Economia
La scure dei dazi di Trump sull’olio di oliva: vantaggi competitivi per sud America, Australia e Turchia

Anche l’olio di oliva verrà colpito dai dazi di Trump, con una tassazione del 20% su quello europeo, del 28% su quello tunisino ma del 10% per quello del Sud America, Australia e soprattutto Turchia con balzello fermo al 10%
03 aprile 2025 | 10:00 | Alberto Grimelli
E’ scattata una nuova era nelle politiche commerciali globali che segna un brutto colpo per la globalizzazione, ovvero il libero scambio delle merci a livello mondiale.
Il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha deciso di porre dazi orizzontali, validi su ogni merce in arrivo negli States da parte di tutti gli stati.
Alcuni saranno tassati solo con la tariffa base al 10%, altri con tariffe crescenti.
La scure dei dazi di Trump colpirà anche l’olio di oliva ma, rispetto alla precedentemente amministrazione, non quella di un solo Paese, allora la Spagna, ma tutti. La differenza è sostanziale poiché, all’epoca, importatori e distributori hanno potuto reindirizzare i loro acquisti verso altri fornitori, prima fra tutti l’Italia. Oggi non è così.
Gli Stati Uniti non sono autosufficienti per l’olio di oliva, avendo una produzione che copre a stento il 5% dei consumi (15-18 mila tonnellate la produzione e 350-360 mila tonnellate i consumi).
Circa 330-340 mila tonnellate in arrivo negli States saranno quindi tassate alla fonte.
Solo che nella partita dei dazi, alcune nazioni escono meno ammaccate mentre altre sono più colpite.
Ovviamente il primo complesso di Paesi a essere maggiormente colpita è l’Unione europea che vedrà la tassazione portata da zero al 20%.
Spagna, Italia e Grecia esportano olio di oliva negli Stati Uniti per circa 280 mila tonnellate, con la Spagna che è il primo esportatore con 130-150 mila tonnellate, seguita dall’Italia con 100 mila e dalla Grecia con 15-20 mila. Numeri assoluti e proporzioni che possono variare a seconda delle annate ma senza che cambi l’ordine di grandezza.
Fuori dall’Unione europea i principali fornitori di olio di oliva negli Stati Uniti sono Turchia e Tunisia con 35-45 mila tonnellate di export ciascuna, a seconda di produzione e annate.
Argentina e Cile, insieme, esportano olio negli Stati Uniti per circa 15 mila tonnellate.
I dazi di Trump colpiranno l’Europa con tassazione al 20%, la Tunisia con tassazione al 28% (è in scadenza la African Growth and Opportunity Act che favoriva il commercio con i Paesi africani), la Turchia con tassazione al 10% al pari di Australia, Cile e Argentina.
La competitività di Cile, Argentina e Australia sarà limitata poiché complessivamente hanno una capacità produttiva di 60-70 mila tonnellate, ovviamente non tutte destinabili al mercato americano.
La Tunisia potrebbe essere il Paese più colpito, per la fine del regime agevolato, con contestuale introduzione del livello di dazio più alto tra tutti i paesi produttori di olio di oliva.
Il Paese che probabilmente si avvantaggerà di più, a livello competitivo, della decisione dell’amministrazione Trump sarà la Turchia che, quest’anno, ha un potenziale di export da 200 mila tonnellate almeno di olio di oliva, ovviamente non tutti destinabili al mercato americano. E’ però quantomeno ragionevole che le quote di mercato perse da Spagna, Italia e Grecia vengano assorbite proprio dalla Turchia, anche attraverso triangolazioni. Lo scenario più probabile, infatti, è che i marchi europei che hanno stabilimenti di imbottigliamento negli Stati Uniti importino olio turco, più competitivo grazie alla minore tassazione, per poi confezionarlo e rivenderlo sul mercato americano. Solo la maggiore flessibilità di approvvigionamento, infatti, potrà garantire il mantenimento delle quote di mercato delle singole aziende negli Stati Uniti.
Resta l’incognita dell’atteggiamento e comportamento del governo turco, che potrebbe favorire qualcuno a scapito di altri nell’approvvigionamento di materia prima. Già alla riapertura delle frontiere, dopo il blocco dell’export per gran parte del 2024, si segnalarono casi di favoritismi sospetti nell’assegnazione di quote di export.
I dazi di Trump, quindi, al netto del possibile impatto sui prezzi dell'olio di oliva, sui consumi e quindi sui volumi di export, favoriranno un riassetto del potere negoziale, in ambito oleario, tra le varie nazionali con un vantaggio competitivo soprattutto per Erdogan.
Marino Mari
05 aprile 2025 ore 12:04Bisogna però vedere se l'olio di Erdogan è qualitativamente competitivo rispetto all'extravergine Toscano.