Cultura

Le complesse dinamiche del mondo contadino

Il tormentato passaggio dalla bonifica idraulica e agraria alla vera e propria trasformazione produttiva e sociale. E' tutto un fiorire di documenti, dibattiti e testimonianze sull’Agro Romano. La ricerca condotta dall’Istituto di sociologia rurale nella lettura critica di Alfonso Pascale

20 marzo 2010 | Alfonso Pascale



Nella Collana dei "Quaderni di Informazione socio-economica dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio" è stato pubblicato l’ultimo volume di un’opera che merita di essere segnalata per il suo carattere innovativo nell’ambito delle ricerche storiche e sociologiche e per la ricchezza della documentazione che contiene. Si tratta dell’Antologia dell’Agro Romano in cinque volumi curata da Antonio Parisella, Susanna Passigli e Armando Finodi dell’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale (Insor).

Vi sono raccolti dibattiti politici, relazioni parlamentari e testimonianze letterarie che vanno dal 1783 al 1963 e che costituiscono un patrimonio imprescindibile di conoscenze per comprendere le peculiarità della bonifica dell’Agro Romano, le dinamiche delle lotte contadine che l’hanno riguardato, le resistenze frapposte da una parte della proprietà, il tormentato passaggio dalla bonifica idraulica e agraria alla vera e propria trasformazione produttiva e sociale e l’entità e la qualità dei risultati raggiunti.

Dalla lettura dei volumi si potrà così apprendere che gli strali di un ecologismo antitetico all’economia siano in agguato fin dai tempi di Chateaubriand. Il quale, per opporsi al dissodamento della campagna romana, si esprimeva senza mezzi termini con queste parole: “Qui la terra non produce e non deve far produrre che delle tombe”. E si potrà verificare che è stato un ministro dell’economia nazionale del governo Mussolini, l’ingegner Giuseppe Belluzzo, a individuare in via definitiva, con la sua relazione presentata al Parlamento nel 1926, i problemi specifici dell’Agro Romano per portare a compimento l’opera bonificatrice.

La multifunzionalità anticipatrice della bonifica dell’Agro Romano
Nei volumi emerge in modo nitido la multifunzionalità delle attività di bonifica, le quali non si fermano agli aspetti produttivi ma investono anche quelli civili, che vanno dalla rete stradale all’approvvigionamento di acqua potabile e di energia elettrica, dalla scuola all’ufficio postale, dal trasporto pubblico alla caserma dei carabinieri, dal servizio sociale alla chiesa.

Nei programmi si prevedono non solo i centri di colonizzazione da adibire alla produzione e le borgate rurali per la residenza dei lavoratori agricoli ma anche le borgate civili dove collocare i servizi. E in fase attuativa prende corpo un insediamento di tipo misto, in cui i caratteri dei due tipi di borgate si fondono.

In sostanza, parte proprio dai disegni riformatori della bonifica dell’Agro Romano e dalle realizzazioni degli anni Venti e Trenta quella compresenza di rurale e urbano, di civile e produttivo, che ancora oggi caratterizza non solo le campagne ma anche le aree di più intensa urbanizzazione di Roma e del suo hinterland, dove testimoniano questa origine multifunzionale dei quartieri e delle aree industriali resti di casali che costituivano raggruppamenti umani articolati e stratificati e al tempo stesso produttivi e sociali, vaccherie, cappelle votive, caselli del dazio, osterie, dispense per i poveri e condotte mediche rurali.

Le stesse norme che incentivano l’iniziativa dei privati e di qualsiasi ente legalmente costituito, compresi gli enti locali e le associazioni, nel proporre la costruzione di borgate e di centri di formazione agricola, sono pensate con la stessa ottica con cui si incentivano i quartieri residenziali cittadini. Si tratta di una peculiarità che non si riscontra né nella bonifica fascista dell’Agro Pontino né nella riforma fondiaria dei governi centristi, in cui prevale un interventismo di stampo prettamente statalistico.

Emerge, dunque, una concezione culturale dello sviluppo dell’Agro Romano in forte connessione con lo sviluppo urbano di Roma, i suoi bisogni e le sue opportunità, che tuttavia verrà tradita in età repubblicana e sovrastata da impostazioni urbanocentriche che relegheranno le campagne a spazi di riserva da utilizzare alla bisogna da non programmare e pianificare così come si fa per le altre aree della città e, dunque, da non consumare neanche nelle forme dell’abitare che sono proprie delle campagne urbane.

Sarà un siffatto approccio, che trascura completamente gli aspetti sociali di territori né rurali né urbani, a produrre, in modo subalterno agli interessi speculativi, la marmellata insediativa e lo sbrodolato cementizio che deturperanno una parte notevole dell’Agro Romano.

Alcune suggestive chiavi interpretative di Antonio Parisella
In un saggio conclusivo molto illuminante, lo storico Antonio Parisella, offre un primo schema interpretativo abbastanza convincente dell’intera vicenda, esaminando in un’ottica di lungo periodo il ruolo che l’intensificazione dell’opera di bonifica ebbe negli anni Venti e Trenta. Egli osserva, in primo luogo, che non fu il regime fascista a orientare direttamente le realizzazioni dell’opera bonificatrice.

In quel periodo si realizzò invero una continuità di relazioni tra una parte di borghesia agraria e di antica proprietà nobiliare, che aveva intravisto dal primo momento nella legislazione sulla bonifica più che la minaccia degli espropri la possibilità di valorizzare la proprietà a spese dello Stato, con uomini degli apparati tecnici e amministrativi, che costituivano un patrimonio di competenze di elevato valore accumulatosi da tempo negli ambienti statali. E tale continuità di rapporti, alimentati da ambizioni riformatrici personali e di gruppo che prescindevano dalle vicende e dalle congiunture dei governi, venne intelligentemente favorita dal fascismo per consolidare con successi il proprio sistema di potere.

Come ricorda lo stesso Parisella, tale interpretazione del ruolo del fascismo nell’insieme delle attività di bonifica è già stata formulata da Piero Bevilacqua e Manlio Rossi-Doria. Le vicende dell’Agro Romano aggiungono ulteriori elementi di analisi e di conoscenza a sostegno di questa tesi. E ciò dovrebbe finalmente suggerire - è il caso di aggiungere - la rimozione di riserve mentali e pregiudizi se non di atteggiamenti apertamente denigratori, fomentati dalla cultura urbanistica democratica del secondo Dopoguerra, nei confronti delle realizzazioni degli anni Venti e Trenta in materia di pianificazione territoriale, nel tentativo di offrire una giustificazione ideologica alla visione urbanocentrica che ha segnato in modo così abnorme il successivo processo di metropolizzazione di Roma.

La seconda osservazione dello studioso riguarda gli effetti paradossali che i successi della bonifica hanno prodotto nei decenni successivi, proprio in mancanza di strumenti di pianificazione urbanistica coerenti con la visione dello sviluppo integrato del territorio che aveva illuminato l’opera bonificatrice. Laddove, infatti, più laboriose e costose furono le attività di bonifica, si è maggiormente abbattuta la furia edilizia di chi ha avuto fretta – come usò dire – di “trasformare la ricotta in mattone”. Laddove, invece, rimase il latifondo e meno intensi furono i processi di agrarizzazione, si sono meglio conservate le tracce e le memorie materiali degli insediamenti produttivi e sociali e i tratti naturalistico-ambientali dell’Agro Romano.

La terza osservazione di Parisella riguarda il rapporto molto stretto che lega la storia dell’Agro Romano alla storia dello sviluppo urbano di Roma. Egli afferma acutamente che lo studio di “Roma fuori le mura” diventa non più solo lo studio delle forme dell’abitare spesso affermatesi spontaneamente, ma lo studio della storia stessa della città da una prospettiva diversa, quella della composizione della parte di società comprendente la maggioranza dei suoi abitanti così come si è andata costruendo sul territorio. Le aree periurbane appaiono, in tale ottica, come una serie di luoghi nei quali si sperimenta quel rapporto tra tradizione e innovazione che anticipa caratteri e problemi delle convivenze di gruppi e ceti nella città che si trasforma e che oggi è diventata multietnica e multiculturale.

Serve una “rete” per recuperare e valorizzare un immenso patrimonio di conoscenze
Non si può, dunque, non condividere l’idea che lo storico enuncia con chiarezza al termine della ricerca: per ricollocare l’Agro Romano nella società postindustriale e metropolitana non si può prescindere dal patrimonio di conoscenze del quale esso è depositario e custode.

E’ auspicabile che i cinque volumi riscuotano la dovuta attenzione e la lettura dei documenti raccolti, così ricchi di informazioni, stimoli una riflessione collettiva sull’esigenza di tutelare e valorizzare il patrimonio di memorie riguardanti l’Agro Romano. Già operano in siffatte attività diverse istituzioni locali, enti parco, musei, associazioni, gruppi di promozione e fattorie sociali con esperienze realizzate e risultati raggiunti. Le pratiche di agricoltura sociale nella campagna romana altro non sono, infatti, che le modalità con cui si rivitalizzano beni relazionali del mondo rurale che affondano le radici nell’impostazione culturale dell’opera bonificatrice.

La pluralità dei soggetti che attualmente operano in tali campi di attività e la loro articolazione sul territorio corrispondono alle situazioni differenziate che da sempre hanno concorso a definire una realtà così apparentemente uniforme come l’Agro Romano. E tuttavia, pur salvaguardando l’eterogeneità delle esperienze, andrebbe creata tra questi soggetti una “rete” per garantire un supporto scientifico, favorire collaborazioni e promuovere confronti interdisciplinari e pluriattoriali sulle metodologie d’intervento, di salvaguardia e di valorizzazione.

Si dovrà agire con rapidità e intelligenza prima che si accumulino lacune e perdite di un patrimonio storico-culturale di inestimabile valore e di fondamentale importanza per ricostruire senso del luogo e di comunità e capacità di autoapprendimento collettivo nella creazione di un’economia civile in grado di dare sostenibilità allo sviluppo del territorio metropolitano di Roma.

Gli ultimi tre volumi dell’Antologia dell’Agro Romano sono anche consultabili in versione PDF e scaricabili dal sito della Regione Lazio: link esterno