Economia
Più risorse per l’agricoltura. Sarà possibile?
Ci vuole una Pac che rafforzi la coesione europea e l’unità nazionale degli Stati membri. Le intenzioni sono buone, ma nel frattempo il governo non ha avviato il confronto per definire le proprie scelte, e nemmeno le Regioni hanno dimostrano sensibilità al tema. Un meticoloso e articolato saggio di Alfonso Pascale
08 maggio 2010 | Alfonso Pascale
Il dibattito sul futuro delle politiche e del bilancio dellâUnione Europea dopo il 2013 non può prescindere dallâagricoltura. La principale politica europea è, infatti, la PAC che assorbe attualmente circa il 40 % del budget comunitario. Che ne sarà di questa politica nei prossimi anni?
LâItalia non solo non ha ancora una posizione da far valere nel negoziato comunitario che porterà al varo delle nuove politiche, ma il governo non ha nemmeno avviato il confronto nel Parlamento e nel Paese per definire le proprie scelte. Neanche le Regioni, che gestiscono in modo prevalente le agevolazioni allâagricoltura, hanno mostrato finora di considerare il dibattito sul futuro della PAC una priorità .
Eâ molto probabile che lâapporto dei singoli Paesi membri al bilancio comunitario resterà invariato: lâ1,17 % del proprio Pil. Con la crisi economica in atto difficilmente si potrà ipotizzare un aumento del contributo. Le nuove politiche si dovranno, dunque, fare con lo stesso ammontare delle risorse del budget attuale. E se vogliamo più Europa per uscire dalla crisi bisognerà che lâUnione orienti la spesa non solo verso lâagricoltura ma anche in direzione della ricerca, delle politiche ambientali (lotta al cambiamento climatico, diversificazione delle fonti energetiche, ecc.), delle politiche per lâimmigrazione, ecc.
Dunque, non potremo, da una parte, chiedere allâEuropa di fare più politiche e, dallâaltra, pretendere di mantenere invariata la spesa agricola. Dovremo essere consapevoli che il budget agricolo necessariamente si ridurrà e il livello del taglio dipenderà dalla forza degli argomenti che saranno prodotti per giustificare la PAC e dalle scelte che verranno fatte nel ridefinire con chiarezza i suoi obiettivi, dimostrando i vantaggi che ne potranno trarre non solo gli agricoltori ma lâinsieme dei cittadini europei.
Stretti nella morsa di dover utilizzare in modo più efficace meno risorse e di predisporci a fronteggiare le nuove sfide del XXI secolo, dallâemergenza alimentare a quella energetica e climatica, potremmo forse cogliere lâoccasione per riformare finalmente la PAC nei suoi cardini fondamentali.
Lâagricoltura come elemento di coesione e solidarietÃ
I padri fondatori dellâEuropa agganciarono la finalità principale della PAC al nesso inscindibile, per quellâepoca, dellâobiettivo dellâautoapprovvigionamento degli alimenti con quello dellâintegrità e della sicurezza dei territori europei. Il Trattato di Roma del â57 e successivamente la Conferenza di Stresa del â58 declinarono questo principio in una serie di obiettivi rimasti ancora oggi in vigore: sicurezza alimentare, efficienza economica e competitività del settore primario, equa distribuzione dei redditi agricoli ed extra-agricoli.
Le grandi crisi planetarie che sono sopraggiunte negli ultimi decenni ci inducono ad ampliare quel nesso: lotta al cambiamento climatico, risparmio energetico, sicurezza degli alimenti e integrità delle frontiere europee vanno intrecciate al mantenimento di agricolture vive, diversificate e capaci di produrre congiuntamente beni alimentari di qualità e beni comuni e relazionali in grado di accrescere il capitale fisico e civile su cui si reggono le comunità locali, che devono agire solidalmente, sul piano nazionale e su quello europeo, per fronteggiare le nuove sfide ambientali.
Nel nuovo contesto caratterizzato dai rischi alimentari e climatici su scala planetaria, la politica agricola si presenta ancora una volta come unâincredibile forza di coesione e solidarietà in Stati nazionali che potranno così irrobustire la loro unità e capacità dâurto nelle nuove sfide e in unâEuropa che è diventata più grande e, dunque, più bisognosa di consolidare la propria integrazione.
Lâagricoltura ha, pertanto, una funzione strategica per lâunità dei Paesi membri e dellâEuropa nel suo insieme e la politica verso il settore primario, se verrà adeguata nei suoi obiettivi e strumenti al nuovo quadro di riferimento planetario, potrà contribuire a rendere più coese le Nazioni e lâUnione.
I francesi, che da sempre hanno chiaro il nesso tra agricoltura e identità nazionale, hanno allargato tale intreccio alla sfida ecologica e affrontano la lotta ai cambiamenti climatici, la salvaguardia della biodiversità e lo sviluppo di unâagricoltura sostenibile come una buona causa condivisa per riunire il Paese e lanciare politiche innovative con gli sforzi di tutta la collettività nazionale. E in Gran Bretagna Blair paragonò la lotta contro il cambiamento climatico a quella contro il nazifascismo e alla Guerra fredda, chiamando in causa i connazionali in questa battaglia con la stessa determinazione con la quale avevano affrontato nel recente passato le due incombenti minacce.
Eâ per questa stessa ragione che, in Italia, la Lega Nord ha preteso di gestire dapprima il ministero delle politiche agricole e poi gli assessorati allâagricoltura delle Regioni settentrionali più grandi, in modo tale da controllare una politica strategica che, se ben gestita da forze che hanno a cuore lâunità della Nazione e lâintegrazione europea, potrebbe agire contro i suoi interessi particolaristici e i suoi fini disgregativi e antieuropei. La tutela delle diversità territoriali è per questa forza politica fine a se stessa, mero messaggio mediatico, e non invece motore di un grande progetto economico che sappia mettere in sinergia tutte le risorse del Paese per sistemare lâassetto del territorio, tutelare e valorizzare a fini produttivi e sociali immense aree agricole abbandonate o in attesa di essere cementificate, aumentare la capacità commerciale del made in Italy, diversificare le fonti energetiche, investire nella ricerca scientifica e così accrescere lâoccupazione e migliorare lâesistenza di tutti gli italiani.
Nel nostro Paese, una Conferenza nazionale per definire la posizione italiana nel negoziato sulla nuova PAC andrebbe svolta nel contesto delle celebrazioni per il Centocinquantenario dellâUnità dâItalia tali sono le forti implicazioni che la politica agricola ha avuto e continua ancor più oggi ad avere per la coesione e solidarietà della Nazione dinanzi alle nuove sfide alimentari e ambientali.
I forti limiti della PAC attuale
Nel 2008 la spesa comunitaria per la PAC è stata di 45,9 miliardi per misure di mercato e di 14,63 miliardi per lo sviluppo rurale. Con questa significativa massa di denaro si finanzia un miscuglio di azioni e misure che non delineano più nel loro insieme una politica coerente ed incisiva.
Vediamo quali sono, in particolare, i principali punti critici della PAC attuale:
1) la gran parte dei finanziamenti è utilizzata per erogare aiuti diretti ai produttori senza alcun legame con la produzione ma in riferimento alla serie storica. In sostanza agli agricoltori europei viene dato un aiuto annuale in base alla media del sostegno percepito nei primi anni dellâultimo decennio. Con lâingresso dei nuovi paesi quel criterio non si potrà più adottare senza creare sperequazioni insostenibili. Ma soprattutto si tratta di un criterio iniquo in se, che priva il settore di una efficace incentivazione alla dinamicità e al ricambio generazionale;
2) gli aiuti diretti sono erogati in modo indifferenziato verificando solo determinati comportamenti dei beneficiari (rispetto delle normative ambientali, quelle riguardanti la salute degli animali, quelle igienico-sanitarie, ecc.). In definitiva è prevista una condizionalità legata al rispetto delle normative vigenti a cui si è in ogni caso tenuti, indipendentemente dallâerogazione di un contributo pubblico;
3) lo sviluppo rurale è del tutto inefficace perché è una politica eccessivamente burocratizzata e implementata, non solo per responsabilità delle Regioni, per non integrarsi con le altre politiche di sviluppo locale. Eâ, in altre parole, un intervento pubblico orientato quasi del tutto alle aziende agricole camuffato da politica per i territori rurali, sicché non soddisfa né le esigenze di ammodernamento delle imprese né i bisogni delle comunità locali.
Se questi sono i principali difetti, occorre elaborare una proposta che assegni alla PAC nuovi e più convincenti obiettivi, selezionando quelli più urgenti dal momento che le risorse finanziarie potrebbero essere minori, e definisca modalità di intervento più semplici e più razionali. Il confronto va fatto non solo con gli agricoltori ma anche con gli altri cittadini che contribuiscono al bilancio comunitario e si aspettano dalla PAC benefici tangibili.
Quali dovrebbero essere i nuovi obiettivi della PAC
La PAC del futuro dovrebbe conseguire tre obiettivi:
1) garantire la permanenza in Europa di unâagricoltura viva e capace di produrre non solo beni alimentari ma anche beni comuni e relazionali che attengono alla manutenzione del territorio, alla tutela della biodiversità , alla protezione della fertilità dei suoli, al risparmio idrico, alle pratiche di mutuo aiuto, alla reciprocità non strumentale, insomma a quelle utilità funzionali allâesercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona, nonché alla salvaguardia e allâincremento del capitale fisico e civile su cui si reggono le comunità locali;
2) incentivare le imprese agricole che, mediante organizzazioni economiche di prodotto promosse e gestite direttamente e appositi programmi operativi, introducono innovazioni e accedono a strumenti assicurativi e di gestione del rischio in grado di proteggere il reddito degli agricoltori quando si verifichino cadute dei prezzi, scongiurando così la chiusura delle aziende e il licenziamento dei lavoratori;
3) promuovere lo sviluppo delle aree rurali ammodernando le imprese multifunzionali, migliorando la qualità della vita, rendendo competitivi e attrattivi i territori rurali e salvaguardando la grande varietà dei sistemi territoriali e dei patrimoni ambientali e culturali, che costituisce il tratto peculiare delle campagne europee.
Il primo obiettivo andrebbe conseguito intervenendo su tutte le unità produttive agricole, comprese quelle âpart-timeâ che sono maggioritarie e preziose nel Mezzogiorno sempre più colpito da fenomeni di disgregazione sociale, nelle aree rurali a rischio di spopolamento e nelle aree periurbane a rischio di cementificazione. Gli incentivi dovrebbero essere erogati esclusivamente ai produttori multifunzionali, che dimostrino cioè di produrre effettivamente beni comuni e relazionali. E il livello dellâaiuto non dovrebbe essere più commisurato alla superficie posseduta ma allâentità dei beni comuni e relazionali prodotti, da misurare mediante appositi indici automatici da elaborare appositamente. Tra gli indicatori ci dovrà essere ovviamente anche il rispetto delle norme contrattuali, qualora nelle unità produttive sia impiegata manodopera dipendente.
Il secondo obiettivo andrebbe raggiunto assicurando gli interventi per fronteggiare la volatilità del mercato esclusivamente a favore dei produttori che si dotano di organizzazioni di prodotto. Tali incentivi andrebbero subordinati al rispetto dei contratti di lavoro nelle aziende.
Il terzo obiettivo andrebbe perseguito mediante lâintroduzione di strumenti dâintervento comuni a quelli dello sviluppo locale, semplificati e resi gestibili a livello territoriale, in modo tale che possano confluire nei medesimi territori misure di finanziamento non solo del Fondo europeo agricolo e di sviluppo rurale (FEASR) ma anche del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR).
Il coraggio di scegliere
Come si può vedere, si tratta di fare scelte coraggiose in forte discontinuità con lo status quo. Da una parte, occorrerebbe escludere dagli aiuti diretti quei soggetti che non producono beni comuni e relazionali, indipendentemente dalla dimensione delle unità produttive, e premiare, con una incentivazione aggiuntiva, le imprese agricole che si dotano e dirigono organizzazioni di prodotto volte allâinnovazione e alla gestione del rischio. Dallâaltra, lo sviluppo rurale dovrebbe perdere il carattere di politica settoriale e integrarsi con le altre politiche di sviluppo territoriale, mediante la definizione di un quadro giuridico e di strumenti operativi uniformi. Non sarà facile perché si tratta di ipotizzare una riforma difficilmente gradita agli agricoltori che non hanno alcuna intenzione di riorganizzare le proprie strutture per fronteggiare le nuove sfide ma sicuramente popolare tra i produttori agricoli innovativi e tra i diversi soggetti che intendono contribuire a riattivare i territori rurali.
Non sarà facile anche perché, in mancanza ormai da qualche decennio di una politica agricola nazionale che potesse dare un indirizzo innovatore, si è costituito un blocco sociale nelle campagne neocorporativo e conservatore, relativamente forte nelle relazioni con un sistema politico indebolito da una crisi che si protrae da circa un ventennio, ma minoritario nelle fasce sociali più dinamiche del settore agricolo e dei territori rurali. Lâelemento aggregante di tale blocco è una duplice rivendicazione: una è quella di restringere la platea dei beneficiari degli aiuti diretti della PAC alle sole imprese agricole professionali, escludendo le fasce più deboli e il part-time che costituiscono, invece, il baluardo contro i processi di disfacimento sociale delle aree rurali meridionali, di spopolamento dei territori lungo la dorsale appenninica e di cementificazione delle aree periurbane; la seconda è quella di fare a meno dello sviluppo rurale, ritenendo un inutile dispendio di risorse ogni azione volta a riattivare i processi di sviluppo nelle aree rurali.
Si va palesando ormai lo stadio terminale della lenta metamorfosi di un aggregato agricolo e agroindustriale che, giovandosi per oltre un quarantennio di una PAC protezionistica, ha di fatto guidato la modernizzazione del settore con una visione non chiusa a difesa dei propri interessi particolaristici ma coerente con gli obiettivi generali assegnati alla PAC dal Trattato di Roma e che ora, rinunciando ad ogni progetto di riorganizzazione dellâinsieme dei territori rurali per fronteggiare le nuove sfide, pretende in modo egoistico di sopravvivere accaparrandosi tutte le risorse pubbliche disponibili. E non si accorge che così facendo distrugge quei beni comuni, sociali, culturali e ambientali, che fortunatamente si sono preservati dai marosi della modernizzazione agricola e che costituiscono il capitale geofisico, sociale e culturale, su cui lâinsieme dellâagricoltura e dellâagroalimentare â dunque anche i soggetti del blocco conservatore che in una nuova PAC accetterebbero la sfida dellâinnovazione - può progettare nei sistemi territoriali il proprio rapporto con le reti sociali e con la pluralità dei mercati, da quelli locali a quelli internazionali.
Ad avallare unâinvoluzione siffatta sono ultimamente scesi in pista anche i sindacati dei lavoratori dipendenti, che nel confrontarsi sul futuro della PAC con le organizzazioni datoriali si sono limitati a scambiare il loro consenso alle pretese del blocco agro-industriale di assorbire tutte le risorse pubbliche con lâimpegno comune di richiedere alle istituzioni europee di condizionare lâerogazione degli aiuti alla verifica del rispetto del contratto di lavoro da parte delle aziende agricole beneficiarie, evidenziando così il sostanziale conservatorismo e lo scadimento culturale che caratterizza lâintero movimento sindacale in questâultimo periodo. A tale esito avrà probabilmente contribuito il peso divenuto nel tempo assorbente della componente agroalimentare rispetto a quella agricola, allâinterno delle organizzazioni di categoria, e lâestinguersi nel sindacato di unâattenzione agli aspetti territoriali dello sviluppo agricolo e alla problematica della ruralità , che una più forte presenza di lavoratori agricoli in passato facilitava.
Accanto a questo blocco e ai suoi alleati stenta a nascere, purtroppo, una rete capace di raccordare e dare voce ai produttori agricoli innovativi e ai soggetti che operano nei territori rurali disponibili a riorganizzarsi per una loro riattivazione. Eppure questi soggetti non solo esistono e sono numerosi, ma già sono in moto e potrebbero accelerare la loro corsa qualora una nuova politica agricola li riconoscesse e li accompagnasse. Al tavolo di partenariato della rete rurale nazionale, che il ministero ha dovuto costituire sulla base di precise disposizioni di Bruxelles, partecipano una cinquantina di organizzazioni, ma i partiti e le istituzioni parlamentari ritengono rilevante sui problemi dellâagricoltura solo il parere delle tre organizzazioni agricole più grandi.
Per sostenere scelte di così enorme portata come quelle riguardanti la nuova PAC e che vanno necessariamente mediate con un sistema di rappresentanza sociale complesso, ci vorrebbe da parte della classe dirigente unâorgogliosa consapevolezza degli immensi beni comuni e relazionali racchiusi nellâagricoltura e una dose significativa di coraggio e fiducia da infondere negli operatori economici e nelle comunità locali, che potrebbero solidalmente fronteggiare le sfide planetarie se fossero messi in grado di accrescere e valorizzare quei beni comuni e relazionali di cui sono custodi. Una PAC riformata in modo radicale influenzerebbe positivamente il futuro del Mezzogiorno dâItalia e aumenterebbe la capacità di questâarea di svolgere una funzione catalizzante nellâintera area mediterranea. Una PAC effettivamente adeguata al nuovo quadro globale aiuterebbe le Regioni a superare le proprie inefficienze e i veri e propri fallimenti nella gestione delle politiche europee di sviluppo rurale e di coesione.
Per produrre innovazione ci vorrebbe una forte volontà dello Stato e delle Regioni di collaborare al fine di dotare lâItalia di una politica agricola nazionale e metterla in grado sia di contribuire fattivamente a definire strategie europee efficaci sia di realizzare programmi regionali e territoriali di sviluppo coerenti con gli indirizzi comunitari e nazionali.
Sarebbe utile promuovere una discussione ampia sulla PAC del futuro, andando oltre gli addetti ai lavori e coinvolgendo gli agricoltori, sia quelli tradizionali che quelli innovativi, gli abitanti delle aree rurali, le istituzioni locali, lâassociazionismo ambientalista, lâeconomia civile che opera nei territori di montagna e nelle aree periurbane. La PAC è un tema della massima rilevanza che, se dibattuto e approfondito in modo rigoroso, potrebbe offrire lâoccasione per un salto di qualità dei gruppi dirigenti a tutti i livelli. Affrontare seriamente i problemi complessi che interagiscono con lâagricoltura contemporanea è un modo per accrescere il senso di responsabilità e assicurare allâagire politico e amministrativo quella dimensione etica in grado di garantire la capacità di ritornare a progettare il futuro.
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