L'arca olearia

LE ULTIME RICERCHE SEMBRANO PROPRIO SEGNARE LA PREMATURA FINE DEGLI OLIVETI SUPERINTENSIVI

Il modello spagnolo presenta svariati problemi agronomici, dalla gestione della chioma all’irrigazione, dalla produttività degli alberi fino alla difesa fitosanitaria. Inoltre si avrebbe un ritorno dell’investimento solo all’undicesimo anno, con una vita stimata dell’impianto di quindici anni

16 giugno 2007 | Alberto Grimelli

L’olivicoltura ha già attraversato fasi in cui l’intensificazione colturale era vista come l’ancora di speranza, una prospettiva possibile e praticabile.

Nel 1958, come ha ricordato Giorgio Pannelli, nel corso del seminario tecnico “intensificazione colturale e problematiche economico gestionali” di “Olio Capitale”, fu la volta della forma di allevamento a ipsilon e della palmetta (1958) che furono poi considerate superate e poco adattabili all’olivo solo dopo quattro anni quando Jacoboni (1962) scrisse “l’espressione vegetativa è così intimamente legata alle condizioni pedologiche e climatiche che riesce quasi impossibile costringere, coartare, ridurre in cattività la pianta, quando questa è nata per essere generosa, libera e perfettamente rispondente alle condizioni ambientali. Ogni volta che la pianta è stata allontanata da queste sue vie naturali, vi è ritornata con la più candida indifferenza verso coloro che pretendevano di soggiogarla alla propria volontà.”

Un concetto ignorato anche quando si impose il monocono e il sesto dinamico 6x3, entrambe esperienze considerate alle spalle dalla maggior parte degli olivicoltori italiani, che infatti tendono oggi più a convivere con tali impianti più che considerarli una formula vincente.

Oggi invece è in voga l’oliveto superintensivo e che si tratti di una moda lo dimostrano i numeri.
Dopo 12 anni sono meno di 35.ooo ettari, nel mondo, gli oliveti impiantati secondo tale modello olivicolo, con un trend che, stando agli stesi dati, dei vivai Agromillora, è stato meno entusiasmante del previsto se hanno dovuto correggere questi numeri al ribasso.



L’olivicoltura superintensiva, infatti, consuma un’enormità di risorse.
Anche l’irrigazione, ha detto Riccardo Gucci, deve essere un’operazione colturale che deve risultare economicamente conveniente e non sempre, attraverso la piena irrigazione, si riesce ad ottenere questo risultato.
La ricerca sta infatti facendo notevoli progressi, anche in virtù delle ricorrenti siccità e scarse disponibilità idriche, verso un’irrigazione “qualitativa”, in deficit controllato, che cioè sia in grado di apportare i massimi benefici con i minori volumi d’annaquamento, certamente inferiori ai 2000 mc/ettaro richiesti dagli oliveti superintensivi.
L’irrigazione in deficit controllato consente minori consumi idrici ed energetici; di migliorare l’efficienza di utilizzazione dell’acqua da parte dell’albero; di ottimizzare la qualità analitica (composti fenolici e componenti volatili ad impatto sensoriale trans-2-esenale, trans-2-esen-1-olo e 1-penten-3-olo) ed organolettica dell’olio; di mantenere elevati livelli di produzione di olio per albero.

Il sistema superintensivo, aumentando la necessità di risorse, necessiterebbe anche di un aumento delle spese di gestione (maggiore irrigazione, maggiore concimazione, maggior numero di trattamenti fitosanitari) che verrebbero però compensati da una riduzione significatica dei costi di potatura e di raccolta.

La raccolta in continuo, con macchine scavallatrici, consente infatti di raccogliere diversi ettari al giorno. La potatura verrebbe ridotta al minimo e possibilmente meccanizzata.

Tali ipotesi gestionali si basano però sull’assunto che l’oliveto possa entrare molto precocemente in produzione, al più tardi terzo anno, e che la produzione, una volta raggiunta la maturità, al quinto-sesto anno, si stabilizzi e resti costante fino alla fine della vita stimata dell’oliveto (quindicesimo anno).
Le prime sperimentazioni in campo paiono però contrastare, almeno in parte, con tali previsioni. Se infatti vi è una crescita costante della produzione fino al sesto anno, già a quest’età la produzione tende a decrescere a causa dell’eccessiva competizione aereo radicale delle piante, costringendo a pesanti interventi di potatura, con decrementi della produzione, quindi, per più anni.
A seguito di questi andamenti della produzione il calcolo economico di ritorno dell’investimento, inizialmente stiamato all’ottavo-decimo anno, verrebbe spostato all’undicesimo, mentre l’età utile dell’oliveto rimarrebbe inalterata a quindici anni.



Resta naturalmente da capire se e quali varietà italiane si possono adattare all’olicioltura superintensiva, premesso che le cultivar testate fino ad oggi, sono le spagnole Arbequina e Arbosana e la greca Koroneiki.
Delle varietà tradizionali italiane, escluse quindi quelle create ad hoc, come la Don Carlo o la Fs17, parrebbe, secondo Parmigiani, che solo Maurino, Piantone di Mogliano e Grignan potrebbero adattarsi a tale modello produttivo. Un numero esiguo, anche considerando che la nostra economia di mercato passa attraverso una qualità che è data anche dalla tipicizzazione del prodotto legata al territorio ed non ad una quantità di produzione con abbattimento dei costi genericamente intesa

L’abbattimento dei costi di produzione è comunque aspetto fondamentale, le domande che sono state rivolte ai relatori hanno infatti riguardato principalmente tale tematica.
Ebbene l’incremento di reddito degli oliveti può essere conseguito anche con tecniche tradizionali di coltivazione, esaltando le potenzialità produttive delle piante e prevedendo un elevato livello di meccanizzazione delle operazione di potatura e raccolta.
In particolare:
La progettazione e la gestione degli oliveti devono prevedere la necessità di consentire una progressiva espansione alla chioma degli alberi.
La riduzione dei costi diretti della potatura può essere facilmente conseguito operando annualmente da terra con attrezzatura agevolatrice e tempi di esecuzione prefissati.
Ogni sistema di raccolta, prescelto in base a considerazioni di tipo tecnico ed economico, dovrà essere applicato su piante adeguatamente preparate con la potatura.

In conclusione le regole per razionalizzare i costi di produzione di un oliveto, fino ad abbassarli a 3-4 euro/Kg d’olio sono:
- potare sempre, tagliare poco, operare da terra
- meccanizzare la raccolta con sistemi compatibili