Legislazione

Bruciare i residui di potatura è ancora reato, come confermato dalla Corte di Cassazione

Una sentenza depositata il 10 febbraio scorso chiarisce che l'abbruciamento di ramaglie non può essere sempre considerato un fatto di tenue entità dal giudice di merito. Oltre i tre metri cubi di volume apparente ad ettaro si incorre nella sanzione penale

18 marzo 2016 | R. T.

Le ramaglie e i sarmenti, ovvero il materiale vegetale derivato dalla coltivazione del fondo, è un rifiuto, a meno che, seguendo la normativa vigente, non si ottemperino alle condizioni previste, facendolo diventare o un sottoprodotto oppure un materiale che può essere smaltivo, per esempio con l'abbrucciamento, purchè non sia un pericolo per la salute umana.

A chiarire il punto è una sentenza della Corte di Cassazione (5504/2916) depositata il 10 febbraio scorso.

I fatti riguardano un agricoltore che ha bruciato pula di riso, a cielo aperto e su nudo terreno nell'estate 2011.

Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto, poiché la pula poteva essere utilizzata come ammendante agricolo, ma il periodo di semina era passato da tempo, rendendo impossibile lo spargimento in campo, che il suddetto materiale vegetale andava a configurarsi come rifiuto e non come sottoprodotto.

E' noto che il legislatore, in materia di abbrucciamento dei materiali di scarto vegetali, è intervenuto modificando il testo unico in materia ambientale, fissando però alcune severe regole. Nello specifico l'articolo 182 comma 6 bis del Testo Unico Ambientale stabilisce che “le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro di materiali vegetali di cui all'articolo 185 comma 1 lettera f, effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali è sempre vietata...”

La Corte di Cassazione ha però rilevato che “letta in controluce”, la disposizione stabilisce che costituisce invece attività di gestione rifiuti, esulando dalle normali pratiche agricole, ogni attività di raggruppamento e abbruciamento dei materiali vegetali eseguita fuori dal luogo di produzione o, se eseguita nel luogo di produzione, per una finalità diversa dal reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, ovvero che sia eseguita nel luogo di produzione, per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, ma in cumuli non piccoli o, se in cumuli piccoli, in quantità giornaliere superiori a tre metri steri per ettaro.”

In caso di violazioni delle suddette indicazioni prescrittive è configurabile “il reato di cui all'articolo 256, comma 1, lett a) del Testo Unico Ambientale relativo alle attività di gestione di rifiuti non autorizzate...”

Secondo i giudici, infine, “le condizioni previste per l'operatività dell'articolo 182, comma 6 bis TUE, compresa la quantità di materiale combustibile, non costituiscono vere e proprie soglie di punitibilità ma elementi negativi del fatto di reato, assimilabili all'esercizio di un diritto...confluendo nella disciplina anche penale dei rifiuti , nel caso inverso, con la conseguenza dell'insussistenza delle condizioni poste per la liceità del fatto... ma lascia impregiudicata la questione circa il livello di offensività e quindi circa la particolare tenuità o meno del fatto, che spetta al giudice del merito accertare, ai soli fini della punibilità...”

In conclusione, quindi, non ottemperare alle prescrizioni di legge sull'abbruciamento non dà luogo a una semplice violazione amministrativa ma diventa penale, in quanto gestione non autorizzata di rifiuti. La condotta illecita, quindi, dà luogo a un processo che, anche quando stabilisca la colpevolezza dell'imputato, può non causare una punizione, ovvero una sanzione penale. Se il giudice invoca l'articolo 131 del codice penale, sulla particolare tenuità del fatto e quindi non punibilità, spetterà allo stesso motivare adeguatamente la decisione assunta.