Mondo Enoico
ESISTE UN FUTURO OGM PER LA VITICOLTURA?
Il mondo della ricerca e Slow Food a confronto in un convegno organizzato dal Club del Buttafuoco storico a Voghera, presso l'Istituto agrario Gallini. Non si rincorreranno i brevetti, tuttavia per alcune varietà, e limitatamente ad alcune funzioni, anche per la vite si dovrà parlare di organismi geneticamente modificati
25 novembre 2006 | C. S.
Non c'è la rincorsa al brevetto come per i cereali o la soia, ma anche per la vite si prospetta un futuro transgenico. Almeno per alcune varietà e limitatamente ad alcune funzioni. E' quanto emerso da un convegno organizzato dal Club del Buttafuoco storico e dedicato, per l'appunto, agli Ogm (organismi geneticamente modificati) nella viticoltura. L'incontro, realizzato in collaborazione con l'istituto agrario Gallini di Voghera, ha visto la partecipazione di Gabriele Milanesi, biologo dell'università di Milano e membro del Cnr di Pavia, e di Maurizio Gily, agronomo e collaboratore di Slowfood. Come dire il diavolo e l'acqua santa, in materia di transgenico.
Posizioni ragionevoli
Chi si aspettava lo scontro frontale, però, è rimasto deluso. Sono emerse, infatti, le diversità di opinioni, che in alcuni casi sono piuttosto nette, ma anche la disponibilità ad ascoltare la controparte per capirne le ragioni. A dimostrazione del fatto che quando due persone sono ragionevoli si può discutere di tutto trovando anche dei punti d'incontro.
Lo stato degli Ogm
"Si potrebbe pensare che il transgenico non interessi la viticoltura. Io stesso lo credevo, ma documentandomi per questa occasione mi sono reso conto che, invece, molto si è già fatto", ha esordito Milanesi. Senza dubbio, ha spiegato il biologo, il campo in cui la ricerca ha ottenuto i maggiori risultati è quello dei lieviti, tanto che oggi non esiste praticamente lievito degli ultimi decenni che non sia ottenuto da modificazione genetica. "Il sequenziamento del genoma del lievito è stato finanziato dall'industria della birra, che evidentemente ha un grosso interesse verso l'argomento. Inoltre - ha continuato il docente - i batteri sono organismi molto ben conosciuti e facili da trattare, quindi la modificazione genetica in questo campo è alla portata di un normale laboratorio genetico".
I lieviti Ogm si usano nella panetteria, nella produzione di formaggi e birra. Per esempio, per avere una schiuma più densa. Per la viticoltura sono stati messi a punto diversi ceppi. Per esempio il lievito ML01, contenente batteri della fermentazione malolattica e quindi capace di favorire la fermentazione alcolica e malolattica allo stesso tempo. "In Canada, invece, si è prodotto un lievito che riduce del 90% la presenza di etilcarbanato, una sostanza probabilmente carcinogena. Inoltre è già disponibile un lievito contenente un gene del pioppo che permette di aumentare notevolmente il tasso di resveratrolo, uno degli antiossidanti più preziosi del vino per i suoi effetti positivi sulla salute umana".
Altri studi su lieviti transgenici mirano ad aggiustare l'acidità , ridurre la formazione di SO2, favorire la liberazione di nuovi aromi.
E la vite?
Non c'è però dubbio che l'interesse maggiore - parliamo di opinione pubblica, almeno - si concentri sulla vite Ogm. In questo settore, ha spiegato Milanesi, la ricerca è più arretrata, ma si sta comunque muovendo su direttive ben precise. "Gli obiettivi sono ambiziosi: aumentare la resistenza del frutto e della pianta ai patogeni, migliorare le caratteristiche qualitative delle uve e infine migliorare la qualità dei vini prodotti". Per il primo punto, si lavora sulle virosi (arricciamento fogliare, per esempio), sulla resistenza agli insetti e ai funghi. Ma si punta anche alla resistenza gli erbicidi, come il glufosinato. Per quanto riguarda le caratteristiche dell'uva e del vino, attraverso la modificazione genetica si vuol evitare l'imbrunimento dei vini bianchi, migliorare il colore di certi rossi o togliere i vinaccioli dagli acini dell'uva da tavola.
"Attualmente sono state fatte 43 prove in campo negli Stati Uniti, sette in Canada - principalmente per la resistenza al freddo - cinque in Francia e una in Italia e Germania.
Le controindicazioni
Secondo Milanesi, non esiste rischio di trasmissione di batteri resistenti agli antibiotici dalla pianta all'uomo (uno dei cavalli di battaglia di chi critica il transgenico) in quanto le molecole del vino vengono degradati durante la digestione. Nel caso della vite, inoltre, non vi è il pericolo di impollinazione tra viti Ogm e tradizionali, dal momento che la moltiplicazione si fa per talea e innesto. "Il vero problema resta quello dell'accettazione da parte del consumatore e, se vogliamo, della denominazione: un vino transgenico può essere considerato Doc? E può stare nella stessa categoria del vino non trasgenico?".
Il parere di Slowfood
Identico interrogativo è stato sollevato da Maurizio Gily: "Un Bonarda transgenico può essere definito ancora Bonarda? E può essere venduto a fianco di quello tradizionale".
L'agronomo, vicino a Slowfood, naturalmente, ha verso gli Ogm una posizione molto più critica rispetto al ricercatore milanese. "Noi di Slowfood abbiamo catalogato 580 vitigni italiani, di cui 350 iscritti nel registro nazionale. Si calcola che, in tutto, i vitigni in Italia siano più di mille, contro i 200 circa della Francia. Con tutta questa varietà c'è bisogno di creare vitigni trasgenici? Inoltre in natura esiste già una gran varietà di mutazioni. Per esempio, il Pinot bianco, nero e grigio è, dal punto di vista genetico, praticamente la stessa cosa". Con un simile ventaglio di possibilità a disposizione, dice Gily, non ha senso tentare di migliorare la vite con l'ingegneria genetica.
"Soprattutto - ha aggiunto - i rischi sono sproporzionati ai vantaggi, almeno per la maggior parte degli obiettivi che si propongono i ricercatori nel campo degli Ogm. Che senso ha modificare la vite per fare un po' più di colore? Per quanto riguarda le virosi, vi sono già sistemi di contenimento efficaci anche senza ricorrere al transgenico. La resistenza alle malattie crittogamiche potrebbe essere interessante, ma la genetica in questo campo ha ottenuto finora scarsi risultati. Infine, la riduzione nell'uso della chimica non è possibile soltanto con gli Ogm, ma anche con altre soluzioni".
Quello di Gily, comunque, non è un no definitivo agli Ogm: "La ricerca è sacrosanta e si deve fare. Ma il principio di precauzione deve prevalere, anche se sono convinto che il rischio per l'uomo sia basso. Quello che mi preoccupa è l'eccessiva e univoca corsa degli scienziati verso una sola strada, dimenticando qualsiasi linea di ricerca che non riguardi gli ogm".
Per il rappresentante di Slow Food, comunque, quando la posta in gioco è alta si potrebbe anche provare. "Le modifiche al portinnesto sono interessanti, perché permetterebbero di ottenere importanti risultati, per esempio nella lotta ai fitoplasmi, e in più non vanno a toccare la pianta fruttifera. In questo senso si potrebbe dare all'Ogm un'apertura di credito".
Genetica, ma non Ogm
C'è infine un filone di genetica che utilizza incroci di tipo tradizionale. Lo ha ricordato Gabriele Milanesi. "Grazie al sequenziamento del genoma, oggi si possono fare incroci in modo molto più veloce e sicuro, inserendo dei marcatori nel Dna della pianta, laddove sappiamo esservi i geni che ci interessa trasferire. Questi marcatori funzionano come spie che segnalano il passaggio del gene desiderato dalla sorgente alla pianta di destinazione. E' un sistema utile soprattutto per specie, come la vite, che richiedono tre o più anni di tempo prima di dare frutti. In questo modo si possono fare incroci tradizionali avendo conferma dell'avvenuto passaggio dei geni ancor prima che la pianta cresca. Questo accelera notevolmente i lavori senza ricorrere al transgenico".
Buttafuoco, avanti così
Nel corso del convegno c'è stato spazio anche per parlare del Club del Buttafuoco storico, che compie 10 anni e che proprio nell'ambito delle celebrazioni per questa ricorrenza ha organizzato il dibattito sugli Ogm. All'incontro erano presenti diversi sindaci del territorio di produzione, ma anche l'assessore provinciale all'agricoltura Mario Anselmi, il presidente della Camera di Commercio di Pavia Piero Mossi ed Elena Brugna, delegata dell'Assessorato regionale all'Agricoltura. La quale ha ricordato come la Regione guarda con attenzione al problema Ogm, tanto da aver attivato fin dal 2001 un comitato scientifico ad hoc.
Dicevamo del Buttafuoco storico, però. Le parole più lusinghiere sono forse quelle di Maurizio Gily: "Avevo sentito parlare del Club, ma l'ho conosciuto bene soltanto in questa occasione. Devo dire che è un'iniziativa che dovrebbe essere presa a modello da tutte le imprese. Vi siete dati regole di valutazione interne, fornite ai consumatori una garanzia non richiesta per legge, siete stati capaci di creare una rete di piccole aziende, solo modo per permettere a viticoltori "artigianali", come quelli italiani, di fare promozione su un vino di alta gamma quale il Buttafuoco storico. L'unico consiglio che posso dare è di non dimenticare l'importanza del vino comune, perché esistono i grandi vini, ma vi deve essere anche il vino per tutti i giorni e l'Oltrepò ha in questo la sua grande forza".
Fonte: Club del Buttafuoco Storico
www.buttafuocostorico.it