Mondo Enoico

Ridurre la tossicità con interventi fitosanitari mirati e il lavaggio delle uve

L’oidio nel periodo di vendemmia rappresenta un nemico temibile che può costringere a intervenire. I residui di fitofarmaci possono avere effetti negativi sull’andamento della fermentazione e sulla qualità del vino

13 settembre 2008 | Graziano Alderighi

L’oidio della vite in Italia è sempre stato considerata una patologia di minore importanza rispetto alla peronospora.
Negli ultimi anni però questo fungo si è rivelato sempre più pericoloso e ha costretto i viticoltori a una maggiore attenzione ed anche, eventualmente, a interventi fitosanitari.

L’oidio sverna come cleistotecio o come micelio anche se negli ambienti del nord Italia prevale nettamente la prima forma. I cleistoteci si formano in autunno e una grossa interferenza negativa sulla loro formazione è data dalle intense precipitazioni piovose autunnali di settembre e ottobre poiché dilavano i cleistoteci stessi e riducono l’inoculo per l’annata successiva.
In primavera le condizioni predisponenti oltre alla quantità di inoculo proveniente dall’autunno precedente sono la precocità di infezione, la sensibilità della zona, l’equilibrio vegeto-produttivo, le operazioni agronomiche, la sensibilità varietale e infine, ma non da ultimo, la corretta modalità di esecuzione dei trattamenti.
La precocità di inoculo è uno dei fattori più importanti poiché correlato positivamente alla pericolosità del fungo nei vigneti; prima si ritrovano le macchie a causa delle condizioni climatiche favorevoli, maggiori problemi di oidio avremmo in campagna durante l’estate.
La sensibilità delle zone collinari o delle zone di fondovalle asciutte è notoriamente conosciuta rispetto alle zone di fondovalle con importanti bagnature fogliari notturne che riducono l’attività del fungo.
I vigneti equilibrati sono meno soggetti all’oidio ed inoltre la corretta e tempestiva esecuzione delle operazioni a verde quali scacchiatura, diradamento dei germogli e soprattutto sfogliatura riduce la presenza di questo fungo.
Fondamentale risulta nel contenimento del l’oidio effettuare una corretta esecuzione dei trattamenti fitosanitari bagnando bene i grappoli e utilizzando una strategia di difesa appropriata alternando i principi attivi disponibili e autorizzati appartenenti a famiglie chimiche diverse per ridurre al minimo possibili fenomeni di resistenza.
Fondamentale pertanto oltre alla conoscenza sulla biologia ed epidemiologia del fungo risultano i controlli in campagna per poter scegliere al meglio le strategie integrate di difesa chimica ed agronomica migliori e più efficaci a seconda dello stadio vegetativo raggiunto dalla vite e della sua sensibilità all’oidio.

Sono molti i nuovi principi attivi con funzione antioidica: proquinazid (Talendo), metrafenone (Vivando), quinoxifen (Arius), spiroxamina (Prosper 300 Sc) e trifloxystrobin (Flint). Dal punto di vista residuale i risultati sono incoraggianti in quanto nessuno dei prodotti saggiati ha mai superato i limiti di legge.



La presenza di residui di antiparassitari sulle uve ha però riflessi negativi sull’andamento della fermentazione e sulla qualità del vino: in particolare possono essere responsabili di fermentazioni ritardate o rallentate. Poiché non si possono eliminare i trattamenti fitosanitari, per limitare la presenza di residui nei mosti è possibile effettuare un lavaggio delle uve prima della pressatura, come del resto avviene nella lavorazione di tutte le materie prime alimentari.
L’Istituto di San Michele all’Adige ha avviato una sperimentazione per conoscere e comprendere meglio l’utilità di un lavaggio delle uve prima della pressatura.
I risultati sono stati illustrati in un incontro tecnico a Navicello, in provincia di Trento. "Un vero e proprio lavaggio delle uve - spiega il responsabile dell'unità microbiologia e tecnologia alimentari Iasma, Agostino Cavazza - che abbatte il contenuto di metalli pesanti presenti nel mosto, soprattutto il solfato di rame (usato come antimuffa), e consente fermentazioni alcoliche più veloci: su tre prove effettuate utilizzando uve bianche e su quattro prove su uve rosse, abbiamo notato che la fermentazione è durata un giorno di meno: questo significa che l'uva sta meglio". Buoni i risultati, sottolinea l'Istituto, anche per quanto riguarda la concentrazione di quegli antiparassitari che normalmente sono presenti in quantità minima e ben al di sotto dei limiti massimi consentiti nel vino. "In seguito al lavaggio delle uve - afferma Cavazza - il quantitativo scende ulteriormente fino a non essere più rilevabile". La vasca ha una capienza di tremila litri e in tre ore riesce a lavare 30 quintali d'uva da foglie, insetti, frammenti di terra, e, ovviamente, dai pesticidi.
L'intero macchinario è lungo circa 8 metri e mezzo e, oltre alla vasca, è composto da un nastro trasportatore che, dopo la prima immersione, conduce l'uva a un risciacquo con acqua naturale e a una successiva asciugatura con tre potenti getti d'aria. Ovviamente, spiega Cavazza, le uve devono essere "perfettamente sane altrimenti parte degli acini si perde" durante il lavaggio. L'immersione in acqua consente anche di abbassare e refrigerare l'uva. Un sistema che risulta molto utile per le vendemmie del sud Italia.