Mondo Enoico

IGT, DOC E DOCG. SI PUÒ FARE DI PIÙ, SFRUTTANDO IL POTENZIALE PRODUTTIVO DI DENOMINAZIONI D’ORIGINE SCARSAMENTE UTILIZZATE

Più di trecento DO, trecentomila ettari vitati. Un patrimonio che ha consentito il rilancio della vitivinicoltura nazionale dopo gli anni ’70. Una ricchezza che però non viene interamente messa a frutto. Perché? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Liberatore, vicepresidente di Federdoc

11 settembre 2004 | Alberto Grimelli

Politica della qualità, della tipicità, investendo in macchinari, adottando nuove tecniche agronomiche, migliorando e raffinando l’attività vinificatoria, dandosi regole chiare e ferree.
Così il mondo vitivinicolo italiano è risorto dopo la crisi degli anni ’70, così ha fatto riscoprire la bontà e la piacevolezza di un buon bicchiere di vino, così ha creato un clima di fiducia.
È occorso tempo e anche interventi legislativi che indicassero la via.
La 164, così è conosciuta la legge che ha istituito le denominazioni di origine e il relativo sistema di controllo, ha fornito ai vitivinicoltori gli strumenti per affermare i loro prodotti sul mercato.

Durante il periodo d’oro, i magnifici anni ’90, pareva che fosse sufficiente dotarsi di una Doc per poter ottenere clamorosi successi e arricchirsi smisuratamente.
Un bel sogno condiviso tanto da amministratori locali quanto dal tessuto produttivo.
Un’illusione naturalmente, poiché non tiene conto del duro lavoro svolto quotidianamente dal personale dei Consorzi di tutela: informazione, marketing, controlli e ricerca. La professionalità e la tenacia con cui vengono eseguiti questi compiti, oltre al costante impegno dei vitivinicoltori per proporre vini d’alta qualità, decretano realmente il successo di una denominazione d’origine.

Non deve allora stupire che il 35% della produzione di vigneti iscritti agli Albi non venga rivendicato.
Quasi 100 Doc sfruttano meno del 50% del loro potenziale produttivo, di queste una trentina non arriva al 20%, 14 sono sotto il 5% e una decina non rivendica nulla.
Dati certo non eccessivamente rilevanti ma degni di nota ed attenzione, specialmente ora che è avviato il dibattito e l’iter per la riforma della 164.

Abbiamo voluto approfondire l’argomento con Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio di tutela Chianti Classico e vicepresidente di Federdoc.

- Denominazioni d’origine sottoutilizzate o neanche rivendicate. Una minoranza nel vasto panorama di Igt, Doc e Docg. Tuttavia è un fenomeno degno d’attenzione che la riforma della 164 dovrà tenere di conto. Ma come?
Meno di un terzo delle denominazioni di origine italiane sono scarsamente e poco proficuamente utilizzate. In questi casi, per lo più, paghiamo lo scotto di un fenomeno molto diffuso qualche anno orsono. Amministratori locali e altre figure politiche spesso hanno dato il via alla costituzione di una Doc senza l’appoggio dei viticoltori locali, rappresentando questa più un vessillo da sbandierare piuttosto che uno strumento da sfruttare.
La riforma della 164 dovrà sicuramente tenere in considerazione questo fenomeno e istituire delle misure che ne impediscano il dilagare, nocivo per l’intero comparto vitivinicolo. La possibilità di revocare una Doc oppure di “degradarla” a Igt nel caso venga rivendicata una produzione al di sotto di certe soglie percentuale sarebbe sicuramente un mezzo efficace per contrastare i casi più eclatanti.

- Alcune delle denominazioni d’origine non utilizzate sono nate dall’interessamento e dalla tenace volontà di alcuni amministratori. Questo significa che se l’iniziativa non parte dai viticoltori non sarà coronata dal successo?
Effettivamente nel 99% dei casi lo scarso utilizzo e la mancata rivendicazione di molte denominazioni d’origine derivano dal disinteresse dei vitivinicoltori locali per questa forma di tutela.
Gli agricoltori e i tecnici che operano in campo giorno per giorno sanno bene, a volte meglio di molti politici, che essere compresi in una Doc non significa automaticamente aver garantito un reddito maggiore.
Anche se spesso non ci si crede, non è tanto faticoso creare una denominazione d’origine, infatti generalmente i problemi più importanti, quelli gestionali, sono successivi.