Cultura
LA RINASCITA DELLA RURALITA' PER CONTRASTARE L'OMOLOGAZIONE DELLE SOCIETA' URBANE
In campagna si va per cercare non solo sapori e odori perduti, ma anche, e soprattutto, per l’eterna aspirazione a conoscersi che ci caratterizza. L'esempio della via Francigena quale modello da seguire, in un disegno di legge per la valorizzazione e salvaguardia del territorio
19 giugno 2004 | Alfonso Pascale
E' allâesame del Senato un disegno di legge per la salvaguardia e la valorizzazione culturale, ambientale e turistica della Via Francigena, presentato unitariamente da parlamentari di entrambi gli schieramenti politici. Si è anche costituita una Associazione dei comuni e delle province italiane, a cui hanno aderito ultimamente la Regione Lombardia e la città di Roma, con lâobiettivo di mettere a sistema esperienze e culture locali e creare modalità di comunicazione turistica efficaci per valorizzare le diversità dei territori lungo il tracciato, riconosciuto come âItinerario culturale del Consiglio dâEuropaâ.
La via Francigena era chiamata in origine âStrada di Monte Bardoneâ, denominazione che rievoca i Longobardi che lâavevano tracciata per scendere nel âGiardino dellâImperoâ. Ma ricorda anche lâappellativo âLombardiâ, esteso a tutti gli italiani dediti agli affari, che erravano nel Nord Europa a fare traffici da una fiera allâaltra e che mettevano a frutto tecniche bancarie e commerciali ancora sconosciute in quei paesi. Non solo pellegrini, invasori e mercanti la percorrevano. Anche uomini di cultura, sia quelli che venivano in Italia a cercare il passato, sia quelli che dallâItalia esportavano saperi e conoscenze utili per lâavvenire dellâEuropa.
Lungo la via Francigena si definì il duplice carattere del rapporto tra città e campagne. A nord delle Alpi erano le campagne che si addensavano nelle città . A sud delle Alpi erano le città che organizzavano le campagne circostanti. La cosiddetta âciviltà urbanaâ italiana del Medioevo, tranne poche eccezioni come Genova e Venezia, fu, in effetti, una civiltà âagrario-urbanaâ. Città e campagne erano due facce della stessa medaglia e âlâItalia delle cento città â era affiancata da mille campagne.
Era una campagna marcatamente dinamica quella che si delineava nellâItalia comunale. Il rinnovamento interessò lâassetto degli insediamenti, quello della proprietà , la distribuzione delle coltivazioni, le condizioni di vita dei contadini e le forme di conduzione della terra. Fu allora che nacquero i consorzi di proprietari interessati alla gestione di terre acquitrinose e apparvero per la prima volta le norme per un ambiente che la crescita della popolazione aveva strappato al suo originario aspetto selvaggio, ma che mostrava già chiari segni di usura. Per soddisfare nuove esigenze alimentari delle città , si dilatò la coltura della vite e si espansero le âterre da paneâ, come venivano chiamati i campi seminati a cereali. Mentre le città non aumentavano di numero ma si espandevano soltanto, gli insediamenti rurali nascevano, morivano e si trasformavano senza sosta in un continuo processo di riorganizzazione dellâhabitat, delle colture e delle proprietà . Caratterizzavano i territori toccati dalla Via Francigena tre modelli di azienda agricola: la grangia cistercense nellâItalia settentrionale, il podere mezzadrile in Toscana, il casale nel Lazio. Tipologie completamente diverse che rimandavano a culture locali profondamente differenti.
Questi rapidi cenni alla storia delle campagne medievali dimostrano come lâevoluzione dei territori rurali sia parte integrante dellâidentità originariamente europea del nostro Paese e delle radici dellâEuropa. Ma servono anche per sottolineare che promuovere la tutela, il recupero e la valorizzazione delle funzioni della via Francigena sarebbe unâoperazione parziale senza la riscoperta dellâinsieme dei valori che sottendono la complessa rete di attività e relazioni addensatesi lungo il tracciato.
Dunque, non si può fare a meno di approfondire la conoscenza e salvaguardare la memoria anche di quella che è stata lâevoluzione socio-economica e ambientale degli spazi rurali. Si tratta di un impegno finalizzato, senza dubbio, ad attivare interventi legati alla valorizzazione delle produzioni tipiche, artigianali e gastronomiche, alla sentieristica, al restauro dei paesaggi, al recupero dei valori architettonici dei fabbricati rurali, alla ricettività e alla promozione turistica. Ma câè unâaltra finalità ancora più pregnante ed è la riappropriazione di culture, valori e saperi per poterli rielaborare e ricalare in forme moderne nella realtà odierna.
Oggi si parla tanto dello sviluppo rurale come processo integrato di programmazione e gestione del territorio. Ma la rinascita della ruralità , come nuovo modello che può attenuare lâomologazione delle società urbane e le tipologie standardizzate di vita e di consumo, è credibile se si fonda sulla ricostruzione, senza banalizzazioni, di valori effettivi e non fittizi.
Riscoprire le grange cistercensi non significa solo ammirare la bravura di quei monaci che sapevano sfruttare le conoscenze tecniche locali e metterle in pratica su larga scala. Non vuol dire solo rimanere estasiati dinanzi alla capacità di quei frati che gestivano gli immensi patrimoni con lâintento di razionalizzare lâeconomia curtense attraverso lâinsediamento dei conversi nelle innumerevoli case svuotate dei loro abitanti. Non è solo recuperare dal degrado i monasteri medievali. Si tratta anche di prendere atto che ora esistono ânuovi monasteriâ, âgrange del Duemilaâ, laiche e religiose, luoghi del âfareâ e del âpensareâ. Mi riferisco alle comunità per il recupero dei tossicodipendenti, luoghi in cui la vita sociale, il lavoro comune e la condivisione dei valori, laici e religiosi, favoriscono il distacco dalle sostanze stupefacenti e accompagnano il passaggio verso la realizzazione personale. I nuovi monasteri sono le fattorie sociali dove le pertinenze aziendali e le attività di coltivazione e di allevamento diventano occasioni per valorizzare le diverse abilità che si manifestano nelle persone svantaggiate. Sono i patti territoriali per lo sviluppo sociale delle aree rurali, dove lâirrobustimento delle reti di protezione su basi di socialità responsabile e di auto-aiuto è condizione per accrescere la competitività dei territori. La rete dei vecchi e dei nuovi monasteri è in posizione di attesa fino a quando non saremo capaci di attivare tutte le potenzialità , ricostruendo prima i processi storici che hanno condotto a tale patrimonio e approfondendo i processi da cui scaturiscono le recenti esperienze di agricoltura sociale.
Così pure riscoprire i poderi mezzadrili non significa solo coltivare il sogno di farci la casa in Val dâOrcia. Si tratta anche di comprendere perché la mezzadria dal Medioevo si è protratta fin quasi ai nostri giorni. E di ricercare le ragioni per le quali da tali rapporti è poi nata lâeconomia della Terza Italia. Lâapprofondimento di quel sistema molto duttile di relazioni ci può soccorrere per costruire una rete di distretti rurali e agroalimentari di qualità , fatta di contratti e convenzioni tra il pubblico e il privato, dove concentrare e rendere complementari gli innumerevoli piani e programmi di sviluppo che esistono sul territorio.
Infine, riscoprire i casali del Lazio non significa solo venire a conoscenza di una tipica unità di produzione delle grandi terre del latifondo nel basso Medioevo. Un modello produttivo del tutto diverso dal modello dellâinsediamento familiare sul fondo coltivato. In una Campagna Romana caratterizzata da un marcato spopolamento, il casale fu un concentrato di attività per produrre ingenti quantità di beni alimentari da immettere sul mercato cittadino romano e ricavarne ampi profitti. Le attività che si svolgevano nei casali erano, dunque, lo snodo dei rapporti tra Roma e lâAgro Romano, unâarea molto vasta che doveva quasi da sola soddisfare le esigenze alimentari della città capitolina. Oggi i casali da recuperare dovrebbero diventare moderni centri di cultura rurale, luoghi dove elaborare nuove funzioni della metropoli romana nella globalizzazione. Se la Capitale dâItalia vuole proporsi come cerniera tra il nord e il sud del mondo, bisogna puntare sulla capacità dei nostri sistemi produttivi locali di promuovere sviluppo rurale da realizzare anche mediante le politiche di cooperazione coi paesi terzi.
Ancora una volta, come molti secoli fa, le campagne sono alle prese con trasformazioni profonde. E soccorre - sia gli agricoltori che devono riadattare il loro mestiere, sia i cittadini alla affannosa ricerca delle proprie radici - la metafora del pellegrino che sceglie la mobilità animata da valori rispetto allâincardinamento ad un feudo, o a un contado. Una mobilità che anticipa una identità proiettata al futuro, fatta di pendolarismo, meticciamento, sottrazione al diktat temporale e organizzativo della società fordista. Nei territori rurali lungo la via Francigena si torna per cercare non solo sapori e odori perduti, ma anche e soprattutto lâeterna aspirazione a conoscersi e a riconoscersi come simili.