L'arca olearia

GRAVI ACCUSE SUL "NEW YORK TIMES" A NOTI MARCHI ITALIANI. MA CHI VUOLE AFFOSSARE IL NOSTRO COMPARTO OLIANDOLO?

È una novità che i grandi gruppi utilizzino ogni mezzo legale a scopo commerciale? In certi casi, come quelli descritti da Clifford Levy, rappresentano comportamenti deplorevoli ma diffusamente utilizzati in tutti i campi. Dov'è allora lo scandalo? Certamente indecente invece il tentativo di denigrare qualità e tipicità delle piccole e medie produzioni definendole brutalmente “more expensive”, più costose

15 maggio 2004 | Alberto Grimelli, Luigi Caricato

I fatti
Sul quotidiano “Il Messaggero” di sabato 8 maggio 2004 è apparso un articolo a firma del corrispondente Stefano Trincia che, riprendendo un articolo del "New York Times" pubblicato il giorno prima (allegato al presente articolo), titolava “L’olio italiano? Un imbroglio”, e ancora “Solo due bottiglie su dieci frutto del Bel Paese”.
La notizia ha scosso ovviamente tutti gli operatori presenti al Cibus di Parma, in corso proprio in quei giorni, che si sono sentiti duramente accusati e criminalizzati.
Leggendo con attenzione l’articolo, che qui vi riproponiamo in corsivo, è evidente che l’attacco è rivolto soprattutto alle grandi aziende imbottigliatrici-confezionatrici ma mira a screditare l’intero comparto oliandolo.
Ecco alcuni stralci dell’articolo de “Il Messaggero”, il testo completo è disponibile in allegato:

”L’olio è buono. Il problema è che non è italiano come sembra”. Tocca al New York Times portare l’attacco al cuore di uno dei più gloriosi simboli della dieta mediterranea: l’olio extravergine di oliva Made in Italy. … «L’industria italiana dell’olio di oliva - scrive il "New York Times" - poggia da tempo su un’illusione. I consumatori vogliono quell’olio perché ricorda la dolce vita. In realtà però l’Italia non produce abbastanza olive nemmeno per il soddisfare il mercato interno».
L’inchiesta del giornale punta sulle attività della Salov, l’azienda guidata da Alberto Fontana che produce il marchio Berio. Come avviene anche per l’olio Bertolli, le olive usate nel processo di estrazione sono ”mediterranee” più che italiane. …
Alla fine degli anni ’90 un avvocato newyorkese ha fatto causa alla Bertolli perché sull’etichetta del suo olio c’era la scritta ”Coltivato sulle colline toscane”. La Bertolli ha poi accettato di modificare la scritta, limitandosi ad indicare la città di Lucca e a specificare ”Importato dall’Italia”. Stesso cosa è successa per la Berio. Secondo un funzionario del Ministero dell’Agricoltura, Giuseppe Fugaro, la questione è molto semplice:«Non è una frode - ha ammesso - ma un imbroglio».


Dure critiche
“Noi non ci stiamo e rimandiamo l’accusa al mittente - l’onorevole Giampaolo Sodano, neo direttore della prestigiosa rivista "Uliveto Italia" della Corporazione dei Mastri Oleari, presente al Cibus di Parma per il Leone d’oro - è furioso. Ci piacerebbe leggere sui giornali una risposta del Ministro Alemanno all’attacco del quotidiano americano all’olio italiano. Nell’attesa vogliamo suggerirgli, come produttori di olio di qualità, qualche consiglio.
1. Non sprechi il suo fiato e la sua autorevolezza per difendere alcuni imbroglioni che di italiano hanno soltanto il nome.
2. Dica ai buyer della grande distribuzione in USA, sempre alla ricerca di qualche dollaro in più, che in Italia ci sono grandi oli di qualità sempre pronti per chi svolge un onesto servizio per i consumatori. Saper assaggiare per credere!
3. Spieghi alle autorità americane che ci sono norme in Italia contro le contraffazioni che potrebbero utilmente essere inserite nella loro legislazione.
4. Ricordi che nell’ultima riunione del Tavolo Olivicolo il presidente dell’Unaprol, Nicola Ruggiero, ha parlato di imbrogli noti nel settore olivicolo nazionale. Chi sa parli e chi deve intervenga e le associazioni dei produttori comincino a fare autocritica”

"Per non mettere a rischio la credibilità del Made in Italy sui mercati esteri – afferma il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni - servono scelte di trasparenza come l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle olive impiegate nell’olio commercializzato, come peraltro abbiamo chiesto per tutti gli alimenti con la nostra iniziativa di legge popolare che ha raccolto un milione di firme ed è ora all’esame del Parlamento. L’agroalimentare italiano può rispondere positivamente alla domanda di trasparenza che viene dai mercati esteri grazie alle scelte d’avanguardia fatte dall’agricoltura nazionale in termini di divieto di coltivazioni biotech, primati qualitativi, tipicità delle produzioni e rispetto ambientale.”

Una posizione chiara e forte
Dopo un’attenta riflessione sull’opportunità di dare ulteriore risonanza a un’accusa evidentemente strumentale e neanche così originale, permangono infatti ancora gli echi del pessimo giudizio di "Wine Spectator" sugli extravergini nostrani, rimanere in silenzio poteva apparire come un atto vigliacco o peggio di piena condivisione delle parole di Clifford Levy.
La posizione emersa dal pretestuoso attacco sferrato dal "New York Times" al comparto olio di oliva italiano rientra in un’ampia progettualità tesa a denigrare il nostro Paese agli occhi dei consumatori d’oltreoceano, nel tentativo di demolire una consolidata immagine, da molti decenni oramai vincente sui mercati internazionali.
La responsabilità di tale situazione, a parte la grettezza di chi le ha concepite a soli fini commerciali - e qui c’è lo zampino della Spagna - sta tutta nella poca chiarezza che finora si è fatta sulla irrisolta questione del made in Italy.
Certamente il comportamento, quantomeno scorretto di Salov che ha spacciato per italiano un olio ottenuto con extra vergini prodotti in tutto il bacino del Mediterraneo, non deve essere il cavallo di troia con cui denigrare un intero comparto che sta compiendo enormi sforzi, negli ultimi anni, per promuovere qualità e tipicità. Inoltre, nella Comunità europea, il comportamento di Bertolli che esportava un prodotto etichettato come “coltivato sulle colline toscane” sarebbe già stato sanzionato sulla base del Reg. CE 2081/92, un regolamento che tutela e promuove le denominazioni d’origine, assoggettandole a un sistema di controlli efficace ed efficiente.
Quindi, il fatto che negli Stati Uniti, ma anche altrove, circoli molto falso olio di oliva a marchio italiano, è solo riconducibile a una pessima politica imputabile sia al nostro Ministero delle Politiche agricole, sia, in particolare, alla connivenza dell’associazionismo di categoria con le ambiguità che il mercato purtroppo registra.
Auspichiamo che le Istituzioni facciano sentire la loro voce, magari attraverso lo stesso "New York Times", investendo denaro per spiegare, precisare e dare voce a quelle migliaia di produttori onesti che ne hanno avuto un considerevole danno d’immagine.