L'arca olearia
Gestire l’estrazione per ottenere il meglio
Un incontro con Maurizio Servili per conoscere i processi biochimici alla base della frangitura e per ottimizzare le caratteristiche chimiche o organolettiche degli oli italiani, nelle varie fasi della maturazione
05 luglio 2008 | Alberto Grimelli
Massima estrazione di olio, di biofenoli (o composti fenolici idrofili) e di sostanze aromatiche.
Sono sostanzialmente queste le richieste che vengono poste al frantoiano e che questi, a sua volta, richiede al suo impianto.
Un vecchio adagio vuole che il frantoiano può solo peggiorare le caratteristiche dell’olio già contenuto nel frutto.
Così in effetti è ma questo non implica che il frantoiano possa scaricare ogni responsabilità sul produttore, perché le attuali conoscenze e tecnologie consentono di controllare al meglio i parametri di processo e di ottimizzare resa e qualità.
Breve viaggio nei composti dell’olio
Considerando che la composizione trigliceridica e acidica dell’olio è caratteristica dell’ambiente e della varietà ed è immodificabile in fase di estrazione, il frantoiano, a livello qualitativo, può agire solo su un 2%.
In questo 2%, oltre alle sostanze aromatiche, troviamo la grande classe dei composti fenolici.
Tra questi vi sono i tocoferoli, tra cui l’alfa tocoferolo (precursore della vitamina E), molecole che troviamo abbondantemente anche in frutta e verdura, nonché antociani, flavoni, flavonoidi e acidi fenolici.
Tra tutti i composti fenolici presenti nell’oliva quelli in assoluto più importanti, perché esclusivi e dotati di importanti doti salutistiche, sono i secoiridoidi, oleuropeina e demetiloleuropeina su tutti.
Responsabili anche delle sensazioni di amaro e piccante, sono i composti di cui è accertato l’elevatissimo effetto antiossidante, decisamente superiore a quello di altri composti fenolici. Il contenuto di queste sostanze non solo è variabile in base alle varietà ma anche in funzione dell’epoca di maturazione, è quindi evidente che il frantoiano debba salvaguardare questi composti durante la fase di estrazione agendo su alcuni parametri di processo.
E’ inoltre probabilmente ignoto ai più che le sensazioni aromatiche che avvertiamo nell’olio non sono correlate con composti che ritroviamo nell’oliva ma a molecole che si formano, da processi biochimici (in particolare la via della lipossigenasi), durante l’estrazione e in particolare durante una determinata fase.
Il problema dei biofenoli nell’olio: come misurarli?
Non esiste ancora un metodo analitico, codificato dal Coi, per determinare la quantità di polifenoli nell’olio. I metodi oggi impiegati dai laboratori sono molteplici e possono portare a sensibili discrepanze nel risultato finale. Resta inoltre aperta un’ulteriore problematica. Vogliamo misurare l’intero contenuto in biofenoli o solo la loro porzione più attiva, i secoiridoidi? Se la determinazione si riferisce all’intera classe dei composti fenolici contenuti nell’olio è anche bene sapere che, al di sotto dei 250-300 ppm è difficile stabilire una correlazione tra contenuto totale in biofenoli e in secoiridoidi.
Il Coi sta attualmente lavorando su due diversi metodi per analizzare il contenuto di polifenoli, l’uno (Hplc) è sicuramente quello più preciso, raffinato e costoso e l’altro (colorimetrico) è alla portata di molti più laboratori ma sconta maggiori margini di tolleranza.
Ai consumatori non resta che attendere, affidandosi, con qualche cautela, alle analisi riportate in etichetta.
Resa, biofenoli, composti aromatici e parametri di processo
Di solito l’attenzione, durante la frangitura, si concentra tutta sulle fasi di separazione centrifuga (decanter e separatore). Si tratta di un fatto istintivo, vedendosi per la prima volta in queste fasi l’olio scorrere, ma è bene sapere che non sono queste le fasi più delicate.
Frangitura e gramolatura sono in assoluto le fasi dove si costruisce resa e qualità del prodotto finale.
Frangitura
Il processo, oggi, con i frangitori metallici, dura pochi secondi ma in questo brevissimo lasso di tempo possono accadere molte cose.
Prima di tutto una frangitura troppo violenta può portare a emulsioni acqua-olio, con conseguente difficoltà di estrazione e perdita di resa.
In fase di frangitura, a seconda del frangitore utilizzato, si potrà avere un maggiore o minor sminuzzamento della buccia dell’oliva e una maggior o minore estrazione di clorofilla, che conferisce il colore verde all’olio.
Una frangitura particolarmente violenta, che porti a un’intesa rottura di nocciolo e seme, ha come conseguenza un minor contenuto in biofenoli a causa della maggiore attività enzimatica di degradazione dei composti fenolici causata dalla liberazione dei complessi enzimatici contenuti proprio nel seme.
Generalmente si considerano la denocciolatrice, i frangitori a denti e coltelli, oltre che quelli a basso numero di giri, come “a basso impatto”, col risultato di produrre un olio meno verde ma più amaro e/o piccante, mentre i frangitori a martelli o ad alto numero di giri producono un olio più verde ma meno piccante e amaro.
La tipologia di frangitore ha tuttavia anche una notevole influenza anche su altre caratteristiche organolettiche dell’olio, perché influisce, in maniera determinante, sul contenuto di alcuni composti aromatici.
La gramolatura: vasche chiuse o aperte?
Fino a qualche anno fa la scelta non si poneva. Le vasche di gramolatura erano aperte, ossia permettevano un incontrollato scambio d’aria con l’esterno.
I due fattori che potevano essere controllati erano temperatura e tempo (ossia durata della gramolatura). E’ noto che un innalzamento della temperatura portava a una maggiore resa in olio, nella misura comunque di 0,5-1 Kg/qle, ma provocava una perdita di biofenoli e di componenti aromatiche. Gramolare per tempi lunghi, più di 60 minuti, poteva portare a modesti benefici in termini di resa ma provocava anche una perdita di biofenoli e di composti aromatici. Si trovò così una mediazione tra massima resa e minor depauperamento in biofenoli e sostanze aromatiche: 30 gradi per 45 minuti.
Si tratta tuttavia di una regola empirica che non può valere in ogni circostanza e per ogni varietà.
Cultivar povere in biofenoli o olive mature dovrebbero essere fatte gramolare a temperature più basse e per minor tempo al fine di salvaguardare il contenuto in composti fenolici.
Tali indicazioni si basano su precisi fenomeni biochimici che si attivano in fase di frangitura e che, in presenza di ossigeno, continuano per tutta la fase di gramolatura. Due sono i pricipali complessi enzimatici coinvolti nella degradazione dei biofenoli: la polifenolossidasi e la perossidasi. Tra questi due enzimi quello maggiormente efficace, e quindi anche dannoso, è le perossidasi che viene liberata dalla pasta in gramolatura in maniera progressiva e che è termofila, avendo il suo massimo di attività a una temperatura di circa 35 gradi. La polifenolossidasi, viceversa, è più attiva a temperature più basse, intorno ai 25 gradi.
Con le gramole chiuse, ove lo scambio d’aria con l’ambiente circostante è limitato o assente, il controllo dell’ossigeno presente diventa un ulteriore parametro tecnologico.
In assenza di ossigeno le attività della polifeonossidasi e della perossidasi sono ridotte al minimo, se non azzerate, quindi potremmo utilizzare la temperatura, alzandola, per aumentare la solubilità dei biofenoli in olio senza particolari controindicazioni. In effetti si può assistere ad aumenti anche dell’ordine del 20% di biofenoli disciolti nell’olio lavorando a 35 gradi anziché a 25 gradi. Ciò che è un bene per il contenuto in biofenoli non lo è, purtroppo, per gli aromi la cui temperatura ottimale, per la formazione e la conservazione, è di circa 20 gradi. Non è quindi semplice intuire l’optimum di temperatura a cui lavorare e studi sono in corso. Ciò che invece è sufficientemente acclarato è che il tempo di gramolatura diventa decisamente meno influente anche se superare i 60 minuti è comunque sconsigliabile in quanto non porta a nessun beneficio sull’estraibilità dell’olio ma può far perdere produttività all’intero impianto.
Non si può e non si deve
La gramolatura è una fase necessaria per favorire la coalescenza delle goccioline d’olio formatesi in frangitura al fine di migliorarne l’estraibilità con la centrifugazione.
E’ però utile sapere che, a livello teorico, sarebbe possibile, durante la gramolatura, liberare ulteriore olio dalle cellule del frutto. Basterebbe utilizzare enzimi ad azione emicellulositica e peptidica che distruggendo le pareti cellulari favorirebbero la liberazione di olio e anche di acque di vegetazione ricche di biofenoli. Si otterrebbero così, con questi enzimi della classe delle “macerasi”, maggiori rese e incrementi del contenuto in biofenoli nell’olio.
Tale digressione è però a titolo puramente speculativo, essendo proibito utilizzare qualsiasi tipo di enzimi in fase di estrazione. Una decisione unicamente basata su considerazioni d’immagine, l’estrazione unicamente meccanica dell’olio, anche se è noto che durante il processo estrattivo avvengono notevoli e importanti reazioni biochimiche.
Tra l’altro gli enzimi non sarebbero utilizzati durante l’intera campagna olearia, ma solo con olive verdi, quando nel frutto vi è una bassa attività enzimatica, insufficiente quindi a espletare la funzione di rottura delle pareti cellulari entro cui “si nasconde” il prezioso succo d’oliva.
Utilizzare enzimi comunque non si può e non si deve e tanto ci deve bastare.
I video dell’incontro con Maurizio Servili presso la sede di Alfa Laval saranno presto disponibili sul portale Olive Oil Village (www.oliveoilvillage.com)
Bibliografia
Maurizio Servili - Innovazioni di processo nell’estrazione meccanica dell’olio extravergine di oliva in relazione alla qualità dell’olio ed alla valorizzazione dei prodotti secondari dell’estrazione – incontro presso Alfa Laval Olive Oil – Sambuca, 30 giugno 2008