L'arca olearia

I costi di produzione si possono ridurre ma la vera sfida è vendere meglio

L’Italia, a meno di una improvvisa e improbabile ristrutturazione totale, non può competere in una corsa al ribasso dei prezzi. Occorre migliorare la produttività e far leva sul marketing

15 marzo 2008 | Alberto Grimelli

A Trieste, sabato 8 marzo, in occasione di Olio Capitale, si è parlato di “ridurre i costi di produzione e vendere meglio”, un seminario tecnico che ha affrontato i due lati della stessa medaglia, offrendo a olivicoltori e frantoiani gli strumenti per una strategia aziendale che consenta di vincere la sfida di mercati globalizzati e di una visione dell’extra vergine ancora troppo legata a quella di altre commodities.



E’ stato Roberto Polidori, docente dell’Università degli Studi di Firenze, ad introdurre l’argomento sottolineando l’estrema frammentazione dell’olivicoltura italiana. Vi sono infatti 1,1 milioni di aziende che producono olio su una superficie di circa 1,0 milione di ha. La superficie media per azienda investita ad olivo risulta di circa 0,9 ha. Il numero medio delle piante ad ettaro è 121.
Poche, troppo poche per una moderna olivicoltura.
Non stupisce allora che la produttività italiana sia particolarmente bassa: dai 6/7 ql/ha do olio della Puglia e Calabria ai 2/3 ql/ha della Toscana.
Proprio da un incremento della produttività, secondo il Prof. Polidori, occorre ripartire per incrementare la redditività dell’olivicoltura, anche perché, se i costi economici totali ad ettaro risultano abbastanza omogenei, i costi economici totali a quintale sono molto diversificati in funzione delle condizioni aziendali e del modello gestionale adottato.
Elementi discriminanti nella determinazione dei costi di produzione risultano quindi la produttività a pianta e a ettaro, il lavoro impiegato ad ettaro e l’efficienza del cantiere di raccolta.
In conclusione, dal punto di vista economico, è necessario adottare tecniche agronomiche che consentano di ottenere la massima resa ad ettaro e contemporaneamente strutturare i cantieri di lavoro in funzione della massima efficienza (calcolabili come ettari lavorabili per periodo utile), condizionando le scelte tecnologiche (acquisto macchinari…) al fine di ottenere il minimo costo medio di produzione ad ettaro e/o il massimo reddito unitario o ad ettaro.

Ma è possibile incrementare la produttività degli oliveti senza incidere sensibilmente sui costi di produzione, anzi risparmiando? A questa domanda ha risposto Franco Famiani, dell’Università di Perugia.
La potatura manuale con seghe, forbici e scale incide per il 15-30% sul costo totale di produzione, assorbendo da 80 a 250 ore/ha di manodopera. E’ però possibile ridurre l’incidenza della potatura semplificando questa operazione colturale e velocizzandola, senza una ripercussione negativa sulla produttività dell’oliveto, anzi.



Per ottenere questi risultati occorre fare in modo che la vegetazione intorno agli assi principali (max 3-6 branche) abbia una forma conica, cioè presenti un gradiente tra la cima ed il resto della vegetazione ed una gerarchia tra branche ed evitare interventi troppo intensi, ricordando che aumentando il turno si ha sì una riduzione del tempo/anno per la potatura e quindi del costo, ma si hanno produzioni più variabili e maggiori solo a fine turno, quando si hanno anche frutti più piccoli e meno ricchi di olio, chiome molto dense e spesso defogliante, a causa di attacchi parassitari, nelle parti interne.


E’ però bene ricordare che se la potatura ha un diretto effetto sulla produttività delle piante, è la raccolta l’operazione colturale più costosa ed ha un’importante influenza sulla quantità e sulla qualità dell’olio ottenibile.
Se si intende produrre un olio da commercializzare come “novello” , bisognerà effettuare la raccolta in epoca relativamente precoce, in maniera che il prodotto presenti le caratteristiche sensoriali che ci si aspetta da tale tipo di prodotto: colore verde intenso e accentuate sensazioni di erbaceo, amaro e piccante. Se, invece, l’obiettivo è produrre un extravergine standard, allora bisognerà scegliere l’epoca in cui si ha la massima quantità di olio nel rispetto dei requisiti merceologici minimi stabiliti per tale tipologia di prodotto. Se si produce un olio Dop, oltre a tener conto degli eventuali limiti temporali imposti dal disciplinare di produzione, occorrerà stabilire l’epoca di raccolta tenendo conto delle caratteristiche analitiche e, soprattutto, sensoriali dell’olio prescritte dal disciplinare stesso. Se si producono oli monovarietali o miscele dichiarate (blend) la raccolta dovrà essere fatta nel momento in cui sono esaltate le caratteristiche compositive, sensoriali e/o salutistiche su cui si punta per caratterizzare e valorizzare il prodotto.
La scelta del momento ottimale di raccolta influenza però la scelta del metodo di raccolta, specie considerando che, per diverse varietà, tanto più si esegue una raccolta anticipata, tanto più l’efficienza degli scuotitori (% di olive raccolte sul totale) diminuisce. Ma l’efficienza degli scuotitori è anche fortemente condizionata dall’intensità della potatura, un dato da ricordare perché il rischio è, con una potatura troppo leggera, aumentare la produttività ma ridurre oltre misura l’efficienza di raccolta, lasciando molte olive sulle piante.



Se risparmiare sui costi di produzione, aumentando la produttività è possibile, è altrettanto vero che, a causa delle oggettive condizioni olivicole ed economiche italiane, risulta assai difficile competere, sul puro prezzo, con altre realtà quali la Spagna ma anche la Tunisia o il Marocco.
Occorre quindi valorizzare la propria produzione attraverso strumenti di marketing che però presuppongono un’approfondita conoscenza del mercato. Ad aiutarci ad avventurarci in tale delicata materia è stato Maurizio Prosperi dell’Università di Foggia che, da economista ed esperto di marketing, si è posto la seguente domanda: quali sono le determinanti del prezzo dell’olio extra-vergine di oliva?
Partendo dal presupposto che i consumatori manifestano una domanda molto sofisticata, rispetto ad una serie di attributi qualitativi (es. attenzione nei confronti delle proprietà nutrizionali, salutistiche, gustative, ecc.) e che il termine qualità comprende un insieme variegato di attributi, la cui importanza è percepita in maniera diversa a seconda delle tipologie di consumatori, il produttore dovrebbe rispondere alle aspettative di ciascun gruppo di consumatori, attraverso la differenziazione e/o specializzazione.
Quali sono però gli attributi maggiormente graditi dai consumatori? Il gruppo di ricerca che fa capo al Dott. Prosperi ha individuato cinque parametri (indicazione delle caratteristiche organolettiche, prodotto biologico, presenza di un brand o di un private label, packaging, prodotto Dop/Igp) e arrivando a identificare la maggiorazione di prezzo accettabile dal consumatore in funzione della presenza o meno delle indicazioni menzionate. I risultati sono sorprendenti:
- l’indicazione delle caratteristiche organolettiche varrebbe 60 cent al litro in più rispetto a un prodotto standard
- un prodotto bio varrebbe 3 euro al litro in più rispetto a un prodotto standard
- l’indicazione della denominazione del produttore o di un brand specifico, al posto di un private label varrebbe 60 cent al litro in più rispetto a un prodotto standard
- una bottiglia di piccola dimensione varrebbe 4,8 euro al litro in più rispetto a un prodotto standard
- la presenza di una denominazione d’origine (Dop/Igp) varrebbe 5 euro al litro in più rispetto a un prodotto standard
Il consumatore è disposto a pagare di più per prodotti Dop, per oli confezionati in bottiglie piccole e per extra vergini bio, ma questi attributi rappresentano quote di mercato estremamente limitati: 1.8% per la Dop, 1.5% per il biologico, 3.1% per le bottiglie piccole. Si tratta quindi di prodotti di nicchia la cui produzione ha un costo in termini di know-how, tecnologie, materiali e in termini di tempo (introdurre innovazioni richiede tempi improduttivi più o meno lunghi, prima che si verifichi l’incremento di ricavi).
Prima di buttarsi sulle produzioni di nicchia occorre quindi che l’azienda esegua un’attenta “analisi degli investimenti”, attraverso la quale confrontare i benefici ed i costi attesi. Valutazione con gli indicatori comunemente utilizzati:valore attuale netto, saggio di rendimento interno, tempo di ritorno del capitale. In conclusione, per le imprese olivicole, anche in considerazione della loro dimensione e quindi anche della loro capacità d’investimento, occorre concentrare l’attenzione sempre sulla riduzione dei costi (impliciti ed espliciti) e del rischio, puntando sulle economie di scala (associazioni, consorzi, cooperazione), ripensando l’azienda nel suo complesso.