Mondo Enoico

Se non hai l'etichetta giusta è inutile fare un buon vino

L’approccio al mercato secondo Simonetta Doni, icona della grafica in bottiglia. A volte un segno grafico non è sufficiente a rappresentare il lavoro, la passione e le emozioni. E' allora che si deve cominciare a raccontare, come per l'isola della Gorgona

05 ottobre 2013 | Maurizio Pescari

Nel vino, ma non solo, c’è un comune denominatore che unisce produttori e consumatori. Gli uni e gli altri sono alla ricerca di certezze. Certezze della vendita, certezze sulla qualità all’acquisto. I due protagonisti sono condizionati ormai da tempo da incognite del tutto variabili: se da un lato si fanno i conti con la contrazione del mercato conseguenza del ritorno alla normalità dei consumi, dall’altro è forte il timore che “…non sia tutto oro quello che luccica” e che prezzo e marca non siano più garanzia reale di qualità. Attualità frutto del periodo di “vacche grasse”, dei costi eccessivi all’origine e dei ricarichi ingiustificabili applicati al dettaglio, che hanno incrinato il rapporto di fiducia tra produttore e consumatore. Ma quali sono oggi gli elementi che portano all’acquisto di un vino? Abbiamo posto la domanda a Simonetta Doni, dello studio “Doni ed Associati” di Firenze, protagonista negli ultimi venti anni nella creazione del packaging del vino.

 

- Simonetta, mi dirai che per vendere il vino è questione di etichetta, ci mancherebbe…

“Assolutamente sì – dice Simonetta con occhio severo – e non lo dico perché è il nostro lavoro, ma perché è la realtà! Se non comunichi fuori, nessuno entra dentro. Se non hai l’etichetta giusta, è inutile fare un buon vino e quindi nella fase iniziale del progetto l’etichetta è fondamentale. Per definire il valore dell’immagine, basta pensare al nostro atteggiamento, da addetti ai lavori davanti ad uno scaffale: quante bottiglie scorriamo come l’elenco telefonico e dove ci fermiamo?”.

- Questo però non vale per tutti, ci sono cantine conosciute da una parte ed una miriade di altre a sgomitare.

“Dobbiamo affrontare l’argomento pensando ad un mercato globale, scrollandoci di dosso i localismi. Se guardiamo la cose in questa maniera – spiega Simonetta Doni - possiamo affermare che in Italia non esistono grandi marchi nel vino. Non attribuiamo il valore di “grande” valutando il localismo, la notorietà a livello nazionale, non dobbiamo farci condizionare dall’approccio che può avere chi come noi è appassionato e coinvolto nel settore professionalmente, che ci porta a sottovalutare il valore del consumatore ordinario, che rappresenta la stragrande maggioranza del mercato. Chi conosce i nomi guarda i nomi, ma la maggior parte sceglie dall’etichetta. E questo ha valore soprattutto nei nuovi mercati, che non conoscono i nostri grandi marchi: polacchi, russi o cinesi, non conoscono il vino italiano”.

- Oggi il consumatore cosa acquista e dove?

“Oggi il pubblico medio cerca il meglio al prezzo più basso. Possiamo rappresentare l’offerta come una piramide, con una base larghissima, i volumi veri si fanno solo ad un certo livello della piramide. Il vino si acquista in enoteca o al supermercato. In enoteca va una persona più preparata, che sa quasi quello che vuole e comunque si affida volentieri all’enotecario che da’ consigli. Al supermercato salvo rare eccezioni, il cliente è solo davanti ad uno scaffale ed ha come linea guida un prezzo, una regione, bianco o rosso. Ma sempre di più solo il prezzo”.

- In questa apparente solitudine nel caos del supermercato, cosa succede davanti allo scaffale ed a centinaia di bottiglie di vino?

“Il vino è emozione, è coinvolgimento, e nella scelta conta tanto l’immagine. Un cliente normale guarda, è colpito da una bella etichetta, - spiega Simonetta –, magari nota che costa anche poco, e sintetizza: “Bottiglia bella, costa pure poco, questo è il vino che cercavo…”. Poi una volta a casa scopre che il vino è anche buono; in un attimo muta il rapporto con quella cantina ed avrà il desiderio di conoscerne gli altri prodotti. Ma all’inizio vale il concetto che se non mi piace l’etichetta non mi piace il vino”.

- In questo mercato che ruolo hanno i giovani, molti affrettano giudizi, uno spritz e via…

“Errore gravissimo! I giovani sono molto più attenti e saranno il mercato di domani. Sono attenti all’immagine perché hanno una cultura dell’immagine formata in diversi ambiti: la moda, l’elettronica, i giochi. Pensiamo agli smartphone ed alle icone delle applicazioni, nei giovani in meno di un centimetro quadrato si concentra un’attenzione incredibile. In loro, giovani educati ad un consumo consapevole ed al sapere cosa bere, l’etichetta incide molto”.

- Simonetta, qual è l’etichetta giusta? Quella che piace a chi la paga?

“Quante lotte, quante discussioni. E’ davvero difficile far capire la differenza tra il “bello” ed il “mi piace”, anzi, nel nostro settore meglio dire tra il “bello” ed il “funzionale”. Le regole sono essenziali, messaggi contorti non arrivano mai e li sconsiglio, ma è fondamentale conoscere il progetto, cercare l’anima nelle persone e nella terra, poi si può riuscire a far passare il tutto anche con un semplice segno grafico. Che però a volte non basta”.

- Certo che se ne vedono davvero di tutti i colori…

“Sto osservando cose che hanno dell’incredibile, vedo perdere l’italianità che è la nostra reale forza ed il nostro valore più importante, in etichetta con grafiche, colori ed immagini gradite al Paese di destinazione, per andare alla ricerca di una benevolenza commerciale. Che peccato… Ovunque nel mondo, il vino italiano dev’essere bandiera dello stile italiano”.

- Tra i progetti recenti ai quali ha partecipato, qual è quello che t’ha coinvolta di più?

“Non ho dubbi – dice diretta Simonetta Doni – il progetto dell’isola di Gorgona, l’ultimo carcere italiano a cielo aperto, sull’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano. Un progetto di recupero e formazione professionale dei detenuti, che ha dato vita a una piccola produzione vinicola. Abbiamo svolto il nostro ruolo grazie all’invito del Marchese Lamberto de’ Frescobaldi. Il vino è un bianco da Vermentino ed Ansonica nato dal lavoro dei detenuti con l’enologo Niccolò D’Afflitto. Noi l’abbiamo “vestito”, e sinceramente dopo aver passato una giornata a Gorgona, ho capito che un segno grafico non bastava a rappresentare il lavoro e le emozioni che trasmetteva. Chi avevo conosciuto lì meritava davvero rispetto”.

- Come è nata l’etichetta?

“Ho cercato di coinvolgere i detenuti, - racconta Simonetta – li ho stimolati a trasmettermi le loro idee, ma non arrivava niente, forse per paura di sbagliare. Poi uno dei tutor, che vive a Livorno, mi ha raccontato la sua isola, l’umanità dei detenuti, di persone particolari che fanno una vita uguale alla nostra senza essere rinchiusi in cella, ma in una realtà fuori dal mondo. Da lì l’idea di rappresentare il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, gli elementi che fanno la Gorgona, che danno origine ad una ricchezza di sensazioni non sintetizzabili in un segno. L’etichetta è un giornale, rinnovabile di tanto in tanto, dove sono riportate le delle emozioni che trasmette l’isola. L’idea principale di tutto questo packaging nasce dall’isola segreta, che non si vede, abbiamo quindi avvolto la bottiglia in una carta che la protegge come fosse un tesoro. A proposito, - conclude Simonetta - a la Gorgona ci sono tracce concrete di cultivar di olivi autoctoni. Se dopo il vino, nascesse anche l’olio?”.

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