Legislazione
E’ POSSIBILE DARE NUOVA LINFA AL NOSTRO PATRIMONIO AGRO-ALIMENTARE? ALCUNI SENATORI INTENDONO RILANCIARE IL SETTORE
La Commissione Agricoltura ed Alimentazione del Senato dà il via libera all'iter sul disegno di legge "Interventi per la valorizzazione del patrimonio agroalimentare tradizionale"
14 ottobre 2006 | T N
Che sia necessario intervenire in materia di agroalimentare è evidente a tutti. Ci sono troppe lacune da colmare. Ora, la Commissione Agricoltura ed Alimentazione del Senato si sta muovendo in tal senso, tanto che a breve prenderanno il via le audizioni delle parti sociali coinvolte, così da acquisire quegli orientamenti necessari per dar corso e corpo a un provvedimento condiviso da ogni filiera produttiva, oltre che dai consumatori.
Riportiamo qui di seguito il resoconto dellâiniziativa dei senatori De Petris, Bulgarelli, Cossutta, Donati, Palermi, Ripamonti, Fernando Rossi, Pecoraro Scanio e Tibaldi, in un documento assai dettagliato, con, in aggiunta, il testo del disegno di legge anzidetto.
Interventi per la valorizzazione del patrimonio agroalimentare tradizionale
Onorevoli Senatori. â Il settore agroalimentare riveste un ruolo di particolare rilievo per il nostro Paese, non solo dal punto di vista economico. Secondo comparto, dopo il metalmeccanico, per entità del valore aggiunto, lâagroalimentare contribuisce in modo determinante a definire lâimmagine del made in Italy nel mondo, con crescenti sinergie con lo sviluppo turistico, e ben rappresenta il mosaico delle molteplici realtà territoriali che compongono lâidentità culturale nazionale.
Il radicamento nel territorio costituisce un elemento distintivo nella varietà della produzione alimentare italiana e al tempo stesso la più importante risorsa per fronteggiare, con la qualità e la specificità della gamma, la crescente globalizzazione dei mercati che ci vedrebbe senzâaltro soccombere in materia di costi. Unâofferta fortemente caratterizzata sul fronte della tipicità è del resto in grado di rispondere più efficacemente alle tendenze emergenti nel consumo che premiano la ricerca del gusto, della genuinità , del valore nutrizionale.
Il presente disegno di legge è orientato a promuovere la conservazione e la valorizzazione di quel comparto della produzione alimentare nazionale che maggiormente si caratterizza sul fronte della qualità e della tipicità , un comparto che viene definito, nellâarticolato proposto, «patrimonio agroalimentare tradizionale», tenuto conto che non si intende trattare in questa sede, per la sua specificità , la situazione del settore vitivinicolo. Si tratta di una realtà composita e presente, in varia misura, in tutte le regioni del Paese, attualmente suddivisibile in tre principali categorie:
â i prodotti a âdenominazione dâorigine protettaâ (DOP), ad âindicazione geografica protettaâ (IGP) e le âspecialità tradizionali garantiteâ (STG), tutti riconosciuti ai sensi dei regolamenti (CEE) n. 2081/92 e 2082/92, del Consiglio, del 14 luglio 1992, di recente abrogati e sostituiti, rispettivamente, dai regolamenti (CE) n. 510/2006 e n. 509/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, che definiscono le modalità per ottenere il marchio dellâUnione europea (UE) nel rispetto del disciplinare di produzione e la relativa protezione. LâItalia mantiene in questo campo una importante leadership europea con 150 denominazioni registrate (il 21 per cento del totale UE) con un valore al consumo stimato in 8,7 miliardi di euro ed una forte incidenza di export che si attesta attorno al 18 per cento delle quantità certificate;
â i âprodotti agroalimentari tradizionaliâ (PAT), così definiti dal regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 8 settembre 1999, n. 350, a seguito del quale è stata avviata, con la collaborazione delle regioni, la catalogazione di quelle preparazioni alimentari tipiche le cui metodiche di lavorazione risultano consolidate da almeno 25 anni. Si tratta ad oggi di una lista di 4.006 produzioni (1.215 paste fresche e prodotti da forno, 1.115 vegetali allo stato naturale o trasformati, 720 carni fresche e loro preparazioni, 435 formaggi etc.), espressione della eccezionale biodiversità agroalimentare che il nostro Paese è in grado di esprimere, la cui valenza giuridica, al di là dellâaspetto ricognitivo, è essenzialmente legata alla possibilità di ottenere deroghe per il mantenimento delle lavorazioni tradizionali in caso di contrasto con le normative sanitarie HACCP;
â quei processi produttivi dellâartigianato alimentare, con antica e diffusa tradizione nel nostro Paese, che, pur non avendo una connotazione territoriale univoca, meritano una tutela e una distinzione specifica al fine di salvaguardarne le caratteristiche a fronte delle omologhe produzioni industriali.
Ma, attorno al potenziale del «patrimonio agroalimentare tradizionale» e al diffuso interesse che suscita, si sono sviluppate iniziative associative ed istituzionali anche a prescindere dalle categorie giuridiche esistenti. Il riferimento va ad esempio alla interessante ed efficace esperienza dei âPresìdiâ di Slow Food, una iniziativa di difesa e valorizzazione di prodotti a rischio di estinzione oggi riguardante 198 âsapori antichiâ, che sta dando risultati eccellenti sotto il profilo dellâincremento delle aziende coinvolte, dellâoccupazione e del valore aggiunto a vantaggio dei produttori. Espressione della stessa tensione verso la tutela della cultura agroalimentare tradizionale è senzâaltro anche il movimento delle DE.CO. (denominazioni comunali), nato su proposta di Luigi Veronelli, che vede ad oggi coinvolti un numero crescente di enti locali che deliberano il riconoscimento e lâorigine di prodotti del proprio territorio e la recente iniziativa dellâAssociazione nazionale comuni italiani (ANCI) denominata Res tipica, rivolta alla promozione ed alla salvaguardia di prodotti artigianali tipici, non solo agroalimentari. Iniziative rivolte a distinguere adeguatamente il carattere tradizionale di alcune produzioni artigianali italiane si sono inoltre sviluppate in settori di grande rilievo, quali la panetteria e la gelateria, anche se ancora queste proposte non hanno trovato un adeguato sbocco istituzionale.
Le esperienze citate convergono nellâassegnare una valenza allâagroalimentare tradizionale che va oltre le potenzialità economiche dirette. Il 70 per cento delle produzioni tradizionali è espressione di sistemi territoriali marginali dove svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio a partire da un bacino di conoscenze e di varietà genetiche che costituisce, in questi ambiti, una parte di assoluto rilievo nelle identità delle comunità e nella conformazione del paesaggio agrario. Conservare e valorizzare gli ecotipi, le razze autoctone e le metodiche tradizionali di lavorazione significa disegnare un futuro per quei contesti rurali di grande pregio ambientale, in particolare di collina e di montagna, altrimenti destinati allâabbandono e alla disgregazione sociale. Secondo la Federazione italiana dei pubblici esercizi sono inoltre almeno tre milioni allâanno in Italia le presenze straniere determinate dal turismo enogastronomico, un flusso di fascia alta che potrebbe essere maggiormente attirato nelle aree oggi a rischio di abbandono, con ricadute di grande rilievo per la qualità dello sviluppo locale.
à singolare osservare come un patrimonio di tali dimensioni e potenzialità per il nostro Paese non sia mai stato oggetto di un interesse specifico da parte del legislatore, fatta eccezione per qualche parziale tentativo di alcune regioni. In assenza di interventi sistematici di programmazione e promozione, il comparto presenta, inevitabilmente, non solo ampie potenzialità inespresse, ma anche evidenti segnali di difficoltà che appare urgente affrontare.
I marchi comunitari DOP, IGP e STG suscitano tuttora nei produttori notevoli aspettative, ma, superata lâiniziale fase di euforia che contraddistingue lâinizio del tortuoso percorso di riconoscimento, si mostrano idonei ad accompagnare lo sviluppo solo delle referenze in grado di garantire elevati volumi produttivi. In Italia si osserva, non a caso, una polarizzazione delle denominazioni riconosciute dallâUE: da un lato i primi dieci prodotti DOP e IGP il cui valore economico rappresenta lâ87 per cento dellâintero paniere italiano a marchio comunitario, dallâaltro decine di denominazioni minori stentano a certificare e a far decollare qualsiasi attività dei Consorzi in quanto i produttori aderenti non sono in grado di sostenere gli elevati costi del sistema di controllo e le relative incombenze amministrative. Nelle attuali condizioni giuridiche ed economiche, senza una massa critica di prodotto superiore a 1,5-2 milioni di euro, il sistema UE di protezione appare difficilmente accessibile a tutte le vere produzioni artigianali âdi nicchiaâ, di grande interesse alimentare, che pure meritano di essere accompagnate verso un percorso di sviluppo. Le ripetute indagini di mercato condotte rilevano inoltre tuttora una scarsa conoscenza da parte dei consumatori del marchio e del significato rappresentato dalla protezione UE, con conseguente difficoltà da parte dei promotori a monetizzarne i vantaggi, confermando che il riconoscimento comunitario non va considerato il traguardo, ma solo una base di partenza per una efficace politica di marketing. Non sono inoltre condivisibili le tendenze in atto alla progressiva modifica dei disciplinari di alcuni prodotti in direzione di modalità di produzione più sensibili alle esigenze derivanti dalla crescita quantitativa dei volumi che non a quelle connesse alla garanzia delle caratteristiche tradizionali e della qualità delle materie prime impiegate.
Elementi di criticità sono presenti anche nello status dei citati prodotti PAT, inseriti, per iniziativa delle regioni, nellâelenco di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 8 settembre 1999, n. 350. Il provvedimento in questione ha infatti natura ricognitiva e non assicura alle produzioni in questione una riconoscibilità specifica. Ad oggi è molto limitato il ricorso alla facoltà di deroga sanitaria per le lavorazioni e le regioni si sono limitate di fatto ad una sorta di lodevole censimento di produzioni ârelitteâ senza verificare però le condizioni reali per assicurarne la sopravvivenza. In assenza di una strategia rivolta a mettere in rete le risorse agroalimentari, ad attivare una logistica per il mercato, una formazione adeguata e la sinergia con le altre potenzialità del territorio, appare ben difficile mantenere nel tempo la vitalità di peculiarità alimentari che spesso risultano legate allâattività di qualche famiglia o di singole aziende. Il rischio in sostanza è quello di assistere al progressivo svuotamento di questi micro-distretti nellâincapacità di impostare politiche rivolte a sostenerne le condizioni locali di produzione e le potenzialità di sviluppo; segnali negativi in questo senso provengono ad esempio da molte produzioni minori di derivazione zootecnica, in particolare nel meridione del Paese, anche per effetto della crisi del settore.
Fenomeni purtroppo comuni alle produzioni agroalimentari tipiche sono la contraffazione e la pirateria genetica. Nel solo mercato degli Stati Uniti si calcola che il valore dei âcloniâ contraffatti di prodotti alimentari italiani sia almeno pari alle vendite degli originali, una problematica che si sta tentando di affrontare, peraltro al momento con scarsi risultati, nellâambito delle trattative internazionali in sede di World Trade Organization (WTO). Il patrimonio varietale autoctono che spesso caratterizza le produzioni tradizionali è inoltre soggetto ad una particolare forma di erosione che si determina con lâappropriazione brevettuale del genoma da parte di privati e grandi aziende del settore biotecnologico, in spregio alla evidente constatazione che queste varietà sono un deposito di consuetudini e conoscenze sviluppato e tramandato nei secoli dalle comunità locali.
Le produzioni alimentari artigianali ad alto valore tradizionale incontrano infine evidenti problemi nel distinguere nellâetichettatura e nel prezzo il carattere peculiare delle materie prime e dei procedimenti di lavorazione utilizzati rispetto alle omologhe referenze industriali. Emblematico è il caso del pane fresco, laddove il prodotto dei forni artigiani che ancora curano la lievitazione naturale è presentato al consumatore come i prodotti pre-congelati, o quello del gelato sfuso, con una accelerata sostituzione delle materie prime fresche con additivi e semilavorati industriali senza alcuna differenza nella presentazione al pubblico. à indubbio che la prima selezione è quella affidata al gusto, ma una maggiore chiarezza nellâetichettatura contribuirebbe a orientare le scelte, a meglio giustificare il ventaglio di prezzi e qualità ed a premiare lâimpegno di chi ancora conserva con passione una tradizione antica.
A questo complesso di problematiche si intende dare risposta con il presente disegno di legge.
Lâarticolo l definisce le finalità generali collocando le problematiche concernenti le produzioni tipiche e tradizionali nel quadro degli obiettivi primari delle politiche rivolte a promuovere lo sviluppo economico e la salvaguardia delle risorse naturali del territorio nazionale. Lo Stato, le regioni e gli enti locali sono chiamati a concorrere per creare condizioni idonee al mantenimento e allo sviluppo delle condizioni agronomiche e dei processi produttivi che hanno consentito la conservazione di questo prezioso patrimonio.
Lâarticolo 2 esplica lâimpegno istituzionale a favore del settore prevedendo un piano triennale di interventi di salvaguardia e valorizzazione articolato in provvedimenti regionali adottati dalle regioni e dalle province autonome. Cento milioni di euro per ogni anno, a partire dal 2006, vengono destinati come contributo ad interventi per la conservazione attiva delle risorse genetiche autoctone, per la protezione delle aree nelle quali si concentrano le produzioni tradizionali, per lâindividuazione di presìdi finalizzati alla costituzione di una rete di protezione e rilancio dei prodotti a rischio di sparizione, per lo sviluppo del mercato sia su base locale che orientato allâesportazione, per la promozione di sinergie con le potenzialità turistiche ed agrituristiche, per lâincremento della formazione professionale e dellâinformazione nei confronti dei consumatori.
Lâarticolo 3 affronta la questione delle risorse genetiche autoctone che spesso sono allâorigine delle produzioni alimentari tradizionali. Contro il rischio di appropriazione brevettuale, il disegno di legge stabilisce che la titolarità del genoma di specie, razze, varietà cultivar ed ecotipi vegetali ed animali, sviluppati ed utilizzati da almeno 25 anni in ambito locale, appartiene alle comunità locali che le hanno selezionate, rappresentate dai comuni nel cui territorio si svolgono le attività di produzione. Al fine di consentirne la tutela giuridica ed evidenziare lâimportanza del mantenimento del patrimonio genetico, gli elenchi dei prodotti agroalimentari tradizionali predisposti dalle regioni e i disciplinari dei prodotti DOP e IGP dovranno indicare la presenza delle risorse da proteggere; in relazione inoltre alla necessità di conservare materie prime e metodiche tradizionali di lavorazione viene introdotto il divieto di di utilizzare organismi geneticamente modificati nel ciclo produttivo che origina prodotti appartenenti al patrimonio agroalimentare tradizionale.
Lâarticolo 4 riguarda disposizioni attuati ve del già citato regolamento (CE) n. 510/2006 concernente i prodotti DOP e IGP. Il livello di costi e difficoltà amministrative da affrontare nella fase di avvio del processo di registrazione delle denominazioni è una delle difficoltà più rilevanti che frena consorzi e piccole associazioni di produttori nel tentare la strada del riconoscimento comunitario e permane come ostacolo allo sviluppo, anche in molti consorzi che pure hanno intrapreso, con notevole impegno, questo percorso. Una parte delle referenze oggi registrate negli elenchi regionali dei prodotti agroalimentari tradizionali potrebbe invece essere accompagnata con profitto su questo percorso, se opportunamente seguita nella fase di avvio del riconoscimento e di consolidamento del distretto produttivo. In attuazione e nel rispetto del regolamento (CEE) n. 2081/92 si propone pertanto di consentire ai comuni e alle comunità montane, in quanto soggetti rappresentativi delle comunità locali dove è sedimentato quel patrimonio di conoscenze produttive, di promuovere la costituzione ed assumere partecipazioni, sostenendone pro quota gli oneri, nei soggetti giuridici abilitati a inoltrare la domanda di registrazione. à questa una concreta possibilità di esprimere efficacemente il giusto desiderio di protagonismo degli enti locali in questa materia, che oggi si disperde in molteplici canali, spesso non idonei per fronteggiare le esigenze del settore.
Con lâarticolo 5 si intende istituire un marchio di riconoscimento «ombrello» per contraddistinguere quella parte del patrimonio agroalimentare tradizionale per la quale risulta comunque inaccessibile il procedimento di protezione della denominazione in sede comunitaria. Si è già in precedenza accennato alle circostanze che rendono sostanzialmente non idoneo per le piccole produzioni tradizionali lâaccesso ai marchi DOP e IGP: gli oneri di gestione dei consorzi e di certificazione, unitamente a procedure burocratiche insostenibili per le piccole imprese familiari, rischiano di relegare in una condizione di anonimato specialità alimentari di grande interesse, a cominciare dalla lista degli oltre quattromila prodotti PAT. Lâaccesso a questo marchio collettivo di qualità , fondato su un disciplinare riconosciuto, può rappresentare una opportunità anche per quelle produzioni dellâartigianato alimentare, non aventi una specifica origine territoriale, che faticano a sopravvivere e subiscono la concorrenza delle omologhe produzioni industriali, pur avendo caratteristiche qualitative ben diverse. Una chiara riconoscibilità per i consumatori, ad esempio, per il pane artigianale a lievitazione naturale o per il gelato sfuso di alta qualità potrebbe restituire trasparenza ad un mercato oggi falsato dallâassenza di informazione. à opportuno precisare che la formulazione giuridica proposta per il marchio âprodotto alimentare tradizionaleâ si ritiene compatibile con la disciplina comunitaria in materia. A più riprese infatti le competenti direzioni della Commissione UE e la Corte di giustizia hanno ribadito che ritengono incompatibile con la normativa comunitaria ogni marchio identificativo del rapporto fra origine territoriale e prodotto al di fuori del procedimento stabilito dai regolamenti (CEE) n. 2081/92 e n. 2082/92, sostituiti, rispettivamente, dai regolamenti (CE) n. 510/2006 e n. 509/2006, o che possa rappresentare ostacolo alla libera circolazione delle merci nel mercato comune; sono invece ammissibili marchi nazionali che attestino esclusivamente caratteristiche intrinseche di qualità dei prodotti, qualora parimenti accessibili, a norma degli articoli 6 e 40 del Trattato, anche ad altri potenziali utilizzatori comunitari. Il marchio proposto dal presente disegno di legge attesta il carattere tradizionale di metodiche di lavorazione dellâartigianato alimentare e prescinde da connotazioni geografiche, potendosi rendere accessibile per eventuali richiedenti operanti nellâUE in grado di attestare adeguatamente la sussistenza di analoghi processi produttivi tradizionali.
Lâarticolo 6 introduce importanti misure di agevolazione fiscale per le imprese della filiera agroalimentare, anche consorziate, che adottano il regime di controllo della qualità per i prodotti DOP e IGP, mediante concessione di un credito di imposta pari al 50 per cento del totale delle spese sostenute per la certificazione. Lâimpegno finanziario previsto è pari a 25 milioni di euro allâanno a decorrere dal 2006, a carico del «Fondo speciale» del Ministero dellâeconomia e delle finanze, e si ritiene anchâesso compatibile con le più recenti disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato. A tale disponibilità è previsto che possano accedere anche le imprese che affrontano oneri per la registrazione delle denominazioni protette nei Paesi extracomunitari, un problema di notevole rilevanza, tuttora non risolto in sede di Organizzazione mondiale del commercio, in relazione alla grande diffusione di prodotti italian sounding che sfruttano lâimmagine del nostro Paese senza avere alcun rapporto con il nostro sistema produttivo.
Alcune misure ulteriori di promozione sono infine previste dallâarticolo 7. Si formula un indirizzo agli enti pubblici in merito alla priorità da assegnare nei procedimenti di concessione di terreni demaniali o soggetti ad uso civico a favore delle attività produttive concernenti il patrimonio agroalimentare tradizionale, con particolare riferimento allâallevamento delle razze animali autoctone. à inoltre prevista una riserva nei fondi CIPE per la programmazione negoziata a vantaggio di progetti finalizzati alla valorizzazione delle produzioni tipiche e tradizionali.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità e definizioni)
1. Le produzioni agroalimentari tipiche e tradizionali costituiscono parte integrante della identità storica e culturale delle comunità locali e la loro conservazione e valorizzazione rappresenta obiettivo primario nelle politiche rivolte a promuovere la salvaguardia delle risorse naturali e lo sviluppo economico del territorio nazionale.
2. Lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e i comuni, nellâambito delle rispettive competenze, concorrono a definire condizioni idonee per il mantenimento delle condizioni agronomiche e dei processi produttivi consolidati nel tempo relativi alle produzioni agroalimentari tipiche e tradizionali, nonché a promuoverne la conoscenza e la diffusione.
3. Ai fini della presente legge si intende per «patrimonio agroalimentare tradizionale» lâinsieme dei prodotti costituito da:
a) i prodotti a denominazione dâorigine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP), e le specialità tradizionali garantite (STG) di cui ai regolamenti CE n. 509/2006 e n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006;
b) i prodotti agroalimentari tradizionali di cui allâarticolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173;
c) eventuali ulteriori produzioni del comparto alimentare alle quali sia stato conferito, per la qualità delle materie prime e il carattere tradizionale dei procedimenti di lavorazione, il marchio di riconoscimento di cui allâarticolo 5.
Art. 2.
(Pianificazione regionale e provinciale)
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere del Comitato per la valorizzazione e la tutela del patrimonio alimentare italiano di cui allâarticolo 59, comma 4-bis, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, un piano triennale di interventi per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio agroalimentare tradizionale di rispettiva competenza.
2. I piani di cui al comma 1 individuano le priorità dâazione nei sottoelencati campi di intervento:
a) conservazione attiva delle risorse genetiche autoctone animali e vegetali il cui mantenimento assume particolare valore per la salvaguardia del patrimonio agroalimentare tradizionale;
b) protezione delle aree nelle quali si concentrano le produzioni appartenenti al patrimonio agroalimentare tradizionale, con particolare priorità per quelle montane;
c) individuazione di presìdi, o sostegno a presìdi esistenti, per costituire una rete di protezione dei prodotti appartenenti al patrimonio agroalimentare tradizionale a rischio di sparizione;
d) definizione di interventi di sostegno per lo sviluppo del mercato dei prodotti appartenenti al patrimonio agroalimentare tradizionale, con riferimento alla domanda della ristorazione pubblica, alla rete della distribuzione locale, anche con spazi di vendita specificamente riservati, e alla logistica per lâesportazione;
e) promozione di sinergie con le potenzialità turistiche ed agrituristiche del territorio, anche con lo sviluppo di percorsi gastronomici;
f) interventi per la formazione professionale e la diffusione delle conoscenze relative alle metodiche tradizionali di lavorazione;
g) azioni di informazione nei confronti dei consumatori con particolare riferimento alla diffusione della conoscenza dei marchi di riconoscimento.
3. Il Ministero delle politiche agricole e forestali e il Ministero delle attività produttive intervengono a sostegno delle azioni previste dai piani di cui al comma 1, autorizzando a tal fine, a carico del bilancio dello Stato, la spesa di euro 100 milioni per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008.
4. Allâonere derivante dallâattuazione del comma 3, pari a euro 100 milioni per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, si provvede, quanto a euro 25 milioni mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nellâambito dellâunità previsionale di base «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dellâeconomia e delle finanze per lâanno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando quanto a euro 25 milioni lâaccantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole e forestali, e quanto a euro 75 milioni lâaccantonamento relativo al Ministero delle attività produttive.
5. Alla ripartizione delle risorse di cui al comma 3 si provvede previo parere della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni, e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Art. 3.
(Tutela della risorse genetiche)
1. La titolarità delle risorse genetiche autoctone concernenti specie, razze, varietà , cultivar ed ecotipi vegetali ed animali, sviluppate in ambito locale, utilizzate da almeno 25 anni e caratterizzanti in maniera univoca i prodotti appartenenti al patrimonio agroalimentare tradizionale, appartiene alle comunità locali, rappresentate dai comuni, singoli o associati, nel cui territorio si svolgono le attività di produzione.
2. à vietato sottoporre a brevetto il genoma o parte del genoma delle risorse genetiche autoctone di cui al comma l, senza la preventiva autorizzazione delle comunità locali che ne sono titolari, espressa previa consultazione dei soggetti rappresentanti dei produttori.
3. Al fine di consentire lâattuazione di quanto previsto dal presente articolo, gli elenchi regionali dei prodotti agroalimentari tradizionali di cui allâarticolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, evidenziano lâeventuale legame dei prodotti iscritti con le risorse genetiche autoctone di cui al comma 1.
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano accertano che i disciplinari dei prodotti a denominazione dâorigine protetta e indicazione geografica protetta, di cui allâarticolo 4 del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, e le loro eventuali modifiche, assicurino prioritariamente la conservazione delle risorse genetiche autoctone di cui al comma l, delle metodiche tradizionali di lavorazione e della qualità delle materie prime impiegate.
5. Non è consentito lâutilizzo delle denominazioni dâorigine protette e delle indicazioni geografiche protette di cui al regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, e del marchio di riconoscimento di cui allâarticolo 5, in caso di impiego, in qualunque fase del ciclo produttivo, di organismi geneticamente modificati (OGM) o loro derivati.
Art. 4.
(Disposizioni attuative del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006)
1. Al fine di favorire lâavvio del procedimento previsto dallâarticolo 5 del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, per la protezione della denominazione dâorigine dei prodotti agroalimentari tradizionali di cui allâarticolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, i comuni, singoli o associati, le province e le comunità montane possono promuovere la costituzione e assumere partecipazioni dei soggetti giuridici, rappresentanti dei produttori, abilitati ad inoltrare domanda di registrazione della denominazione.
2. Le modalità tecniche per lâattuazione di quanto previsto dal comma 1 sono definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro delle attività produttive.
Art. 5.
(Istituzione del marchio âprodotto alimentare tradizionaleâ)
1. Al fine di favorire la conservazione e il riconoscimento delle tradizioni alimentari, è istituito, nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle merci e di mutuo riconoscimento, il marchio «prodotto alimentare tradizionale» che contraddistingue nellâetichettatura i prodotti di cui allâarticolo 1, comma 3, lettere b) e c) e relativo esclusivamente alle caratteristiche intrinseche dei prodotti medesimi.
2. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, e le province autonome di Trento e di Bolzano, approva il marchio di riconoscimento di cui al comma 1 e i criteri per il conferimento ai prodotti, previa approvazione di apposito disciplinare.
3. Lâutilizzazione non autorizzata o impropria della denominazione e del marchio di riconoscimento di cui al comma 1 è punita con le sanzioni di cui allâarticolo 517 del codice penale.
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definiscono e regolamentano le modalità per lâesercizio dei controlli e lâapplicazione delle sanzioni concernenti lâattuazione del presente articolo.
Art. 6.
(Misure fiscali)
1. A decorrere dal 1º gennaio 2006, alle imprese agricole e agroalimentari che adottano il regime di certificazione e controllo della qualità ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, anche se riunite in consorzi, è concesso un credito dâimposta pari al 50 per cento del totale delle spese sostenute ai fini della attestazione della qualità . Con decreto del Ministro dellâeconomia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche agricole e forestali, vengono stabiliti, nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato, i termini e le modalità per la concessione del credito dâimposta di cui al presente comma fino al limite massimo di impegno di 25 milioni di euro per lâanno 2006.
2. Nelle more degli accordi internazionali in sede di Organizzazione mondiale del commercio, sono ammessi al credito di imposta di cui al comma 1 gli oneri sostenuti dalle imprese agricole ed agroalimentari, anche se riunite in consorzi, per la registrazione nei Paesi extracomunitari delle denominazioni protette ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006.
3. Allâonere derivante dallâattuazione del comma 1, pari a euro 25 milioni a decorrere dallâanno 2006, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nellâambito dellâunità previsionale di base «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dellâeconomia e delle finanze per lâanno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando lâaccantonamento relativo al medesimo Ministero.
Art. 7.
(Misure ulteriori di promozione)
1. Gli enti pubblici territoriali e non territoriali possono definire criteri di priorità nei procedimenti di affitto o concessione amministrativa di terreni demaniali, soggetti al regime dei beni demaniali o a vincolo di uso civico, per favorire lâinsediamento e lo sviluppo delle attività produttive concernenti il patrimonio agroalimentare tradizionale, con particolare riferimento allâallevamento delle razze animali autoctone.
2. Nellâambito dei fondi stanziati annualmente dalla legge finanziaria per la programmazione negoziata ai sensi della legge 30 giugno 1998, n. 208, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) provvede ad individuare una quota, comunque non inferiore al 5%, da riservare ai progetti concernenti la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio agroalimentare tradizionale.