Mondo Enoico

Un futuro roseo, anzi rosè, per il vino italiano. Soprattutto all'estero

I vini Dop e Igp trascinano produzione e mercato, soprattutto verso paesi lontani, anche se i big spender sono gli stessi da molti anni a questa parte. Cina e Brasile, ma anche Europa dell'Est,i mercati emergenti

13 aprile 2013 | R. T.

Una produzione che supera i 29 milioni di ettolitri e un fatturato all’origine di oltre i 2,3 miliardi di euro. Questi i principali numeri del comparto dei 521 vini Dop e Igp Italiani che Ismea ha diffuso al Vinitaly.

Il fatturato ex-fabrica e iva esclusa dei vini in cisterna, stimato anche grazie alla capillare rete di rilevazione dei prezzi all’origine, risulta nel 2011 di circa un miliardo e mezzo di euro per il segmento dei vini Dop, di 800 milioni di euro per i vini Igp e di 500 milioni di euro per i vini comuni, arrivando a un giro d’affari complessivo all’origine di 2,8 miliardi.

La potenzialità produttiva è di oltre due terzi dell’intera produzione di vino italiana. Le prime dieci denominazioni Dop rappresentano quasi il 44% della produzione potenziale, con le prime 5 (Prosecco, Asti, Montepulciano d’Abruzzo, Chianti e Valpolicella) che da sole sfiorano il 30%. In termini territoriali, Veneto, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo e Trentino Alto Adige coprono oltre il 75% della produzione. Ugualmente, tra le Igp, le prime dieci denominazioni rappresentano oltre il 73% della produzione potenziale, con una concentrazione di oltre l’80% in Veneto, Emilia Romagna, Sicilia, Puglia e Friuli Venezia Giulia.

Per quanto concerne la domanda interna, la spesa per i vini ha tenuto, registrando nel canale domestico un aumento dell’1% sul 2011. Il mercato interno mostra comunque segnali di debolezza ed è dall’estero che provengono le maggiori soddisfazioni per le cantine italiane. È cresciuto nel 2012 il giro d'affari legato all'export del vino tricolore (4,7 miliardi di euro, in aumento del 6,5% rispetto al 2011) con un incremento di oltre il 4% per vini fermi Dop, di quasi il 7% per gli Igp, mentre sfiora il 14% la progressione in valore degli spumanti.

 

Tra i grandi importatori mondiali di vino, Usa, Regno Unito e Germania, in ordine di importanza per valore della spesa, concentrano quasi il 40% della domanda internazionale di vino. La dinamica dell’ultimo anno vede un balzo di circa il 14% sia nei volumi sia nei corrispettivi monetari negli States, a fronte di un deciso passo indietro delle quantità acquistate in Germania (-7%) seppur con un mantenimento della spesa sui livelli dell’anno precedente. Più netta la forbice nel Regno Unito dove alla flessione degli ettolitri (-5%) fa eco un incremento degli esborsi del 10%.

L’Italia è leader nel mercato statunitense e tedesco, sia in volume che in valore. Negli Usa detiene una quota pari al 29% del mercato, davanti alla Francia e all’Australia, mentre nel Paese teutonico copre il 35% della spesa, posizionandosi davanti al concorrente transalpino in termini monetari e alla Spagna in termini quantitativi. Nel Regno Unito il primato spetta alla Francia con un giro d’affari all’export che è oltre il doppio di quello italiano (1,4 mld di euro nel 2012 contro i 570 milioni della Penisola), nonostante i quantitativi di vino tricolore spediti oltre la Manica siano di gran lunga maggiori.

A ridosso dei tre grandi importatori mondiali si stanno affermando Russia e Cina, con un quantitativo poco al di sotto dei 5 milioni di ettolitri nel 2012 per la prima (817 milioni di euro in valore) e di circa 4 milioni di ettolitri per la seconda (1,2 miliardi di euro in valore). Per entrambi i Paesi il 2012 ha visto aumentare la spesa di vino e mosti di oltre il 18%, mentre in termini quantitativi è solo il gigante asiatico a registrare un avanzamento (+8% sul 2011). In solo sette anni, sottolinea l’analisi Ismea, l’import cinese si è decuplicato, passando dai 500 mila ettolitri del 2006 ai quasi quattro milioni attuali e balzando dal ventesimo al quinto posto nella classifica dei paesi importatori. A beneficiare delle pressioni all'acquisto in Cina è soprattutto la Francia che detiene una quota pari alla metà del totale della spesa cinese di vino straniero. Ben posizionati anche l’Australia e il Cile, con un rinnovato protagonismo da parte del Paese sudamericano nella fornitura di vino sfuso, dove rincorre il primato temporaneamente ceduto alla Spagna. Il vino tricolore oltre la Grande Muraglia è ancora lontano invece dal giocare un ruolo di prim’ordine, con una quota pari all’8% in volume e al 6% in valore, pressoché stabile negli anni, nonostante la tendenza alla crescita dell’import dall’Italia. Decisamente migliore la posizione competitiva nel mercato russo, dove l’Italia resta leader in termini di valore, distaccando di poco la Francia, e si colloca al secondo posto per le quantità riducendo molto nell’ultimo anno il gap con la Spagna.

Secondo Ismea, le maggiori potenzialità, specie per le aziende italiane, si riscontrano nei nuovi mercati dell'Europa dell'Est, comunitari e non, che negli ultimi cinque anni hanno incrementato notevolmente la propria domanda, con percentuali di crescita che vanno dal più 38% della Repubblica Ceca (il mercato al momento più importante dell’area, 14mo nel ranking mondiale degli importatori di vino nel 2012) al +255% dell’Ungheria. Ovviamente, sottolinea l’Istituto, percentuali così elevate sottendono volumi ancora limitati, ma l’Italia anche in virtù della prossimità geografica, ha tutte le credenziali per svolgere un ruolo chiave. Di fatto è già leader in Bulgaria, Repubblica Ceca e Ungheria, mentre rappresenta il primo “follower” in Estonia, Polonia e Romania.

Spostandoci decisamente più a est, l’estremo Oriente costituisce un’altra area da presidiare con attenzione. Mettendo da parte Cina e Giappone, guida il gruppo del Far East Hong Kong, che nel 2012, ha importato per prima volta negli ultimi 10 anni oltre mezzo milione di ettolitri. A seguire Singapore, Taiwan e con più distacco l’India, il cui ritmo crescita è però di tutto rispetto (+263% nell’ultimo quinquennio, sui cinque anni precedenti). In quest’area l’import parla decisamente francese, mentre l’Italia si colloca alle spalle dei Paesi del nuovo mondo.

In Sud America sfiorano gli 800 mila ettolitri le importazioni brasiliane, mentre in Messico le richieste superano di poco i 400 mila. Anche in quest’area, l’Italia non ha un ruolo di leader, tutt’altro. La vicinanza geografica sposta l’attenzione sui vini dei vicini produttori sudamericani, mentre le affinità culturali fanno della Spagna il primo fornitore europeo.