L'arca olearia

LE AZIENDE OLIVICOLE ITALIANE HANNO PAURA DELLA CONCORRENZA STRANIERA E DELLA CRISI ECONOMICA. LA SALVEZZA STA NELLA QUALITA’, MA BISOGNA SAPERLA FAR FRUTTARE

Pochi cambiamenti nella situazione di mercato degli ultimi tre anni, ma profonde preoccupazioni per il futuro. Queste le impressioni di imprese olearie del Centro-Sud Italia rilevate dall’Ismea. Se la qualità, la tutela del “made in Italy” e la differenziazione di prodotto sono considerate strategie vincenti, vi è ancora approssimazione nell’uso degli strumenti di marketing e comunicazione

08 ottobre 2005 | Alberto Grimelli

E’ stato un triennio di grandi cambiamenti, nel 2002 la rivoluzione delle etichette e il confezionamento obbligatorio, quindi la rintracciabilità e la riforma dell’ocm olio di oliva. Se vi aggiungiamo che in questi ultimi anni vi è stata la proliferazione delle denominazioni d’origine protetta e hanno conquistato quote di mercato extra vergini “nuovi” come i monocultivar e i denocciolati, comprendiamo come si tratti di un passaggio storico per il comparto.
Come hanno reagito le aziende olearie a questi cambiamenti? Come li hanno vissuti? Quali le sensazioni?

Un primo, parziale, quadro ce lo fornisce l’Ismea con un’indagine condotta su un campione rappresentativo di aziende olivicolo-olearie del Centro-Sud Italia.

Il primo dato sorprendente della ricerca è la dichiarazione di sostanziale stabilità, immobilismo, della situazione di mercato nell’ultimo triennio da parte di due terzi delle imprese interviste.
Nessuno dei mutamenti epocali, tanto sbandierati da stampa e istituzioni, sembra aver influito sul commercio di olio extra vergine d’oliva. Altalene dei prezzi, alternanza di produzione vengono ormai considerati problemi fisiologici, parte integrante del comparto. Solo poco meno di un terzo delle aziende del campione ha dichiarato cambiamenti nella situazione di mercato nell’ultimo triennio, sostanzialmente imputabili alla crescita della concorrenza estera (13,3%) e alla diminuzione della domanda complessiva (11,7%).

Meno rosee le prospettive sul futuro.
Tra le principali preoccupazioni espresse dagli intervistati sulla situazione di mercato per il futuro, è emerso con forza il timore della concorrenza internazionale (68,3%), seguito dal perdurare della crisi economica (32%) e dalla riforma della ocm (21,7%).
In particolare le aziende del Sud, più abituate alla distribuzione all’ingrosso, temono la concorrenza estera mentre le imprese del Centro paventano maggiormente le conseguenze della riforma dell’organizzazione comune di mercato.
Sono invece le aziende di medie dimensione a avvertire come fonte di preoccupazione il crescente potere della distribuzione.

Riguardo, invece, agli aspetti positivi, oltre la metà degli operatori ha indicato una crescente richiesta di qualità. Inoltre, nell’ambito di coloro che si sono espressi positivamente sulle prospettive del mercato, sono stati evidenziati, tra gli elementi positivi, la maggiore attenzione delle istituzioni, la tutela del “made in Italy” e lo sviluppo di nuove abitudini e stili di consumo.

Riguardo alle principali leve di marketing utilizzate dagli operatori, la strategia basata sul lancio di nuovi prodotti ha raccolto adesioni solo da parte di un terzo degli intervistati, mentre l’80% del campione ha dichiarato di voler puntare sulla differenziazione.
Riguardo al posizionamento prezzo esiste una notevole attenzione, in particolare tra le aziende del Sud, a una strategia di livellamento su quello medio della concorrenza, Una politica che inevitabilmente porta a un ribasso generalizzato delle quotazioni in seguito all’aumento della competizione tra le aziende. Diverso invece l’atteggiamento delle imprese del Centro e delle cooperative che dichiarano di scegliere un posizionamento prezzo superiore a quello della concorrenza. Una strategia che però deve essere supportata da adeguate azioni di marketing e di comunicazione. Proprio in questo campo, tuttavia emergono le dolenti note.

Il 60% delle imprese ha risposto di aver realizzato comunicazione e servizi alla distribuzione, con una maggiore propensione a investire in questi campi tra le aziende del Centro Italia e tra quelle a gestione cooperativa.
Non è però emersa alcuna relazione tra impegno verso la differenziazione del prodotto e investimenti in comunicazione. In particolari dai risultati della ricerca si può osservare che le aziende che perseguono politiche di differenziazione non attribuiscono grande importanza a strategie di comunicazione.
Sono ben il 45% degli intervistati ad asserire che gli investimenti in comunicazione sono “poco o per nulla” importanti, comunque vengono ritenuti più efficaci le iniziative condotte a livello aggregato, ovvero condotte da Consorzi di tutela o organizzazioni di categoria.
Questo, purtroppo, denota una mancanza di personalità ed individualità da parte delle aziende agricole, oltre che, probabilmente, un senso di inadeguatezza nei confronti dei rapporti con i mass media o altri soggetti.

Le aziende olearie vengono condotte a livello “artigianale” o familiare e nell’82% dei casi la commercializzazione è curata direttamente dal titolare o un suo diretto delegato che raramente si avvale di una vera e propria rete di vendita.
Ci si affida, per lo più, alla ricerca del cliente finale sia esso grossista (31%), distribuzione moderna (6,7%) o dettaglio tradizionale (6,7%). Decisamente considerevole la voce “altro” (28%) inteso, spesso, come consumatore finale (famiglie, turisti…), un valore che non si è ridimensionato molto a causa della nuova regolamentazione europea in materia di confezionamento, probabilmente perché questa regola viene seguita “all’italiana”.
L’elevata differenziazione della clientela tipo, unito alla condizione che raramente l’azienda cede a un singolo cliente più del 25% del suo volume di prodotto, rende il rapporto contrattuale tra fornitore ed acquirente meno sbilanciato che per altre tipologie di prodotti. Se è vero per quasi il 20% delle aziende che il potere contrattuale della clientela è aumentato è anche vero che ben la metà degli operatori ha dichiarato di poter accrescere il proprio potere decisionale in particolare sulla fissazione dei prezzi.

Fonte: Ismea