Ambiente

COSI’ GLI AMBIENTALISTI HANNO DATO IL VIA LIBERA A UN ENORME TRAFFICO DI RIFIUTI INDUSTRIALI

Due milioni di metri cubi di scorie inquinanti verrebbero trasferite, con il beneplacito di Pecoraro Scanio da Bagnoli a Piombino. Una “bomba ecologica”, la definisce l’ex ministro all’Ambiente Ronchi. Un progetto di smaltimento dai costi esorbitanti che inquinerebbe un’area che si sta orientando verso i beni ambientali e culturali, turismo e ruralità

29 settembre 2007 | Rossano Pazzagli

Un enorme traffico di rifiuti industriali inquinati dalla Campania alla Toscana, oltre due milioni di metri cubi di scorie e fanghi dall’area ex siderurgica di Bagnoli al porto di Piombino, rischia di mettere in crisi il modello di sviluppo di un territorio come la Val di Cornia, nell’Alta Maremma, che negli ultimi vent’anni aveva faticosamente cercato di orientarsi verso i beni ambientali e culturali, il turismo e la ruralità.
In questa parte della Toscana, protesa verso uno degli arcipelaghi più belli del Tirreno, il ritorno alla terra ha preso la forma di una moderna viticoltura, dell’agriturismo e del consolidamento di settori come l’ortofrutta e l’olivicoltura, coniugando qualità delle produzioni, qualità del territorio e qualità della vita. Le tre Q, come possiamo definirle. Le politiche urbanistiche hanno innescato processi virtuosi di qualificazione territoriale che hanno raggiunto risultati di rilievo con l’organizzazione a livello di area di un sistema di parchi (naturalistici, costieri, archeologici ed archeominerari), con il restauro dei centri storici di origine medievale e con il sorgere di circuiti per il turismo culturale ed enogatsronomico.
Ora tutto ciò rischia di andare in fumo, o almeno di subire una battuta d’arresto, sicuramente un danno d’immagine che già si sta consumando. Con un accordo di programma tra il Comune di Piombino, il Comune di Napoli, le rispettive Autorità portuali e il Ministero dell’Ambiente si vuole trasferire in quest’area la venefica colmata di Bagnoli, contaminata da idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti e altre sostanze, e che solo pochi anni fa il ministro dell’Ambiente Ronchi ha definito “bomba ecologica”; un’operazione che prefigura per Piombino il ruolo di polo per lo smaltimento dei rifiuti dei 54 SIN, i siti di interesse nazionale che devono essere bonificati dopo un lungo periodo (talvolta secolare) di attività industriali. Secondo il progetto proposto da Sviluppo Italia e fatto proprio dal Ministero dell’ambiente, i materiali provenienti da Napoli verrebbero selezionati, messi in vasche di colmata al porto, stoccati a cielo aperto e portati alla TAP (una società del Comune di Piombino che dovrebbe occuparsi della bonifica locale), per essere trattati da un impianto che ancora non c’è. L’operazione prevede la costruzione di altri impianti per il trattamento dei rifiuti e in cambio alcuni interventi infrastrutturali attesi da anni nel territorio della Val di Cornia, senza peraltro assicurarne la completa copertura finanziaria. Promesse di sviluppo portuale e di costruzione di un tratta di strada per arrivarci.
Cosa c’entra tutto questo con il modello di sviluppo territoriale? Niente, si tratterebbe soltanto di un anacronistico scambio tra ambiente e sviluppo: soldi in cambio della disponibilità ad accogliere rifiuti. Una disponibilità che il Comune di Piombino ha dato troppo frettolosamente e senza fare i conti con la popolazione, che si è organizzata e si è fatta sentire.
Il progetto ha infatti suscitato a Piombino e nell’intera Val di Cornia, fino all’isola d’Elba e a Follonica una forte preoccupazione, accentuata dall’enfasi politica e dalla fretta manifestata dai fautori dell’operazione, che l’hanno incautamente presentata come una grande opportunità, anziché procedere ad una informazione corretta e completa verso la cittadinanza. Come è possibile – ci si è chiesti – spostare ingenti quantità di rifiuti per oltre 400 chilometri, con due navi al giorno che per diversi anni solcherebbero il fragile mare del Tirreno? Come è possibile farlo mentre tali materiali potrebbero essere trattati e utilizzati in loco per riempire analoghe vasche in costruzione nel porto di Napoli? Come si può pensare di portare altri residui siderurgici in un contesto come quello industriale di Piombino, che ne possiede già in abbondanza e che non ha ancora risolto il problema del loro smaltimento?
Così in agosto è sorto il Comitato comprensoriale di cittadini contro i fanghi di Bagnoli, con lo scopo di fornire notizie utili per valutare e decidere sulla vicenda; una petizione popolare contro l’arrivo dei fanghi di Bagnoli ha raccolto quasi 5000 firme in soli dieci giorni intorno a ferragosto.
Mentre a livello locale prosegue la mobilitazione, il Comitato ha chiesto al Comune di Piombino di indire un referendum consultivo e si appresta ad incontrare l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana e la Commissione Ambiente del Senato. Nel frattempo, in considerazione delle ripercussioni economiche e ambientali che l’operazione finirebbe per avere anche sul territorio circostante, in particolare sull’agricoltura e sul turismo, ha rivolto un appello alle associazioni del mondo rurale e all’ordine provinciale degli agronomi affinché prendano posizione sulla vicenda, alzando una voce autorevole e competente in difesa di un modello di sviluppo che non può essere compromesso dagli interessi di parte o dal business dei rifiuti. Quello che si prospetta per Piombino, infatti, non è un'opportunità storica ma, come purtroppo è già accaduto in passato, uno spreco di risorse pubbliche e un danno ambientale tali da rallentare o addirittura compromettere la riconversione produttiva faticosamente avviata in tutta l’area della Val di Cornia. Essa resterbbe, per molti aspetti, anche una ferita aperta, un vulnus per la qualità del territorio toscano.