Cultura

Il brigantaggio post unitario. Una guerra sporca

La carenza di senso civico nel Sud non deriva da tare culturali. Lo rivela Dario Marino, con un’ampia trattazione delle cause che hanno portato alla sfiducia dei contadini verso le Istituzioni, senza ignorare il ruolo svolto dalle forze armate nel “fare gli italiani”

16 luglio 2011 | Alfonso Pascale

Ho letto in questi giorni una bella tesi di laurea discussa al termine del corso in Scienze Internazionali, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Siena, nell'anno accademico 2009-2010. Una 'guerra sporca': il brigantaggio post-unitario e la repressione dell’esercito italiano nel Meridione. E' questo il titolo della tesi. Ne ho ricevuto una copia dall'autore, Dario Marino, un giovane del Cilento che, tornato nella sua terra dopo gli studi universitari, sta progettando insieme ad altri ragazzi neolaureati la nascita di una fattoria sociale.

Il docente-relatore è il professor Massimo Borgogni, che insegna “Scienze Militari”, e l’approccio dato allo studio ne è influenzato positivamente perché la vicenda viene analizzata come una vera e propria guerra, con un’ampia trattazione non solo delle cause socio-economiche e geopolitiche internazionali, ma anche del ruolo svolto dalle forze armate, a cui di fatto il governo unitario delegò il compito di “fare gli italiani”, delle tecniche di guerriglia messe in atto dai rivoltosi e del vacillante sistema difensivo opposto dall’esercito italiano.

La ricostruzione del fenomeno non segue i canoni logori di chi vuole far prevalere una verità rispetto ad un’altra, ma è il frutto di un’accurata disamina della letteratura sull'argomento e della documentazione disponibile negli archivi, senza seguire tesi aprioristiche. Ne vien fuori la descrizione puntuale del contesto in cui si svolge la vicenda, caratterizzato da una molteplicità di conflitti: guerra di classe ma anche lotta legittimista; guerra in difesa delle tradizioni e della Chiesa, in una società intimamente intrisa dalla religiosità, ma anche resistenza contro l’occupazione piemontese.

C’è una domanda che aleggia fin dalle prime pagine: quali conseguenze subì il Mezzogiorno a causa del processo di unificazione e della guerra al brigantaggio? La risposta dell’autore non presenta novità sul versante del conteggio delle vittime; e, dunque, le ricerche storiche dovranno proseguire per avere, da quest’ottica, dati più vicini alla realtà. C’è, invece, nella parte finale dello studio una considerazione che ho trovato molto pertinente e che andrebbe approfondita: “Nei primi anni di unità, le azioni terroristiche del governo alimentarono una certa sfiducia nei confronti dello Stato e tale sfiducia delle classi subalterne del Mezzogiorno trovò in seguito nuova linfa in altri episodi della storia patria”. Dario insiste molto su questo punto perché ritiene tale esito una delle conseguenze più nefaste del modo come si realizzò l'unità d'Italia. E riporta una serie di testimonianze dell’epoca a sostegno di questo suo argomento.

La carenza di senso civico nel Mezzogiorno non deriva, dunque, da tare culturali rivenienti da epoche lontane, come vorrebbe un certo filone di ricerche socio-antropologiche della seconda metà del secolo scorso, da Banfield a Putnam, che attribuisce la ragione del divario nord-sud alla persistenza nelle regioni settentrionali fin dal Medioevo della civiltà comunale e alla sua assenza in quelle meridionali. Andrebbe, infatti, aperta una stagione di ricerche storiche per far riemergere dagli archivi il fitto tessuto di strutture associative, come le chiese ricettizie, le confraternite, i monti frumentari, le società di mutuo soccorso, gli enti che gestivano le terre collettive, che erano le trame di una cooperazione sociale ante litteram e di una società civile autenticamente auto-organizzata, in grado di garantire quel minimo di condizioni dignitose alla parte più misera della popolazione nella lotta quotidiana per la sopravvivenza.

Non si tratta solo degli usi civici esercitati dai contadini nei terreni demaniali, su cui Dario si sofferma ricostruendo in modo puntuale anche se succinto l'intero fenomeno storico, ma di estesi domini collettivi che le popolazioni locali, organizzate in forme associative per impulso di figure carismatiche fin dal Medioevo, accumulavano a seguito di lasciti e donazioni e autogestivano per il bene comune. E queste istituzioni erano presenti in egual misura in tutte le realtà italiane.

Ma purtroppo, sull’onda della reazione anticlericale che caratterizzò in Italia la rivoluzione liberale e il Risorgimento, l’ispirazione religiosa che alimentava queste forme di economia civile e solidale fu presa a pretesto dal governo unitario per incamerare anche questi beni, assoggettandoli illegittimamente alle procedure dell’asse ecclesiastico. In realtà, si trattava di proprietà collettive delle popolazioni organizzate da secoli in forme autogestite laicali.

E’, pertanto, del tutto condivisibile la conclusione a cui perviene la tesi di laurea: se nel Mezzogiorno erano così diffuse, ancora a metà dell’Ottocento, forme proprie di società civile e pratiche solidali di tipo comunitario, che si alimentavano di economie locali fondate sulla valorizzazione di risorse agricole, i fatti che hanno scatenato un’attenuazione dello spirito civico vanno collocati in una fase storica più recente e precisamente agli albori dello Stato unitario. Furono proprio queste vicende più vicine a noi a ingenerare nei contadini la profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni: si tratta di atti del governo unitario chiaramente ostili verso i ceti più miseri della popolazione meridionale perché li priva delle più elementari forme di sostentamento faticosamente costruite nei secoli addietro con un forte impegno civico.

Se la via degli stereotipi culturali non è più perseguibile perché ne mancano le basi storiche, come il lavoro di Dario mette in rilievo con nettezza, dove vanno, dunque, ricercate le vere cause della questione meridionale? “Sicuramente – è detto nelle conclusioni - nelle differenze di sviluppo tra le diverse parti d’Italia, oppure nel fatto che, una volta unificato il Paese, il Sud sostenne il fardello più pesante in termini economici e umani”.

C’è molto d’approfondire sulle vicende storiche del nostro Mezzogiorno e spero tanto che Dario e i suoi amici, nel realizzare il sogno di far sorgere nel loro paese d'origine la fattoria sociale, mettano in conto che essa è prima di tutto centro di cultura. Ricostruire la trama storica delle pratiche civili nei territori rurali è, infatti, la condizione per rivitalizzarne i valori nelle forme più appropriate dell'oggi.

 

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati

Accedi o Registrati

Roberto Tarantino

21 luglio 2011 ore 21:07

Gentile Caricato,
lei mi viene a parlare della corruzione al Sud, chi ha dato potere politico alle varie mafie? E a partire da quando? Quale politico ha fatto la lotta alla mafia senza fermarsi quando rischiava di debellarla? Perchè ci sono motivazioni politiche nelle stragi mafiose ai danni di giudici, prefetti e forze dell'ordine?

Roberto Tarantino

21 luglio 2011 ore 21:04

Ammetto la caduta nell'equivoco, a dire il vero l'avevo presa per una provocazione. Qualcuno ha forse l'ardire di negare che a livello politico è in atto una discriminazione ai danni del Sud? Non è una questione di puntare il dito contro il nord, o meglio contro la cosiddetta padania, che non mi risulta sia ancora nè uno stato nè una regione politica, ma al massimo geografica; è questione di replicare a chi per primo punta il dito. Il diritto di replica non è mai stato negato a nessuno.

Il Sud ha accettato suo malgrado l'unificazione, e ne ha subito solo danni, perchè quando si gestisce senza l'avallo statale funziona meglio, come mai questo?? Perchè certe politiche possono essere gestite solo a livello nazionale, e lo stato di degrado di alcune zone del Sud sono causate principalmente da certi "problemi di memoria" dei politici in carica, di qualnque epoca e qualunque fazione politica, dal 1860 ad oggi, nei confronti del Sud sulla Questione del Mezzogiorno

E' non c'entra il vittimismo, perchè una donna violentata e depredata non ha certo bisogno di soldi, come è avvenuto con il Sud, per avere il proprio ristoro morale, sociale e psicologico. Io non sono contrario al federalismo, anzi, ma non come è stato impostato, perchè è stato impostato in modo tale da favorire il nord.

Se poi qualcuno replica parlando del lassismo del Sud e di "certe" inefficienze, rimando la questione a chi ha esperienza giuridico-legale in materia di rapporti tra Stato, Regioni e autonomie locali.

Prendete il caso della Salerno-Reggio Calabria, ultimare quell'opera è una decisione che spetta allo Stato, e le rispettive regioni possono solo gestire l'ultimazione sotto l'aspetto amministrativo.

O il caso dei rifiuti di Napoli, qualcuno sa perchè è stata generata la crisi in Campania, e solo a Napoli non è stata ancora risolta? E' colpa solo dei napoletani? Davvero??? La politica ambientale è di competenza nazionale, e solo la gestione amministrativa spetta alle regioni

Dario Marino

21 luglio 2011 ore 15:51

Gentile Tarantino,non ho gradito il tono del suo primo intervento perchè ho percepito un atteggiamento polemico e pretestuoso, poco aperto al dialogo (quando scrive che dovrei rifare la tesi senza averla letta o il paragone a una certa storiografia che da anni cerco di contrastare ). La sue parole mi sembravano quelle di chi non avesse letto l'articolo o non ne avesse compreso il senso o cercasse comunque di fare polemica ad ogni costo. Oggi Le rispondo perchè sono convinto della sua buona fede e che tutto ciò sia nato da un grande fraintendimento. Le posso assicurare che peroriamo la stessa causa. Conosco i crimini dell'occupazione piemontese, l'atteggiamento socialmente conservatore e autoritario dello Stato unitario nei confronti dei contadini del Sud, l'infondatezza del mito Garibaldi, il furto delle risorse economiche meridionali e la distruzione di economie locali antichissime, il rapporto strutturale dell'Italia unita con le organizzazioni malavitose, etc... Con la mia tesi ho soltanto cercato di dare una base scientifica a queste convinzioni, analizzando centinaia di documenti presso l'archivio dello stato maggiore dell'esercito. Ho dovuto lottare in ambito accademico contro chi si ostina a difendere ad ogni costo il "mito fondativo della nazione", raccontando l'oleografia risorgimentale e nascondendo la realtà dei fatti. Per queste ragioni le accuse che Lei mi ha rivolto mi sembravano assurde. Ad ogni modo, svelato l'equivoco, spero che potremo continuare a dialogare di questi ed altri argomenti. Ringrazio tutti i lettori per i loro attestati di stima.
Aggiungo anche che per capire i mali del Sud non dobbiamo guardare soltanto verso il Nord: l'elite politica meridionale è coprotagonista negativa dello stato storico ed attuale delle cose meridionali.

Roberto Tarantino

21 luglio 2011 ore 01:09

Vada pure sul sito web brigantaggio.net, e si faccia prestare da qualcuno il libro "Il sangue del Sud" di Giordano Bruno Guerrieri
Mi piacerebbbe tanto inviare il materiale che voi cercate, ma purtroppo è riproduzione riservata, quindi informatevi pure

Lei parla di giudizio del Sud oggi, dipende da chi lo formula quel giudizio, e sulla base di quali dati, fatti e ciorcostanze

Non è necessario essere meridionali per essere meridionalisti, nè è necessario essere settentrionali per parlare male del Sud, basti vedere cosa pensano e soprattutto cosa dicono, certi meridionali trapiantati al nord

Io non sono un meridionalista, ma quando vengono prese certe posizioni, è il caso di vedere le due facce della stessa medaglia.

Per la cronaca, conosco certi fatti perchè per puro gusto personale ho fatto un'indagine sulla storia delle associazioni mafiose, e ho scoperto quello che molti volevano nascondere, e che non è più un segreto di Stato come prima, guarda caso proprio cercando informazioni sulla storia della mafia, che è una creazione politica di Garibaldi, visto che lui per primo se ne è servito per far votare a favore dell'unificazione del paese in Campania, e per lo sbarco in Sicilia; e prima di allora era poco più che uno sparuto gruppo di delinquentelli locali

E' proprio per questo che mi meraviglia la posizione del tesista, non c'è certo bisogno di essere nè meridionalisti nè sorici nè studiosi per conoscere certi fatti

Considero chiuso l'argomento, siete una redazione, se vi sta davvero a cuore non il Sud,ma la verità dei fatti, non dovete fare altro che i redazionisti

Alfonso Pascale

21 luglio 2011 ore 00:45

Un grazie di cuore al dottor Carparelli e un invito a continuare il nostro dialogo commentando gli articoli.
E' davvero gratificante per chi scrive conoscere le reazioni dei propri lettori!

Grazie anche a Roberto Tarantino che la pensa come me sul nostro Mezzogiorno.
E mi scuso con lui per la mia prosa poco chiara che lo ha indotto ad equivocare il mio pensiero.

Roberto Tarantino

20 luglio 2011 ore 20:33

Apprezzo la sincerità di Caricato, lui non capisce e parla di articoli, quando non ho mai fatto riferimento ad articoli oltre quello in oggetto. Quindi ci sarebbe da chiedersi chi dei due ha un proprio mondo nel quale rifugiarsi di fronte a verità che per troppo tempo sono rimaste nascoste, per rivelare una storiografia ipocrita che ha tentato di bruciare buona parte dei documenti dell'epoca, ma non tutti, che rivelano come realmente sono andate le cose e per quali reali motivazioni politiche ed economiche è stata voluta l'unificazione di due parti di territorio radicallmene diverse, per poi definire i meridionali "selvaggi da civilizzare" dagli stessi ideatori di quella iniziativa.

Roberto Tarantino

18 luglio 2011 ore 12:51

Gentile Pascale,
rilevo molti contrasti tra i contenuti di questa fatidica tesi e le mie fonti personali. A me non risulta che il Sud abbia mai rivelato nè tare culturali nè tantomeno la carenza di senso civico. Forse è il nord ad avere tali "caratteristiche", con uno spirito da invasore degno dei loro eredi longobardi. Forse al Sud non erano presenti i comuni, ma dubito che questo possa essere fonte di "inciviltà". Ammesso che non ci fossero i comuni e le province, c'erano baronati e contee, il che è lo stesso.

Quanto alla cultura, il Sud preunitario era famoso per gli aspetti culturali, secondo forse solo alla Grecia, e dubito fortemente che fosse presente più cultura al nord. Se poi parliamo di aspetti imprenditoriali, di opere pubbliche realizzate, creazione di lavoro e aspetti fiscali, si capisce che l'unità del paese è stata voluta solo per arricchire il nord. Che significa trasferire le numerose imprese del Sud al nord come è stato voluto dal ricercato Garibaldi, "nell'interesse del paese"? Quindi oltre ai furti imprenditoriali, le rapine nelle banche del Sud, si aggiungono anche i furti intellettuali, che oggi sono tutelati dal diritto d'autore

Detto questo, il suo caro tesista dovrebbe rifare la tesi vedendo prima la posizione di chi voleva difendere il territorio, perchè, per quel che mi riguarda, i contenuti di questa tesi da lei pubblicati sono degni del peggior Villari

Lando Carparelli

16 luglio 2011 ore 18:50

Gentile dottor Alfonso Pascale, lei non mi conosce, ma io l'ho sentita anni fa a Roma a un convegno in cui lei era relatore. Confermo ancora oggi la mia stima nei suoi confronti. Ci sono poche persone che credono fortemente in quello che scrivono o dicono. Lei è sicuramente tra queste rare persone. Confesso che mi cimento per la prima volta su internet, con un commento. Spero vada tutto bene e che lei possa leggere questa mia nota. Sa, è la timidezza di chi è certo di non poter governare con sicurezza il mezzo elettronico. Se riuscirò in questo mio primo approccio, le posso garantire che mi diletterò a commentare tutte le volte i suoi begli articoli. Colgo l'occasione per rendere grazie pubblicamente a Teatro Naturale e al suo Direttore per avermi fatto conoscere e apprezzare da alcuni anni la sua prestigiosa firma. Lei è molto bravo nel trovare temi ogni volta interessanti. Grazie. La saluto distintamente, suo Lando Carparelli, professionista che non ha nulla a che vedere con l'agricoltura ma che segue con passione ogni argomentazione in materia agricola. Ciascuno di noi ha una memoria, e i miei nonni erano bravi imprenditori agricoli: ho l'agricoltura anch'io nel cuore.