L'arca olearia

Non può esserci pace nel mondo dell'olio

E' sbagliato ritenere che esista una sola filiera, per la semplice ragione che gli interessi delle imprese artigiane olearie non coincidono con quelli delle aziende di confezionamento. A pensarlo è Giampaolo Sodano. E' proprio così? Prosegue lo scambio di opinioni tra il vicepresidente Aifo e Luigi Caricato

11 settembre 2010 | T N

Prima di leggere lo scambio di opinioni tra il vicepresidente Aifo Giampaolo Sodano e il direttore di Teatro Naturale Luigi Caricato, è bene rileggersi quanto già pubblicato lo scorso 24 luglio, prima della pausa estiva: link esterno

Giampaolo Sodano

Caro Caricato,
una risposta franca e chiara come la tua merita un ringraziamento e una precisazione.

Non vado per punti anche se che meriterebbero ciascuno una risposta.
E' certamente vero - e una premessa necessaria a qualsiasi iniziativa futura - il fatto che i frantoiani non hanno "avuto finora peso, è perchè la categoria in quanto tale non c'era: c'erano solo i frantoiani, in ordine sparso".
Ed è certamente sbagliato attribuire a tutti indistintamente la responsabilità di una crisi che ha invece i suoi attori principali ben visibili. Ma possiamo condividere l'idea che non esistono "nemici".

Detto questo veniamo al nodo della questione che ci vede invece su posizioni diverse.
A mio giudizio è sbagliato ritenere che esista una sola filiera, un "corpo solo: il comparto oleario". Per la semplice ragione che gli interessi delle imprese artigiane olearie, unico soggetto imprenditoriale che produce l'olio extravergine dalle olive italiano, sono diversi e concorrenti con quelle aziende di confezionamento che l'olio lo acquistano sul mercato estero, lo miscelano e lo vendono.

Le ragioni del conflitto stanno nel fatto che queste aziende, perseguendo il proprio legittimo obbiettivo di fare profitto, hanno depresso il mercato e il valore della produzione nazionale con il conseguente impoverimento degli agricoltori e dei frantoi.
Condividerai con me l'osservazione che se sullo scaffale del supermercato il consumatore trova bottiglie che hanno tutte la stessa etichetta "extravergine", ciò che determina la sua scelta è prioritariamente il prezzo più basso. e se questo prezzo è esattamente pari, e a volte inferiore, a quello di un kg di olio all'ingrosso al borsino di Bari, allora c'è qualcosa che non va.
E' ovvia la risposta: l'olio siriano o spagnolo costa meno e questo può essere conveniente anche per il consumatore. certamente ma alla condizione che sia correttamente e chiaramente informato sul prodotto che c'è nella bottiglia.
Non solo l'origine, ma anche le sue caratteristiche qualitative e salutistiche. le normative in vigore non hanno risolto questo problema.
Non è questione quindi di buoni e cattivi, ma soltanto interessi che confliggono fra imprese diverse, che fanno una diversa attività e mettono sul mercato prodotti diversi. quindi non c'è nulla da armonizzare e non c'è nessuno spirito ecumenico da invocare. C'è soltanto da prendere atto che, finchè non sarà data all\'impresa artigiana olearia il giusto riconoscimento del suo ruolo di unica impresa di produzione e della utile e necessaria funzione sociale che svolge, la battaglia politica e sindacale che l'AIFO ha intrapreso, alleandosi con gli agricoltori e i consumatori, non farà sconti a nessuno.

Cordialmente
Giampaolo Sodano

P.S. in questa battaglia non dimentichiamo il cosiddetto "olio di semi" che gode di una legislazione comunitaria e nazionale, ottenuta in altra epoca dalle lobby delle multinazionali, che va abrogata.
per quanti hanno la memoria corta consigliamo di andarsi a rileggere alcune pagine della storia del '900 per "scoprire" come si fabbrica questo grasso e come è avvenuta la colonizzazione del mercato europeo. E Teatro naturale potrebbe, volendo, svolgere una utile funzione non solo di informazione ma anche di inchiesta giornalistica e di confronto.


Luigi Caricato


Caro Sodano,
è proprio vero: occorre essere franchi e sinceri.

Come posso dirlo? Sono stufo, stufo e arcistufo di ripetere a destra e manca la solita storia. Ma in pochi sembrano intenzionati ad ascoltare, perché tutti sono chiusi nel proprio particolare: tutti fermi a guardare esclusivamente ai propri interessi, e solo in pochi che si curano in verità degli interessi dell’olio. Ed è questo il grande errore, perché tutti gli interessi individuali possono svilupparsi e aver ragione d’essere solo a partire dal’olio, da questa materia prima che si ricava dall’oliva.

Così, invece di unire il mondo dell’olio, tutti pensano a dividerlo. Tutti si sentono i diretti protagonisti, incarnando i panni di coloro che vantano un diritto superiore rispetto agli altri componenti della filiera. Errore grave, perché il mondo dell’olio deve essere e deve sentirsi e muoversi come fosse un corpo solo: deve cercare di conferire un’unità armonica a tale corpo, cercando di spegnere ogni possibile conflitto tra i tanti che se ne consumano quotidianamente. Ma questo mio consiglio sembra non piacere, perché è più facile evidentemente attribuire ad altri la responsabilità di un mercato avvilente.

Nell’attuale crisi dei prezzi tutti hanno le proprie responsabilità, perché nessuno si è preoccupato di dare valore a una materia prima così pregevole. Ed è troppo facile, di fronte a una situazione complessa come quella attuale, addossare le colpe agli “altri” senza considerare e valutare le proprie personali mancanze. Tutti, e dico tutti, nessuno escluso, ha da assumersi le proprie responsabilità. Se è mancata una politica di indirizzo la colpa è di tutti gli attori della filiera.

Gli interessi sono diversi, è evidente, ma il comparto dell’olio è unico. Possono pure essere concepite delle diverse filiere all’interno del comparto oleario, se proprio vogliamo essere così pedanti da pretendere a tutti i costi le differenze, ma il corpo è unico. Queste diverse filiere lavorano su una materia prima comune: l’olio che si ricava dall’oliva, con le sue diverse categorie merceologiche, certo, ma sempre espressione di una materia prima comune di partenza: l’oliva. Non dimentichiamolo.

Al principio è l’oliva, appunto. E di questa materia prima sono da considerare anche i sottoprodotti della lavorazione. Non solo la sansa, ma di questo ci si dimentica troppo spesso. Perché non si guarda mai al corpo intero del comparto olio di oliva, ma solo all’interesse particolare, alla propria organizzazione di riferimento. Tant’è che c’è chi insiste con il denigrare alcune categorie merceologiche come l’olio di oliva o, ancora peggio, l’olio di sansa di oliva, senza pensare che anche questi prodotti sono l’espressione di una materia prima comune qual è l’oliva.
Questo è un errore grave, imperdonabile, su cui alcuni insistono, ritenendo a torto che vi siano altri prodotti, poco nobili, con i quali non hanno nulla a che vedere, ma non è così.

Non è così, perché se si continua a produrre olio lampante in grandi quantità ci dovrà pur essere, inevitabilmente, l’olio di oliva, o no? E della sansa che si fa? La si butta? E’ un peccato grave estrarre l’olio dalla sansa e immeterlo in commercio? Suvvia!

Il profitto non è un peccato se indirizzato eticamente, ma non può diventare certo l’occasione per lanciare accuse a coloro che magari si muovono con maggiore capacità operativa sul mercato.
Alla parte debole della filiera, olivicoltori e frantoiani, è mancato un respiro comune: non c’è stata la capacità di aggregarsi e muoversi in autonomia sul mercato. Per mancanza di coraggio, forse, o per troppe furbizie che tutti conosciamo bene.

E’ sufficiente riflettere sui primi passi compiuti dalle grandi aziende di marca per capire la realtà senza chiudere gli occhi all'evidenza. Tutte le grandi aziende hanno iniziato partendo dal basso, poi sono pian piano diventate grandi, potenti. Chi è rimasto piccolo è perché non ha saputo rischiare, non ha osato intraprendere. I piccoli che sono rimasti tali rimarranno tali se non hanno fiato né visione del futuro.

L’attuale contesto è favorevole ai consumi degli oli di oliva, i quali si incrementano sempre più e si aprono a nuove geografie. Ci sono opportunità per tutti, per gli oli da primo prezzo, necessari per coloro che non hanno capacità di spesa, e, parimenti, per gli oli d’eccellenza. Dov’è il problema?

Il problema è nella scarsa remunerazione degli olivicoltori? Sì, questo è un problema reale, ma ci si è mai chiesto perché in tanti anni di emolumenti facili non si sia riusciti a risolvere il problema? Qui occorre fornire una risposta seria e onesta.

C’è qualcosa che non va, certo, ma io attribuirei la responsabilità a coloro che sono stati latitanti in tutti questi anni e che si sono arricchiti con danaro pubblico senza apportare nulla di utile al comparto.

Le normative in vigore non hanno risolto i problemi. Per forza, perché i problemi non si risolvono con le leggi, soprattutto se queste leggi nascono senza una logica che le attraversi e dia loro un senso di una profonda necessità stringente.
In Italia c’è questa tendenza a fare leggi a raffica, solo per colmare le inefficienze di chi non ha saputo agire concretamente fornendo risultati utili e reali.
Ci si è accaniti con gli oli di oliva, tanto che la legislazione degli oli di semi è talmente blanda che chi opera nel campo degli oli di seme è libero quasi di far tutto, senza che vi siano impedimenti. E non è solo una questione di lobby, ma di incomptenza da parte di chi ha voluto una indigestione di leggi per gli oli di oliva.

E di chi è la colpa di questa bulimia legislativa nei confronti degli oli di oliva? La risposta la conoscono tutti. Ed è da qui che si deve ripartire per risalire la china. Il mondo dell’olio non è in disgrazia, manca semmai di una spinta propulsiva che lo risollevi.

Le pecche di olivicoltori e frantoiani le conosciamo fin troppo bene, e si deve anche avere il coraggio di riconoscerle, tali pecche, e di non imputare ad altri i propri insuccessi.

Mentre le colpe di quella parte della filiera che in tanti ancora si ostinano a ritenere (sbagliando) “nemica”, è di non avere semmai imprenditori illuminati, come ve n’erano in passato.
Oggi tra le aziende di marca non esistono più – tanto per fare un solo nome, esemplificativo – gli Agostino Novaro. Oggi ci sono titolari di imprese che guardano fisso al presente, e con poche e vuote idee si muovono sul mercato come elefanti in una cristalleria. Questo sì, lo si può benissimo imputare alle aziende di marca: la mancanza di una visione proiettata verso il futuro, e l’incapacità, soprattutto, di investire sul prodotto.

Luigi Caricato
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