Legislazione

I sospesi e le contraddizioni del regolamento 1169/11. E' caos sull'etichettatura alimentare

Entrerà in vigore tra alcuni mesi e mentre si attendono le disposizioni operative, che la Commissione dovrebbe emanare, emergono molte criticità e differenti interpretazioni. Dovranno essere i tribunali a dipanare i dubbi?

26 gennaio 2013 | R. T.

Il regolamento 1169/2011, sull'etichettatura e l'informazione sui prodotti alimentari, ha una lunga storia che si allaccia con quella sul Libro Bianco sulla sicurezza alimentare e con il regolamento 178/2002 sulla rintracciabilità.

L'obiettivo del legislatore comunitario doveva essere chiaro: fornire al consumatore un'informazione corretta e veritiera in etichetta. E' su questa, insieme con il prezzo, che ancor oggi il consumatore effettua la sua scelta e allora una regolamentazione complessiva della materia si imponeva.

Purtroppo, da semplice norma di natura commerciale, si è passati, e si sta progressivamente passando a una normativa orizzontale, che interessa diversi settori, primo tra tutti quello della salute e della sicurezza alimentare. Non è un caso che il dipartimento della Commissione più attivo sulla materia sia il DG Sarco, ovvero la direzione generale sulla salute e tutela dei consumatori. Solo così si spiega l'ossessiva attenzione per gli allergeni, che permea tutta la norma e condiziona molte scelte, mentre si lasciano aperte questioni anche cruciali, quali la responsabilità degli operatori e la questione dell'origine.

Si tratta, in entrambi i casi, di tematiche nient'affatto secondarie e che avranno certamente molti riflessi pratici e operativi appena la norma comincerà a dover essere applicata, ovvero dal 13 dicembre 2014.

Nei consideranda del regolamento, al numero 21, viene espressamente dichiarato che la norma vuole chiarire la responsabilità degli operatori. Ne risulterebbe che, in altri regolamenti, troviamo tracce di queste responsabilità. E così è, nell'articolo 17, comma 1 e 2 del regolamento 178/2002. Una norma che ha fatto scuola, soprattutto dopo che sul tema si è pronunciata la Corte di Giustizia europea in una causa che vedeva il gruppo della GDO lidl contro il Comune di Arcole e che ha introdotto il principio, non espressamente dichiarato nel regolamento 178/2002, di responsabilità di filiera. La Grande Distribuzione, così come qualsiasi commerciante, non può essere esentato da responsabilità nel controllo e verifica della correttezza che quanto dichiarato in etichetta corrisponda al vero e al contenuto della confezione.

Il regolamento 1169/2011 sembra riprendere questo principio, dettando una sorta di gerarchia, nell'articolo 8 e commi da 1 a 4, sulle responsabilità.

Art. 8 comma 1: “L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.”

Art. 8 comma 2: “L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa applicabile in materia di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali.

Nei commi seguenti viene però la responsabilità di filiera.

Art. 8 comma 3: “Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali.”

Art. 8 comma 4: “Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, non modificano le informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e le possibilità del consumatore finale di effettuare scelte consapevoli. Gli operatori del settore alimentare sono responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che accompagnano il prodotto stesso.”

Ne risulta che non solo commercianti ma anche terzisti possano essere chiamati in causa, per corresponsabilità, nel caso di violazioni del regolamento. Ma in quali casi? A quali condizioni?

Il successivo comma dovrebbe spiegarlo, ma in realtà non dipana completamente i dubbi.

Art. 8 comma 5: “Fatti salvi i paragrafi da 2 a 4, gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività

In base a tale dettato sembrerebbe che commercianti e terzisti siano tenuti solo alla verifica e al controllo per errori evidenti o comunque individuabili (ad esempio mancata indicazione di un allergene quando l'alimento manifestamente lo contiene).

Come detto, però, la responsabilità non è il solo tema su cui il legislatore comunitario non fa piena chiarezza o si contraddice. Anche in merito all'origine c'è una certa confusione.

E' molto chiaro che il consumatore non deve essere indotto in errore riguardo al luogo di origine del prodotto (art. 7 comma 1 lettera a) ma qual'è il luogo di origine? Il regolamento, innanzitutto, distingue tra paese di origine, così come disciplinato dal regolamento doganale 2913/92, e luogo di provenienza, che, spesso, corrisponde non al luogo di origine della materia prima ma a quello dove è avvenuta l'ultima manipolazione dell'alimento.

Secondo quanto disposto dall'articolo 9 comma 1, lettera i sarà obbligatorio inserire “il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26”.

Articolo 26 comma 2 “L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:

a) nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza

In base a tale articolo, quindi, il paese di origine è indicabile solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore. Ma a chi spetta tale decisione? A chi spetta indicare se indicare il luogo di origine è obbligatorio o meno? Apparentemente allo stato membro a cui sarebbe vietato adottare o mantenere disposizioni nazionali sulla materia ma che, in base al successivo articolo 39 comma 2, avrebbe facoltà di legiferare in materia d'origine: “In base al paragrafo 1, gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

 

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