L'arca olearia
BOTTA E RISPOSTA. IL DNA, ALLO STATO ATTUALE, NON PUÒ GARANTIRE L’ORIGINE DI UN OLIO
Un utile approfondimento per quanti abbiano ancora dubbi riguardo alla possibilità di tracciare l’extra vergine attraverso l’analisi del codice genetico. “Sono d'accordo sul fatto che l'identificazione di provenienza basata sull'analisi del DNA nel caso dell'olivo non sia una pratica così semplice come la ditta citata vuol far credere”
30 luglio 2005 | T N
Il 23 luglio 2005 abbiamo pubblicato un articolo dal titolo âFALSO, FALSO, FALSO. IL DNA NON GARANTISCE ORIGINE E PROVENIENZA. IL CODICE GENETICO NON Ã UN ELEMENTO DI TRACCIABILITÃ O RINTRACCIABILITÃâ a firma del nostro Coordinatore editoriale Alberto Grimelli (link esterno).
Non sono mancate le reazioni, tra le mail giuntaci vi vogliamo qui presentare integralmente lo scambio di corrispondenza intercorso tra Falvio Garoia, ricercatore dellâUniversità di Bologna, e Alberto Grimelli.
Vi sono interessanti spunti e informazioni ma le contestazioni mosse alla Olioro Srl, alla fine, sono state confermate.
â...sono d'accordo con lei sul fatto che l'identificazione di provenienza basata sull'analisi del DNA nel caso dell'olivo non sia una pratica così semplice come la ditta da lei citata vuol far credere...â ha infatti, alla fine, dovuto convenire Flavio Garoia.
Quindi ribadiamo ancora una volta:
à falso che i produttori âgrazie alla certificazione del Dna potranno garantire la provenienza delle proprie oliveâ.
à falso che i consumatori âinviando un campione dâolio potranno grazie allâanalisi del Dna scoprire lâorigine dellâolio di oliva che stanno consumandoâ.
à falso che âlâanalisi del Dna apre una nuova frontiera nella tutela e nella certificazione della tracciabilità dellâolio dâoliva italianoâ
Spett. Redazione
Volevo fare alcune osservazioni riguardo all'articolo pubblicato sul vostro sito il 23 Luglio 2005 dal titolo: "FALSO, FALSO, FALSO. IL DNA NON GARANTISCE ORIGINE E PROVENIENZA. IL CODICE GENETICO NON Ã UN ELEMENTO DI TRACCIABILITÃ O RINTRACCIABILITÃ" di Alberto Grimelli.
Mi chiamo Garoia Flavio e sono un ricercatore dell'Università di Bologna, mi occupo di genetica ed in particolare da alcuni anni mi interesso di identificazione mediante analisi basata sul DNA nell'ambito dell'ittico ed ultimamente ho allargato i miei orizzonti a tutto il settore agroalimentare. Mi sento in dovere di puntualizzare alcune osservazione del Sig. Grimelli, bisogno che nasce dalla foga ingiustificata con cui si è scagliato contro l'utilizzo dell'analisi del DNA per la certificazione di provenienza dell'olio e, più in generale, dei prodotti agroalimentari. Senza voler far polemica, ma solo per dovere di informazione, posso dire che ci sono alcuni aspetti che sono stati trattati in maniera non adeguata, anche se alcune problematiche che limitano l'utilizzo di queste tecniche sono state colte nell'articolo. Senza entrare troppo nell'aspetto tecnico della questione, tramite l'analisi del DNA noi possiamo creare una "carta d'identità genetica" non solo di una determinata varietà di oliva, ma anche di una singola pianta (l'equivalente di quello che in ambito forense
viene chiamato "test del DNA") e potenzialmente riconoscere in un determinato campione di olio
quante e quali piante hanno contribuito alla sua produzione. Eâ vero, come sostine il Sig. Grimelli, che molte varietà sono diffuse in aste aree del territorio Italiano e anche all'estero, tuttavia all'interno delle singole varietà ci sono differenze genetiche che possono essere individuate ed utilizzate per una certificazione di provenienza del prodotto. E chiaro che una attività di questo tipo richiede notevoli investimenti, e non può essere effettuata senza una preventiva analisi capillare delle coltivazioni presenti sul territorio, tuttavia nell'ambito di progetti di valorizzazione delle produzioni di maggior pregio una attività di questo tipo potrebbe essere presa in considerazione, con il doppio vantaggio di garantire la difesa della biodiversità esistente ed allo stesso tempo consentire la messa a punto di sistemi di controllo indispensabili per combattere le frodi. Per concludere vorrei far notare che negli ultimi anni sono moltissimi i progetti scientifici finanziati per la messa a punto di protocolli basati sull'analisi del DNA mirati alla certificazione della provenienza geografica, per cui consiglierei un po' di cautela nella valutazione delle possibili applicazioni di questa tecnologia e mi auguro che la discussione venga portata avanti tenendo in considerazione il parere dei ricercatori che lavorano in questo ambito e posseggono le conoscenze scientifiche specifiche per poter valutare in maniera corretta quello che è vero e quello che è falso.
Cordialmente
Flavio Garoia
Egr. Dott. Garoia,
nel mio articolo non vâera nè astio nè la volontà di criminalizzare alcuno, tanto meno la ricerca italiana. Ho inteso semplicemente denunciare il comportamento poco corretto e trasparente di una società che afferma di poter certificare la provenienza delle olive e dellâolio sulla base del Dna.
Il mio articolo non voleva contestare in toto la possibilità di fornire precise indicazioni sullâorigine dei prodotti alimentari, ma semplicemente escludere questa possibilità per lâolio extra vergine dâoliva. Ecco alcune ragioni:
- in una bottiglia dâextra vergine, tanto più se filtrato, la quantità di Dna in sospensione è veramente minima. Si tratta, inoltre, per lo più di frammenti e non di filamenti interi. Fino a qualche anno fa più di un ricercatore escludeva di poter effettuare unâanalisi attendibile su tale materiale. Arrivare a pensare di poter risalire ai singoli individui che hanno prodotto quellâolio mi pare quindi francamente molto difficile.
- effettuare un monitoraggio e uno screening così preciso di interi territori è unâoperazione difficile e complessa, ma soprattutto molto costosa. Dovrebbero essere spesi ingenti fondi, milioni di euro, che, per come è il settore, credo sarebbero più utili altrove.
Nessuna delle obiezioni mosse in precedenza, lo so, risulta decisiva, anche se ognuna di esse limita, allo stadio attuale delle conoscenze, lâapplicabilità della âcarta dâidentità geneticaâ allâolio extra vergine dâoliva. Sennonché esistono altre motivazioni, ben più concrete e, mi azzarderei a dire determinanti.
- vero che ogni individuo, frutto di una riproduzione gamica (spermatozoo e ovulo...) possiede un Dna specifico e proprio. La propagazione delle piante dâolivo in vivaio però è di tipo agamico (talea e innesto). Si tratta di asportare da una âpianta madreâ una porzione di chioma e di farla radicare e vegetare, oppure di innestarla su unâaltra varietà di olivo. Ne risulta, mi corregga se sbaglio, che le âpiante figlieâ sono, geneticamente parlando, delle copie perfette della âmadreâ. Piante identiche e indistinguibili anche se vendute e piantate ai due angoli del pianeta.
- Ogni oliva è il frutto di una riproduzione gamica, ogni oliva è quindi, geneticamente parlando, una individualità . Su una singola pianta abbiamo quindi centinaia di genotipi diversi, genotipi ottenuti dalla combinazione di una âmadreâ nota (la pianta che porta le olive) ma di un âpadreâ ignoto. Lâimpollinazione dellâolivo è infatti anemofila (avviene grazie al vento) e il polline può essere trasportato per chilometri. à quindi fattibile, dallâolio extra vergine, risalire alla âmadreâ, di fatto impraticabile invece riconoscere il âpadreâ. Una stessa âmadreâ, però, come esaminato nel punto precedente, può essere presente tanto in Toscana quanto in Australia.
Analizzare le possibili combinazioni genetiche ottenibili su un territorio, porterebbe ad avere migliaia (centinaia di migliaia?) di possibilità diverse. Se è possibile su basi statistiche stabilire le più frequenti e probabili, è anche vero che, potenzialmente, queste possono essere riscontrabili in unâaltra zona. Il risultato, in termini di certificazione dellâorigine e della provenienza, sarebbe frutto più della matematica e delle leggi della probabilità , piuttosto che delle certezze analitiche.
Resto a disposizione per approfondire con lei lâargomento.
Distinti saluti
Alberto Grimelli
Egr.Dott. Grimelli
la ringrazio per la risposta circostanziata alle mie obiezioni, e sono d'accordo con lei sul fatto che l'identificazione di provenienza basata sull'analisi del DNA nel caso dell'olivo non sia una pratica così semplice come la ditta da lei citata vuol far credere. In realtà nessuna delle obiezioni da lei citate (frammentazione del DNA, riproduzione per talea, impollinazione anemofila), anche se aumentano la difficoltà dell'analisi, impediscono di individuare quella variabilità genetica intraspecifica alla base del riconoscimento (le posso citare referenze scientifiche a decine), riconosco tuttavia che i costi di una pratica di questo genere sarebbero ingenti e, dal momento che lei dice che il settore ha problemi più grandi da risolvere, non aggiungo obiezioni su questo punto. La mia lettera voleva solo suggerire cautela sul giudizio riguardante le metodologie, dal momento che l'avversione ingiustificata verso le metodiche riguardanti le tecniche basate sull'analisi del DNA (ormai tutto è ricondotto agli OGM....) impedisce molto spesso di cogliere i benefici che queste metodiche possono apportare la difesa della biodiversità .
Saluti
Flavio Garoia
Egr. Dott. Garoia,
âTeatro Naturaleâ e il sottoscritto sono sempre molto cauti nellâesprimere giudizi, specie quando si entra in ambito scientifico. Sappiamo bene che la ricerca genetica non è tutta concentrata sugli Ogm. Nessun preconcetto o pregiudizio, quindi. Conosco personalmente molti docenti e ricercatori che lavorano in questo ambito e per i quali nutro la massima stima.
Sono felice che concordi con me sul fatto che, allo stato attuale, le dichiarazioni della Olioro srl sono inattuabili.
Anchâio, qualche anno fa, quando vennero introdotte nella ricerca genetica olivicola metodiche avanzate (AFLP, RFLP, SSR), mi interessai alla possibilità che queste potessero essere utilizzate per arrivare a unâidentificazione dellâorigine geografica di un olio. I ricercatori con cui parlai mi parvero molto scettici. Pare infatti che individuare variabilità intravarietali a partire da un campione dâolio sia estremamente complesso, ricondurre poi la/le variabilità (e/o le proporzioni tra esse) eventualmente riscontrate a uno specifico territorio sia quanto mai azzardato. Infatti se lâutilizzo dei marcatori molecolari (su tessuti vegetali, non su olio) ha permesso di evidenziare lâesistenza di cloni geneticamente diversi nellâambito di una stessa varietà , pare proprio che questi raramente siano riconducibili a specifici territori (non parliamo poi di aziende!), ovvero la facilità di propagazione dellâolivo ha permesso la loro diffusione in differenti aree nei secoli passati. Se a questi già notevoli scogli aggiungiamo la mancanza, molto spesso, di basilari ricerche di caratterizzazione genetica anche per varietà molto note, ecco che tutto questo contribuisce a creare un muro. La mancanza, cronica, di fondi fa il resto.
La ricerca genetica olivicola si sta quindi sempre più concentrando sul riconoscimento varietale e sulla determinazione delle distanze geniche, basi della salvaguardia della biodiversità . Interessanti sviluppi si possono inoltre avere per la selezione e il miglioramento genetico. Ma questo, non che sia poco, è tutto.
Cordiali saluti e buon lavoro
Alberto Grimelli