L'arca olearia

DOP E IGP SONO STRUMENTI DI VALORIZZAZIONE DELL’OLIO DI OLIVA MA LE AZIENDE DEVONO SAPERNE SFRUTTARE IL POTENZIALE COMMERCIALE

Le denominazioni d’origine si stanno moltiplicando ma non sempre i risultati sono incoraggianti. Una riflessione che parte dalla Toscana ma che coinvolge tutte le Dop italiane perché, stando a un’indagine, il bilancio aziendale costi-ricavi nel breve periodo è negativo

05 maggio 2007 | Alberto Grimelli

Sono già un piccolo esercito le denominazioni d’origine italiane. Si sono moltiplicate a ritmi vertiginosi, anche se, d’ora in poi, sarà più difficile ottenere dall’Unione europea il riconoscimento, quelle ormai operanti in Italia le garantiscono un’indubbia leadership in questo settore.
Ma questa posizione di assoluto privilegio è utile? E soprattutto portano utili alle aziende olivicole?
Domande a cui non è facile dare risposta, anche perché il mercato delle denominazioni dell’olio è piuttosto modesto e il trend di crescita non è entusiasmante. Nonostante questi dati le aziende continuano a riporre molta fiducia nelle Dop, sperando che queste portino un effettivo e spesso consistente valore aggiunto per le loro produzioni.

Delle potenzialità delle denominazioni d’origine dell’olio extra vergine d’oliva si è discusso a Cerbaia (FI) nel corso di un incontro organizzato da Pieralisi che così ha voluto dare un’occasione di confronto agli attori della filiera su un tema d’attualità e tanto delicato per l’intero settore.

“Le Dop – ha detto il Prof. Belletti – dell’Università di Firenze – sono una leva importante per la valorizzazione del prodotto, anche se è importante capire bene cosa intendiamo con valorizzazione: l’aumento del prezzo? L’aumento del volume venduto? La penetrazione in altri mercati? La fidelizzazione della clientela? Nel breve periodo, infatti, le aziende hanno scarsa possibilità di aumentare considerevolmente i loro profitti grazie alle Dop. Stando ai risultati delle nostre indagini, in base alle interviste effettuate proprio con imprese olivicole, il bilancio costi-ricavi nel breve periodo è insoddisfacente, meglio nel medio lungo periodo quando emergono risultati interessanti soprattutto rispetto allo sviluppo del proprio potenziale commerciale, aumento dei volumi venduti e fidelizzazione della clientela. E’ inoltre noto che, il successo di una Dop, sta anche nel riuscire a dotarsi una struttura collettiva, una dimensione critica tale da ridurre i costi e utilizzare tutti gli strumenti del marketing e della promozione.”

“I frantoi – ha affermato Tripodi della Pieralisi – possono giocare un ruolo importantissimo per la valorizzazione dell’extra vergine di qualità. Sono l’anello della catena che congiunge l’olivicoltore e il consumatore e di conseguenza possono e devono agire su due fronti, fornendo servizi e consulenza ai produttori e facendo cultura dell’olio, promuovendo così il consumo dell’extra vergine tipico e di alta qualità. Il 60% degli acquisti di olio avviene nel supermercato e il peso delle promozioni nelle vendite è decisamente importante ma lo scenario muta quando si tratta di oli Dop. Nel caso dell’Igp toscano, ad esempio, l’85% del prodotto viene commercializzato dal frantoio e i prezzi che si riescono a spuntare sono, in media, quasi il triplo rispetto a quelli di un comune extra vergine o di un prodotto 100% italiano.”



Ciò che emerge dai dati e in particolare dalla tabella qui presentata è una tendenza a una pur lieve riduzione dei prezzi degli oli Dop e Igp a fronte della sostanziale stabilità dell’extra vergine comune e di un piccolissimo incremento del 100% italiano.

Fondamentale, infatti, per mantenere quotazioni all’altezza, sono le strategie commerciali adottate, croce e delizia di tutte le Dop.

“Quando affrontiamo la competizione globale – ha detto Massimo Neri dell’Olma di Grosseto, importante cooperativa oliandola toscana – il fattore prezzo è determinante. E’ vero che non esiste altro toscano oltre all’Igp ma è realmente difficile trattare svincolandosi dall’andamento delle quotazioni del prodotto standard di riferimento, ovvero dell’olio extra vergine di oliva. E’ sempre questo a tracciare la rotta e gli alti e bassi dei prezzi dell’extra vergine influiscono inevitabilmente anche sulle quotazioni dei prodotti Dop e Igp.”

Di diverso avviso invece un altro importante attore della filiera.
“Oggi recuperare margini economici per il produttore è imperativo – ha ribattuto Giampiero Cresti, degli Olivicoltori Toscani Associati che a Cerbaia hanno frantoio e impianto di imbottigliamento – Per far questo è necessario intervenire sulla nostra struttura produttiva, ridurre i costi ma anche aumentare i profitti. E per poter realmente far salire i prezzi occorre aumentare l cultura di prodotto da parte del consumatore. In questo senso ogni iniziativa è valida anche se considero prioritario un investimento sulle scuole, per parlare di sicurezza e qualità alimentare ai bambini. In quest’ottica è impossibile non denunciare la latitanza delle Istituzioni e la mancanza di campagne istituzionali da ormai diversi anni, sia a livello nazionale sia internazionale. Il Coi, già da qualche anno, non può più fare promozione per mancanza di fondi. Si tratta di una situazione insostenibile, i frantoi e le organizzazioni possono sopperire, ma soltanto con azioni a carattere locale, che non hanno un vero impatto sulla massa dell’opinione pubblica.”

Sui costi di promozione e di commercializzazione è intervenuto anche Franci, Presidente della nascente Dop Seggiano. “Una piccola azienda non può certo permettersi di aggredire il mercato col fattore prezzo e neanche può permettersi costosissime azioni di marketing. Occorre un approccio diverso, andando a cercarsi nicchie di mercato, coltivando quelle al pari degli olivi.”

Le Dop, insomma, non sono la soluzione ma soltanto uno strumento, utile ed efficace per valorizzare la propria produzione nel senso di un aumento, nel lungo periodo, dei volumi di vendita, per aprire nuovi canali commerciali, ma non, almeno per ora, a livello del fattore prezzo, agganciato troppo, anche per le denominazioni, a quello dell’extra vergine comune, risentendo quindi di eventuali crisi di mercato e di discese repentine delle quotazioni, come avvenuto proprio due anni fa in Toscana con il prezzo dell’Igp sceso a 4,5 euro/Kg contro gli attuali 6,5 euro/Kg.