L'arca olearia
Le acque di vegetazione dell'olivo come ammendante agricolo. Pro e contro di una scelta
Una ricerca dell'Università di Pisa fa risaltare i vantaggi agronomici. Uno studio tedesco però sottolinea il possibile impatto ambientale nel lungo periodo
19 gennaio 2013 | R. T.
Si torna a parlare di acque vegetali dell'olivo e del loro uso come ammendanti agricoli.
Una possibilità fornita dalla legge ma i cui effetti non sono sempre ben noti agli olivicoltori e a quanti autorizzano lo spandimento di tali sottoprodotti nei campi.
La scienza, in questo campo, non ha una risposta univoca.
Da una parte, infatti, l'Università di Pisa avrebbe confermato le potenzialità delle acque di vegetazione come ammendante naturale, specie per l'agricoltura biologica, ma l'Università di Rostock frena, evidenziando l'impatto ambientale negativo nel lungo periodo.
Claudia Di Bene, team leader dello studio pisano, ha indagato sulle potenzialità e i limiti delle acque di vegetazione, utilizzando come parametri le proprietà chimiche e biochimiche del suolo, ivi compreso l'impatto sulla flora arbuscolare. Le tesi prese in esame erano tre, ovvero lo spandimento di 80 metri cubi ad ettari di acque di vegetazione contro nessuno spandimento correlato con il periodo di spandimento (autunno e primavera). Nessun particolare effetto ha il periodo di spandimento mentre è stato riscontrato un contraccolpo sui principali parametri chimici e biochimici ma solo nel breve termine (cinque giorni) mentre non si evidenzierebbero effetti nel lungo termine (sei mesi). In particolare, immediatamente dopo lo spandimento, è stata notata una riduzione dell'attività microbica nel suolo ma, nel lungo periodo la flora arbuscolare è tornata ad aumentare e in misura più consistente rispetto alla tesi senza acque di vegetazione. I ricercatori sostengono dunque che l'acqua di vegetazione possa essere efficacemente utilizzata come ammendante in agricoltura biologica, in condizioni controllate, dati gli effetti negativi a breve termine sulla qualità del suolo, che possono essere considerati trascurabili dopo un adeguato periodo di attesa.
Di diverso avviso però Mustafa Mahmoud, team leader dell'Università di Rostock, in Germania, che ha utilizzato una diversa scala temporale per il suo studio, evidenziando l'effetto dello spandimento in campo di acque di vegetazione per 5 e 15 anni. Di primo acchito è possibile sostenere che l'effetto è positivo perchè Mahmoud sottolinea che, in entrambe le tesi, è aumentata la stabilità degli aggregati del suolo, come risultato di un aumento contenuto di sostanza organica. Le acque di vegetazione, però, contrasterebbero la formazione di grandi aggregati stabili, in quanto la materia organica di cui è composta l'acqua di vegetazione formerebbe un rivestimento, vincolando la struttura del terreno a micro-aggregati e bloccando anche le bocche dei pori. Le proprietà fortemente adesivanti delle acque di vegetazione, insomma, impedirebbero la formazione di una struttura stabile. Non si formerebbero macro-aggregati e grandi pori fra i micro-aggregati. Una situazione che, nel tempo, altererebbe lo strato superficiale del terreno, rendendolo più frammentato e che può accrescere il rischio di influenzare il trasporto dei soluti nel suolo. Di conseguenza i campi irrigati con acque di vegetazione sarebbero più soggetti a contaminazione delle acque sotterranee con sostanze provenienti dalle acque di vegetazione stesse o dai fertilizzanti chimici.
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Accedi o RegistratiPaolo Broglio
20 gennaio 2013 ore 11:37Gentile sig. Galeone
la questione delle " acque di vegetazione " è molto " antica ". Il loro smaltimento ha sempre presentato problemi soprattutto di natura giuridica.In tempi remoti tale residuo ( che probabilmente conteneva meno acqua )era tranquillamente utilizzato nei campi. Da almeno 80 anni si sono identificati nei polifenoli la causa della scarsa degradazione di questo substrato e il suo potenziale " tossico ". Le virgolette sono abbligatorie in quanto il potenziale "tossico " è da intendersi verso le popolazioni microbiche del terreno in quanto i polifenoli sono potenti battericidi.Tuttavia il terreno, quando ne recepisce un quantitativo limitato, adsorbe la sostanza organica e poi, lentamente, la modifica trasformandola in humus ( acidi umici principalmente )demolendo grazie a batteri autoctoni fenoli-resistenti la parte " tossica " della molecola e rendendo disponibile il carbonio al terreno e quindi alle radici. Nel momento in cui si individua il terreno come "corpo recettore" delle acque di vegetazione occorre quindi fare attenziione alla " quantità " se si utilizza il refluo Tal Quale. Infatti negli anni si sono succeduti sistemi e brevetti per "trattare " queste acque ma con risultati relativamente modesti.
E' possibile reperire un brevetto dell'ENEA su tale argomento o studi e ricerche ai quali abbiamo partecipato. La soluzione più semplice è quella di accumulare le acque di vegetazione e poi inserirle lentamente all'interno di un impianto di depurazione biologico ben gestito di adeguata potenzialità; ogni altra soluzione ( sempre possibile ) si è rivelata costosa e di difficile gestione ( tecnici specializzati e apparecchiature relativamente delicate ). Ben venga l'ennesima contrapposizione ma che abbiamo ( purtroppo ) già vista. Per risolvere l'annosissimo problema ( valido per tutto il bacino del Mediterraneo ) è necessario solo una concreta volontà e un minimo di buon senso.
Cordiali saluti
Paolo Broglio
Direttore Scientifico di Ecologia Applicata sr. Organizzazione Scientifica di Ricerca Ambientale e Coordinatore Scientifico di Esae srl. Spin- Off dell'Università degli Studi di Milano
Donato Galeone
19 gennaio 2013 ore 15:26A mio avviso è interessante quanto urgente il confronto e l'approfondimento.
Mi riferisco al decreto interministeriale (sviluppo economico,ambiente e agricoltura) art.8 DM del 6 luglio 212 ed alla successiva legge 7 Agosto 2012 2 bis dell'art. 52.
Si tratta di verificare l il "come" ottimizzare le acque di vegetazione olearia, sperimentando congiuntamente alle sanse tal quali o desoleate ed altri sottoprodotti biologici - in proporzioni adeguate non superiori al 30% di peso - ed in miscela, preferibilmente, agli effluenti della zootecnica.
Nel concreto, stoccare - provenienti dalle "filiere olio di oliva" ed in parte dalle "filiere lattierocaseario" - circa 3,3 tonnellate/anno di acque di vegetazione, sanse disoleate o tal quali ed effluenti zootecnici per alimentare in continuo un "digestore" ed ottenere un "DIGESTATO" da un impianto a biomasse e biogas di potenza 300-600 kW.
E' necessario quanto indispensabile determinare le caratteristiche del "digestato" e le modalità d'impiego per quantificare sia i limiti di azoto, nei piani di fertilizzazione aziendali e dei suoli che la salvaguardia delle falde acquifere per quanto riguarda gli effetti nitrati.
Pur convenendo,quindi, che non abbiamo "risposta univoca" soffermando l'attenzione sulla "filiera olio" ( produttori, trasformatori,confezionatore) ed, indirettamente, alla "filiera lattiero-casearia" e agroalimentare (allevatori fornitori di latte, e di effluenti zootecnici) la "proposta progettuale integrata" di un piccolo impianto biomassa e biogas (potenza 300-600 kW potrebbe essere alimentato con la molitura di circa 45.000 quintali di olive (restituisce da 70-75% di acque di vegetazione e sanse tal quali utilizzabili sia a fini energetici che agronomici).
Interessante, ai fini agronomici, approfondire gli effetti di tal "digestato" nel merito delle "modalità d'impiego" da divulgare a produttori olivicoli, allevatori e agricoltori.
Ad oggi, noi tecnici e imprenditori agricoli del Lazio, in attuazione della "direttive nitrati" - con riferimento ai livelli di azoto - ci riferiamo sia alle analisi dei terreni che alle caratteristiche e parametri fisico-chimico e biochimiche dei suoli proponendo adeguati "piani di fertilizzazione" che contribuiscono tanto sui livelli produttivi quanto sull'attività microbica dei suoli.
Attualissima,ripeto, l'informazione odierna di R.T. e grazie ai due signori timleader delle Università di Pavia e Rostoch della Germania.
Donato Galeone
Donato Galeone
20 gennaio 2013 ore 23:46Gentile Signor Direttore Broglio, La ringrazio molto per il gradito riscontro al mio commento, più tecnico pratico che scientifico, riferito al "DIGESTATO" quale sottoprodoto ottenuto dalla "digestione anaerobica" di materie primarie biologiche, miscelate, in piccolo impianto agroenergetico da 300-600 k - da realizzare - alimentato con biomasse e biogas.
Nel concreto, trattasi di un "digestato" speciifco proveniente da materie primarie quali le sanse tal quali ed acque di vegetazione,integrate proporzionalmente, da tonnellate di effluenti zootecnici e di circa un 30%, eventualemnte, di altri residuali sottoprodotti di origine biologica (tipologia a) e b)indicate all'art.8 del DM 6 luglio 20012.
Non si esclude nella gestione, grazie anche alla Sua segnalazione, un accumulo delle acque di vegetazione se disgiunte delle sanse,da depurare, con prevedibili interventi (fase di fitodepurazione) nel processo complessivo dell'impianto - accertato e verificato in campo - i persistenti livelli già prevedibili di riscontrate "tossicità" come da Lei segnalate ed anche in funzione battericida nel terreno.
Prevedere e verificare,pertanto, gli effettivi livelli unitari fertilizzanti e le modalità di spandimento della "composizione specifica" del sottoprodotto già denominato anche per legge "DIGESTATO" - se comprensivo, nella fattispecie, di una parte di acque di vegetazione olearia - obbligherebbe, a mio avviso, a praticare "modalità di impiego" per una equilibrata fertilizzazione biologica tanto nelle quantità di spandimento in campo quanto nelle preannunciate classificazioni relative alle operazioni per un efficiente uso in agricoltura e nelle attività ad essa connesse.
Attualissimo,mi permetto ripetere,il prevedere le cosiddette possibili ricadute positive -riducendo - a livelli di tollerabilità accettabili - le ricadute negative - nella gestione di impianti biogas sia per gli effetti concomitanti nelle zone vulnerabili da nitrati che per gli effetti delle acque di vegetazione olearia tal quale o depurate nelle composizione delle materie primarie componente biomassa dell'ottenuto sottoprodotto"DIGESTATO".
Il confronto tecnico-pratico applicativo della ricerca scientifica suggerisce e merita la massima divulgazione.
Ancora ringrazio il Direttore Broglio e Teatro Naturale per la cortese ospitalità.
Donato Galeone