon fermo il volatile, coltelli a forma di scimitarra, e forchette con denti più lunghi di quelle da pagliaio per compiere l’operazione che fa soffermare gli ospiti in minuti di ammirativo silenzio.

Ma l’America ha importato dall’Italia gli spaghetti che forniscon anch’essi tanti problemi da risolvere a tavola. Dal modo col quale mangi gli spaghetti un italiano ti conoscerà per straniero, o per uno straniero che ha imparato; e una persona acuta scoprirà anche qualche tratto del tuo carattere, avido, avaro, frettoloso, timoroso, impetuoso, meticoloso, cauto, disordinato, distratto, vedendo il modo col quale tratterrai gli spaghetti che il cameriere o l’ospite ti ha portato.

Ci sono molti modi, infatti, di risolvere il problema d’un piatto di spaghetti, quello d’aggredirli a forchettate, quello di giocherellarci colla punta della forchetta, quello di iniziarli dalla parte destra, o dalla sinistra, oppure dalla cima, quello di lasciarli raffreddare (una colpa gravissima agli occhi d’un buongustaio). E son sicuro che un giorno o l’altro i dottori di psicoanalisi non si contenteranno d’interrogare il paziente disteso sopra un sofà, ma vorran vederlo a tavola colla forchetta in mano davanti ad un piatto di spaghetti, e così stabiliranno delle categorie e fisseranno delle differenze di comportamento.

Molto giustamente il critico Christopher Morley disse: “Non ci si sente mai soli quando si mangian spaghetti; richiedon troppa attenzione”. E forse è per questo, oltre che per lo stomaco poco robusto, che gli spaghetti non piacevano a Leopardi il quale era un mangiatore “solitario” e con l’accompagnamento di molta rara erudizione ce ne dà le ragioni in un passo dello Zibaldone.

I mangiatori di spaghetti non vanno certamente d’accordo con Leopardi, perché le paste asciutte italiane sono un piatto che invita alla compagnia; ed Antonio Baldini ci ha ricordato che Leopardi, a causa del suo stomaco debole, non mangiava spaghetti, ma “brodini”.

Giuseppe Prezzolini