L'arca olearia
L’OLIVICOLTURA ITALIANA CHIUDE I BATTENTI. NESSUNA IDEA, NESSUNA PROGETTUALITÀ, NESSUN FUTURO
Tante, troppe ombre e pochissimi spiragli di luce. Questo è quanto è emerso durante il convegno, svoltosi a Verona in occasione del Sol, sulla riforma dell’Ocm olio di oliva. Soddisfazione solo da parte delle organizzazioni di categoria che vedranno triplicato il loro budget
10 aprile 2004 | T N
Negli ultimi mesi lo scenario è solo leggermente mutato. Rispetto al novembre scorso (ndr TN 9 del 1 novembre 2003), quando ci occupammo dell’accesa discussione sulla riforma dell’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva, la novità è rappresentata dalla diversa suddivisione dei fondi. Il tempo trascorso è quindi servito a spartirsi la ricca torta, che per l’Italia ammonta a più di 700 milioni di euro.
Tutto il resto è un dettaglio. Nessun accenno, per esempio, all’odioso ed odiato blocco degli impianti che impedisce, di fatto, lo sviluppo e il rinnovamento dell’olivicoltura nazionale, nonostante tutti abbiano ribadito che l’olio di oliva è l’unico prodotto che manifesta un trend di consumo in crescita a livello mondiale. L’ascesa dei nuovi Stati produttori extra Ue e la conseguente sottrazione di quote di mercato non sembra preoccupare né i vertici dell’Unione europea né quelli nazionali.
Il quadro
La relazione introduttiva del direttore Unaprol Ranieri Filo della Torre è stata tanto lucida e chiara da fornire agli astanti un quadro molto fosco dello stato di salute del comparto olivicolo nazionale.
Molti e preoccupanti i punti critici del sistema.
L’estrema frammentazione aziendale, con una superficie media di poco più di un ettaro, impedisce, di fatto, di poter operare economie di scala e risparmi sui costi di produzione, impedendoci quindi di competere sul fattore prezzo con realtà olivicole più moderne ed attrezzate, non solo la Spagna ma anche alcuni Paese emergenti extra Ue come Australia, Cile o Argentina.
L’età media dei nostri olivicoltori è decisamente elevata, alla soglia del pensionamento, ne consegue una scarsa elasticità mentale e una modesta propensione all’investimento o all’innovazione.
Qualità e tipicità, valori e mete per il rilancio dell’olivicoltura nazionale, vengono osteggiate dai vertici Ue che difendono e tutelano le tradizioni e le peculiarità regionali e territoriali solo a parole, mentre nei fatti, ovvero nei regolamenti, spianano la strada alla standardizzazione, alla dequalificazione e all’appiattimento, favorendo così le multinazionali e i loro affari.
Sul futuro del settore olivicolo la confusione regna sovrana anche all’interno delle stesse istituzioni dell’Unione europea che avanzano proposte diverse, alle volte diametralmente opposte. Parlamento e Commissione litigano, lasciando la decisione finale al prossimo Consiglio straordinario che avrà proprio il difficile compito di mediare e trovare un accordo là dove anche i Ministri dell’agricoltura dei vari Paesi membri hanno fallito. Il pericolo più evidente è che ne venga fuori un pastrocchio senza precedenti, a danno ovviamente dei produttori.
Come svincolare dalla discussione…
In questo scenario di estrema incertezza e insicurezza sul futuro sarebbe stato lecito attendersi dalla classe dirigente posizioni forti e decise non solo di critica ma anche costruttive, di proposta. Invece con un misto di abilità oratoria e sfrontatezza sono arrivate solo le solite parole di circostanza. Toni pacati e rassicuranti che hanno assopito la platea che è stata risvegliata solo da De Carolis, Presidente dell’Inteprofessione, che si è indignato, ha polemizzato, usando toni accesi, tuonando un “io non ci sto” senza però fornire qualche proposta concreta o attuabile.
Anche Alemanno, di fronte a una sbigottita platea di olivicoltori, ha tenuto a sottolineare che le vere difficoltà non riguardano tanto il comparto oliandolo quanto l’Ocm tabacco. Inoltre il mantenimento delle risorse finanziarie destinate al nostro Paese per l’olivicoltura e l’olio d’oliva, fulcro e vanto dell’intervento del Ministro, pare più uno specchietto per le allodole se stiamo alle dichiarazioni di Nicola Ruggero, Presidente Unaprol, secondo le quali nessun membro della Ue ha mai mosso obiezioni al riguardo.
Lo stesso Ruggero, d’altro canto, è stato molto abile a dirottare la discussione dai grandi temi (qualità, innovazione, origine…) verso una sterile e inconsistente polemica con il rappresentante dell’Agenzia delle Dogane.
Dalla nebbia ecco le novità
I relatori sono stati tanto sottili e scaltri nel cercare di riempire il tempo loro concesso con il vuoto che la novità più significativa dell’incontro è passata inosservata, è rimasta in secondo piano.
Rispetto a qualche mese fa la proposta di ripartizione dei fondi europei è mutata.
Non più il 60% dell’aiuto svincolato dalla produzione e il 40% legato, con meccanismi alquanto complessi, a salvaguardia ambientale, paesaggistica e in parte a programmi di miglioramento qualità, commercializzazione, promozione.
Pare invece che il 90% verrà erogato direttamente all’olivicoltore sulla base della produzione media delle ultime tre o quattro campagne, quindi non ad albero o ad ettaro, e il restante 10% finirà nelle casse delle organizzazioni di categoria che svolgeranno compiti ancora tutti da definire.
Eccettuato il notevole arricchimento delle associazioni, il resto è ancora avvolto dal mistero. Qualche vago accenno è stato offerto da Ranieri Filo della Torre. Aiuti ed incentivi ai giovani, creazione di una quota nazionale per nuovi impianti sono stati tra gli argomenti che hanno suscitato il maggiore interesse ma su cui il direttore Unaprol non ha potuto sbilanciarsi essendo ancora tutto in alto mare e oggetto di trattativa.
Ma naturalmente si attendevano chiarimenti, delucidazioni e soprattutto nuove idee e proposte proprio dall’ultimo relatore, Nicola Ruggero. L’illusione di avere qualche elemento di valutazione in più è svanita assai rapidamente. Dopo aver registrato l’intervento, è stato impossibile trarne i punti salienti. È stato infatti un discorso sconclusionato, demagogico e pieno di contraddizioni quello del Presidente Unaprol, primo rappresentante della più importante unione delle associazioni di categoria.
Ha ritenuto inutile affrontare problemi chiave quali origine, tracciabilità, parametri di qualità e tipicità. È partito invece dal presupposto che sarebbe stato eccessivamente complicato distribuire soldi sulla base di valori paesaggistici ed ambientali, patrimonio della nostra olivicoltura, considerando che, secondo lo stesso Ruggero, “non sappiamo quanti olivi si trovano in montagna, in pianura o su terrazzamenti”, dati di cui invece sembrerebbe disporre l’Ismea che nel suo recente quaderno di filera “l’olivicoltura italiana nella campagna 2003/04” mette in tabella i numeri del comparto oliandolo italiano, compreso la collocazione altimetrica delle aziende (tabella 7, pagina 9) e la giacitura dei terreni (tabella 8, pagina 10) suddivise per regione. Questi dati sono stati estrapolati dal sistema Gis, il catasto olivicolo, per cui sono stati spesi centinaia di miliardi, oltre a milioni di ore di lavoro e innumerevoli andirivieni da uffici di migliaia di stizziti olivicoltori. Ma evidentemente di questo sistema, che ha contribuito a creare, Ruggero non nutre la benché minima fiducia. Molto meglio quindi distribuire i fondi a pioggia sulla base della produzione passata, il fatto che poi vengano vincolati o meno alla coltivazione e alla cura degli oliveti è un “dettaglio”, tanto fare olio conviene e lo dimostrano quanti ancora producono nonostante i bassissimi prezzi di vendita all’ingrosso. Che questi olivicoltori producano perché è l’unico modo per ottenere l’aiuto europeo è un pensiero che non ha sfiorato la mente del presidente Unaprol, come pure la possibilità che, data l’età media avanzata degli olivicoltori italiani, un finanziamento svincolato dalla coltivazione parrebbe un allettante invito al prepensionamento.
Buio assoluto anche riguardo a ciò che le associazioni di categoria svilupperanno con quel 10% dei fondi Ue, pari a più di 70 milioni di euro. Naturalmente i compiti istituzionali, quali programmi di miglioramento qualità, promozione e marketing verranno portati avanti, il resto verrà deciso in seguito, quando e da chi non è dato sapere.
Aspettiamo, poco fiduciosi
Non resta che attendere il prossimo 20 aprile quando la riunione straordinaria del Consiglio europeo esaminerà il pacchetto mediterraneo e con esso anche la sorte e il futuro della nostra olivicoltura.
Non resta che aspettare, poco fiduciosi. Temiamo che il vuoto di proposte che la nostra rappresentanza porterà a Bruxelles verrà riempito con progetti ed idee che non aiuteranno la crescita del comparto olivicolo nazionale. Temiamo che altri interessi e altri potentati facciano valere le loro ragioni. Temiamo che questa riforma rappresenti l’inizio della fine.