L'arca olearia

MILLESEICENTO PIANTE PER ETTARO. LA NUOVA FRONTIERA SONO GLI OLIVETI SUPERINTENSIVI. UNA PROSPETTIVA PER MODERNIZZARE L’OLIVICOLTURA, MA PERMANGONO MOLTI DUBBI

Sono ormai ventiquattromila gli ettari impiantati e condotti secondo il modello spagnolo. Anche in Italia si guarda con interesse a questa proposta, pur tra mille perplessità. E’ la riduzione dei costi l’unico obiettivo del comparto olivicolo italiano? Se ne è parlato a Spoleto, in un seminario organizzato dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio

17 giugno 2006 | Alberto Grimelli

L’impianto superintensivo più vecchio impiantato e condotto secondo il metodo spagnolo, ideato dalla società vivaistica Agromillora Catalana SA, risale al 1994.
Si tratta di oliveti con sesti d’impianto di 4 x 1,5 metri per una densità di 1600-1800 piante/ettaro.
Un modello costruito sulla base dell’esperienza della società catalana sui vigneti, in particolare riguardo alla meccanizzazione integrale delle operazioni colturali.
Considerando che in olivicoltura il 60% o più dei costi di produzione è direttamente riferibile alla raccolta, massimizzare l’efficienza di questa operazione consente un vantaggio competitivo notevolissimo. Sono iniziate così le prime esperienze sulla raccolta in continuo con macchine vendemmiatrici modificate, macchine che, dopo qualche adattamento, consentono di raccogliere un ettaro in poco più di due ore. In termini economici, tenendo conto che in Spagna è molto diffuso il contoterzismo, partendo da un costo di noleggio orario pari a 150 euro/ora, ne risulta un costo di raccolta per ettaro pari a 350-400 euro. Se invece vogliamo rapportarci alla produttività media dell’oliveto, in base ai dati forniti da Agromillora, considerando una produzione media annua di 100 qli/ettaro (dagli 80 ai 120 qli/ettaro/anno), scopriamo che il costo di raccolta è pari a 4 euro a quintale di olive raccolte.
Anche la potatura, la cui incidenza sui costi è significativa, viene ridotta al minimo e consiste unicamente in un passaggio con barre falcianti, tanto sulla cima (l’altezza massima della pianta deve essere di 2,5 metri) quanto sui rami bassi, per poi eseguire tagli manuali selettivi sui rami con diametro superiore ai 3 centimetri che si espandono trasversalmente dando luogo a difficoltà nell’operatività della macchina per la raccolta. Tempo complessivo impiegato 50 ore/ettaro/anno.

Impianti di oliveti superintensivi nel mondo, una progressione continua
1994 6 Ha
1995 700 Ha
2000 1500 Ha
2002 3000 Ha
2003 5000 Ha
2004 9000 Ha
Fonte: Agromillora Catalana SA

Non è tutto oro quello che luccica
Se la presentazione, avvenuta il 9 giugno 2006 a Spoleto nel corso di un seminario organizzato dall’Accademia nazionale dell’Olivo e dell’Olio, si fosse limitata a questi dati, era certo che il futuro dell’olivicoltura nazionale e internazionale dovesse indirizzarsi verso questo modello agronomico ed economico.
In realtà, pur tra posizioni diverse, sono scaturiti molti dubbi circa l’applicabilità del metodo su scala nazionale.
Innanzitutto l’oliveto superintensivo richiede cultivar con specifiche caratteristiche: una precoce entrata in produzione, in media al terzo anno, e una buona produttività media annua, quindi una vigoria ridotta, un portamento non espanso e una non elevata sensibilità ad alcuni agenti patogeni come la rogna. Attualmente le sole varietà che si prestano allo scopo sono le spagnole Arbequina e Arbosana e la greca Koroneiki. Sono in corso ricerche e studi anche in Italia sul nostro germoplasma autoctono, allo stato attuale senza alcun particolare successo. Presto verranno impiantati diversi campi sperimentali superintensivi, ma i primi riscontri, in quel di Cassano di Murge (Prof Godini, Università di Bari), non risultano particolarmente incoraggianti. Giova tuttavia ricordare che, come sottolineato dal Prof. Caruso dell’Università di Palermo, un forte impulso agli impianti intensivi e superintensivi in frutticoltura si ebbe con la selezione di portainnesti nanizzanti, ma in questo campo molto lavoro resta da svolgere nel settore olivicolo.
Qualche dubbio relativamente a una eventuale diffusione in Italia del metodo spagnolo è stata anche espressa dal Prof Iannotta dell’Istituto sperimentale per l’olivicoltura. Le condizioni microclimatiche in un oliveto superintensivo risultano infatti assolutamente particolari, per l’elevata umidità dovuta soprattutto all’irrigazione e all’ombreggiamento. Ai principali problemi fitosanitari riscontrati in Spagna: rogna, dovuta alle rotture operate dalla macchina e marciumi radicali, in Italia altri patogeni fungini potrebbero alterare gli equilibri vegeto-produttivi delle piante: occhio di pavone, lebbra e verticilliosi. E’ però impossibile pensare che nel nostro Paese, dove politica e società sono molto sensibili a problemi ambientali e di sostenibilità, si possano eseguire lo stesso numero e tipo di trattamenti fitosanitari operati in media in Spagna: 6-7 trattamenti all’anno a base di rame e dimetoato.
E’ necessario infine considerare che è eventualmente consigliabile piantumare un oliveto superintensivo soltanto in pianura o su terreni semipianeggianti, dove la macchina raccoglitrice possa lavorare senza ostacoli e con la massima efficienza.

Lo scenario futuro, gli oliveti superintensivi e la fine della Pac
Dal 2013, sebbene nessuno possa prevedere il futuro, è probabile che assisteremo alla fine degli aiuti diretti. Niente più sovvenzioni legate alla produzione o al mantenimento degli oliveti. Regnerà l’economia di mercato.
Ovvio che in queste condizioni la nostra olivicoltura parte con un grave svantaggio dovuto essenzialmente a impianti vecchi, vetusti e all’estrema parcellizzazione delle imprese olivicole. Risulterebbe impossibile quindi una competizione di prezzo con altre nazioni sia comunitarie sia extra comunitarie.
E’ stato ribadito, all’unanimità, ancora una volta, la necessità di una strategia nazionale, che detti le linee programmatiche e sappia così intervenire. Si aspetta, quindi, un piano olivicolo nazionale, tanto auspicato ma da più di vent’anni mai realizzato.
Nel frattempo, tuttavia, gli imprenditori olivicoli risultano sempre più impazienti, attendo risposte ma soprattutto “ricette” per affrontare il futuro. Il modello spagnolo di oliveto superintensivo sembra rispondere a molte delle necessità degli olivicoltori e per molti, compresi illustri esponenti del mondo associativo, rappresenta l’avvenire dell’olivicoltura nazionale.
Un invito alla cautela è stato tuttavia lanciato dal Pof Gucci dell’Università di Pisa, organizzatore della giornata di studio. La ricerca, allo stato attuale, non offre ancora un quadro sufficientemente esauriente e preciso sull’adattabilità degli oliveti superintensivi sul nostro territorio. La prudenza è quindi d’obbligo, anche perché gli investimenti risultano ingenti (10.000 euro/ettaro), e vengono richieste estese superfici, a livello aziendale o almeno comprensoriale, affinché si possano generare reali economie di scala (la sola macchina raccoglitrice ha un costo di 170.000-180.000 euro). La stessa durata economica dell’oliveto superintensivo non è certa, anche se più di un analista ed economista la stima in 14-15 anni.
In estrema sintesi è quindi necessario affermare che i rischi, le problematiche e le incognite connessi alla gestione agronomica di un oliveto superintensivo sono elevati. Prima di lanciarsi in quest’avventura è quindi d’obbligo una seria valutazione e ponderazione delle condizioni aziendali con particolare riferimento a: caratteristiche pedoclimatiche della zona, giacitura dei terreni destinabili, sbocchi commerciali dell’olio prodotto, capacità finanziaria e d’investimento dell’impresa, professionalità e competenze in materia agronomica presenti in azienda.