Mondo Enoico

SCONFITTA COCENTE PER 17 NOSTRI VINI. LA COMMISSIONE EUROPEA VANIFICA OGNI SPERANZA. NESSUNA GIUSTIZIA, SOLO RABBIA E IMPOTENZA

La decisione di concedere l’uso delle menzioni tradizionali anche ai Paesi extra Ue costituisce un grave danno d’immagine a vantaggio dell'agropirateria; ma per l'imperturbabile commissario Franz Fischler "le condizioni imposte ai Paesi terzi rappresentano una garanzia contro gli abusi"

06 marzo 2004 | Alberto Grimelli

La Commissione europea ha formalizzato la propria decisione di offrire ai paesi terzi, a determinate condizioni, la possibilità di utilizzare alcune menzioni tradizionali più protette poste sull'etichetta dei vini europei.
Teatro Naturale aveva già espresso la propria preoccupazione di fronte alla sfrontatezza del potere politico europeo (ndr TN n. 6 del 7 febbraio 2004) disposto a sacrificare tradizioni, tipicità ed immagine del comparto vitivinicolo sull’altare delle trattative in sede di Wto, senza tuttavia avere garanzia di ottenere nulla in cambio. Come allora, di fronte alla decisione del Comitato gestione vini dell’Ue, passata di stretta misura e con il voto sfavorevole di Italia, Francia e Spagna, rimaniamo basiti rispetto all’immobilismo della classe politica del nostro Paese e dei rappresentati italiani all’interno della Commissione europea, primo fra tutti naturalmente Romano Prodi.

Il Presidente della Commissione Ue ha risposto a una questione ampiamente dibattuta. Quanto conta l'agricoltura in Europa? Poco? Tanto?

Con le modifiche apportate oggi al regolamento Ue 753 del 2002, vengono unificate in un'unica categoria le due categorie di ''menzioni tradizionali'' esistenti: ossia quella dedicata esclusivamente ai vini europei comprensiva delle 17 denominazioni italiane superprotette e l'altra piu' aperta.
Secondo quanto indicato da Bruxelles, per poter utilizzare le menzioni tradizionali dell'Ue sul mercato comunitario i paesi terzi devono dimostrare che:
- le menzioni tradizionali in questione sono riconosciute e disciplinate dalle norme in vigore, comprese quelle stabilite da organizzazioni professionali rappresentative nel paese terzo interessato;
- le menzioni da tutelare sono sufficientemente distintive o godono di una buona reputazione all'interno del paese terzo; - le menzioni sono state utilizzate tradizionalmente per almeno dieci anni nel paese terzo;
- le disposizioni del paese terzo non sono tali da indurre i consumatori in errore sulla menzione di cui si richiede l'uso.
Inoltre, tiene a sottolineare la Commissione, "sono autorizzate unicamente le menzioni tradizionali nella lingua ufficiale del paese terzo in questione. L'uso di menzioni tradizionali in una lingua diversa da quella ufficiale del paese terzo e' ammesso soltanto se l'utilizzazione di tale lingua e' prevista dalla legislazione del paese e se tale lingua e' utilizzata nel paese ininterrottamente da almeno venticinque anni".

La posizione della Commissione europea
Nell'annunciare la decisione, dopo aver notificato il testo all'Organizzazione per il commercio mondiale (Wto), il commissario europeo all'agricoltura Franz Fischler ha tenuto a sottolineare che "le condizioni imposte ai paesi terzi per poter usare le menzioni tradizionali dell'Ue e la vigilanza esercitata dalla Commissione e dagli Stati membri in sede di esame delle domande, rappresentano una garanzia contro eventuali abusi".
Queste modifiche, ha aggiunto Fischler, "rafforzano la tutela degli interessi dei produttori e dei consumatori, la trasparenza del mercato e la concorrenza leale, che il regolamento sull'etichettatura dei vini intendeva salvaguardare, oltre a rispondere ai nostri impegni sul piano internazionale".

Reazioni internazionali
“Mi sembra assurdo - ha detto il ministro dell'agricoltura spagnolo, Miguel Arias Cañete - che sia stata adottata una norma sulla quale si sono espressi contro tutti i paesi produttori".
Franz-Josef Feiter, numero uno delle organizzazioni agricole e cooperative Ue (Copa e Cogeca), ha chiesto alla Commissione europea di "fornire le motivazioni che l'hanno spinta a proporre un regolamento che indebolisce la protezione di tutte le menzioni tradizionali europee, come ad esempio "Tawny", "Vintage", "Brunello" o "Amarone", nel difficile contesto dei negoziati bilaterali sul vino con alcuni paesi terzi, questo regolamento sottolinea la totale assenza di strategia da parte della Commissione, che offre ai paesi extra-Ue la possibilita' di utilizzare queste menzioni tradizionali senza chiedere nulla in cambio".

In Italia
“Stiamo studiando a livello privatistico – spiega il Ministro Alemanno - la difesa di queste denominazioni depositandole come marchi da copyright, quindi la battaglia continua, al di là del segnale dato dalla Commissione che consideriamo negativo soprattutto dal punto di vista politico”.
Anche Loredana De Petris, senatrice dei Verdi e capogruppo in commissione Agricoltura, intervine sulla vicenda: "è un aiuto ai professionisti della contraffazione internazionale ed un schiaffo alle nostre tradizioni. Viene ribaltato il concetto di prodotto tipico. È una decisione che danneggia tutto il sistema delle produzioni a denominazione d'origine. infatti, è evidente che questa stessa aberrazione giuridica potrà ora essere estesa ai formaggi ed ai salumi".
Per il presidente dell' Unione italiana vini (Uiv), Ezio Rivella, "è un gravissimo attacco al vino made in Italy, una decisione che provocherà danni enormi all' immagine e alle esportazioni dei nostri prodotti. A questo punto l'unica via d'uscita è depositare le menzioni come marchi d'impresa, una soluzione già adottata dal Brunello di Montalcino, registrato da alcuni anni come marchio in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e Giappone. Visto che non si può più contare su una tutela a livello comunitario dobbiamo affidarci a una logica strettamente commerciale, e cominciare a depositare in tutto il mondo i nomi dei nostri vini come se fossero veri e propri marchi". I consorzi di tutta Italia, secondo Rivella, si devono attivare per registrare al più presto le proprie menzioni nei principali Paesi, "altrimenti il rischio è che in Australia, Nuova Zelanda o Stati Uniti vengano prodotti cloni a buon mercato delle nostre migliori denominazioni".
Floriano Zambon, presidente dell’Associazione nazionale delle Città del Vino, esprime la sua preoccupazione anche a nome degli circa 530 Comuni associati, per il provvedimento adottato. “Se nessuna menzione tradizionale sarà più riservata in termini assoluti ai nostri vini e a quelli dei paesi europei, di fatto sarà possibile trovare un Amarone, un Brunello, un Recioto, prodotti in qualunque altra parte del mondo. Si liberalizza, così, il commercio dei “falsi” danneggiando gravemente i produttori italiani che si troveranno a dover combattere contro una concorrenza che definire sleale è solo un eufemismo. Questo provvedimento elude il principio della proprietà intellettuale di un nome-marchio quale quello di un vino, frutto del sedimento culturale di secoli di storia, annullando i principi della Costituzione Europea. Tutto questo ingenera inoltre confusione tra i consumatori ai quali va garantita la qualità del prodotto legata strettamente al territorio di origine”.

L’Associazione nazionale Città del Vino, ha predisposto un ordine del giorno (allegato al presente articolo), il primo Comune ad approvarlo è stato Greve in Chianti, con il quale si stigmatizza la disposizione presa a Bruxelles e si chiede al Sindaco di ogni Comune di farsi portavoce delle giuste e legittime preoccupazioni dei produttori vitivinicoli riguardo alla possibilità della perdita dell’esclusiva su importanti denominazioni di vini prodotti in Italia; si richiede alle Regioni a e il Governo nazionale di farsi carico, in sede comunitaria, del preciso impegno a ripristinare, sulle 17 denominazioni di vini italiani attualmente a rischio, la tutela della Comunità Europea nei confronti di ogni e qualsiasi imitazione e/o contraffazione da qualsiasi paese esse provengano. Infine si richiede alla Commissione Europea un cambio di rotta, affinché difenda i vini prodotti nei paesi dell’Unione sulla base di pratiche e di tradizioni storicamente riconosciute e con l’utilizzo di vitigni intimamente connessi con i rispettivi territori d’origine.