L'arca olearia

Basta guerre per non rimpiangere in futuro l'industria olearia italiana

Uno scenario mutevole ed complesso in cui si incrociano le trattative a Roma, a Bruxelles, a Madrid e con una crisi finanziaria che “morde sui consumi”. Secondo Claudio Ranzani, direttore Assitol, è sbagliato pensare che restringendo i paletti si alzino i prezzi alla produzione

24 novembre 2012 | Alberto Grimelli

Ci troveremo ad affrontare settimane, ma più probabilmente mesi, di confronto serrato, nelle più diverse sedi, in cui si deciderà il futuro del settore oleario. Lungo la direttrice Roma-Bruxelles-Madrid si stanno sviluppando trattative e dialoghi molto serrati nella speranza di arrivare con una posizione comune alla prossima riunione del Codex Alimentarius.

Anche sul fronte del mercato sembra si sia costretti a navigare a vista, con una produzione che si riduce, prezzi che salgono e vendite incerte.

Non mancano però le polemiche, accesesi particolarmente nelle ultime settimane, da cui è stata assente l'industria olearia italiana.

Questo non significa, però, che le idee e posizioni degli industriali dell'olio non siano nette e molto ferme, con una visione molto chiara del futuro prossimo.

Ne abbiamo parlato con Claudio Ranzani, direttore di Assitol.

 

Quella che stiamo vivendo appare come una campagna olearia più complicata del solito da interpretare. Le indicazioni sulla produzione, in Italia e nel bacino del Mediterraneo, appaiono abbastanza univoche ma sembra esserci tensione sui mercati. Le quotazioni sono piuttosto “ballerine” in questo periodo. Perchè? Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane?

Alcune incertezze sono state provocate dal rincorrersi di dichiarazioni contraddittorie sulle previsioni di produzione, ma ora sappiamo che l’annata oleicola si apre con quasi 700.000 tonnellate di giacenza in Spagna ed ottime previsioni di raccolto in Grecia, Tunisia ed in altri paesi. Anche in Italia i primi dati sono discreti. Comunque vada a finire in Spagna, e molti ritengono che andrà meglio di quanto alcuni dicano, la materia prima non dovrebbe mancare, tanto più in una situazione nella quale la crisi finanziaria “morde” sui consumi.

E' in vigore l'art 43 comma 1 bis del decreto sviluppo sul limite degli alchilesteri per l'olio italiano. Questo intervento legislativo alla vigilia della campagna sta creando problemi alle industrie olearie? Come vi stanno facendo fronte?

L’articolo 43 del decreto sviluppo non è mai stato notificato a Bruxelles e perciò non ha valore legale; tuttavia le nostre imprese, che già sono costrette a lavorare con qualche Organo di controllo continuamente in casa, non desiderano certo ulteriori problemi e perciò, a quanto si sente dire, gli oli nazionali che si avvicinano o peggio superano i 30 mg/kg ne risultano sviliti, perché non richiesti da chi confeziona “100% italiano”. Non a caso, le proteste contro l’articolo 43 provengono dal nostro mondo agricolo.

In tema di regole per il comparto la situazione appare molto fluida con iniziative che si stanno moltiplicando a Roma, a Bruxelles e a Madrid. L'impressione è che, seppure in maniera scoordinata, tutti si muovano per restringere i paletti relativamente alla categoria extra vergine. Cosa ci aspetta nelle prossime settimane?

Ci aspettiamo una restrizione dei paletti, naturalmente, perché prevale la forza politica di quanti pensano che restringendo i paletti si possano far salire i prezzi alla produzione. Se mi consente, tuttavia, mi sembra una soluzione sbagliata: l’olio d’oliva conta per l’1 o 2% nel mercato mondiale degli oli e grassi e ci sarebbe uno spazio enorme da conquistare, a favore di tutte le componenti della filiera, valorizzandone la sua unicità di olio ottenuto con trattamenti solamente meccanici e non raffinato e le sue virtù salutistiche e nutrizionali. Invece si cerca di diminuire le quantità di extravergine disponibile per il confezionamento ed al contempo da noi si continua in una guerra intestina tra le diverse componenti della filiera, che rischia di creare danni pesanti all’Italia.

Le polemiche non sono solo nella Vecchia Europa ma anche nel nuovo mondo. Dagli standard volontari australiani, al US olive oil marketing order, alle recenti prese di posizione del Sud Africa. Il tutto alla vigilia della riunione primaverile del Codex Alimentarius. E' possibile che gli equilibri faticosamente in costruzione in Europa possano essere rimessi in discussione da queste iniziative internazionali?

Certamente. In Australia e negli USA, ma potremmo dire la stessa cosa per molti altri paesi, si investe molto nell’olivicoltura ed ogni anno il Consiglio Oleicolo Internazionale mostra nelle sue statistiche il continuo aumento delle nuove produzioni, tutte ottenute con le tecniche più moderne, in modo da abbattere i costi di produzione, e con risultati qualitativi discreti ed a volte eccellenti. È comprensibile che questi nuovi produttori cerchino di privilegiare il proprio olio, rispetto alle importazioni. È meno comprensibile che noi, invece di fare sistema, si continui con contrapposizioni dannose a tutti, senza comprendere che l’industria può delocalizzare, l’agricoltura no!

A proposito di polemiche. E' ancora viva la tensione sull'articolo di Berizzi su Repubblica del dicembre 2011 e sui danni che avrebbe provocato. Le industrie olearie italiane hanno subito danni commerciali a causa dell'eco internazionale di tale notizia, in particolare in Cina?

Sono convinto che vi siano stati danni, e non a caso la Spagna ha la maggior quota di mercato in Cina, ma penso che si conti molto sulla estrema difficoltà di dimostrarli.

Oltre alla crisi economica globale, quanto questa incertezza, polemiche e instabilità sta incidendo sulle vendite nei mercati esteri? L'industria italiana olearia va sempre a gonfie vele nell'export?

Nel 2011 abbiamo superato per la prima volta la soglia psicologica delle 400.000 tonnellate, per un valore di circa 1,25 miliardi di euro; quanto è bastato ad acquistare un quantitativo d’olio pari all’export più le 225.000 tonnellate d’olio necessarie per rifornire i consumatori italiani, data la cronica insufficienza della produzione nazionale, ed avere ancora un piccolo avanzo. Nel 2012 stiamo consolidando queste posizioni e perciò non possiamo parlare di “gonfie vele”, ma la situazione complessiva è discreta. Certo preferiremmo incontrare meno ostacoli alla nostra attività, se non proprio fare sistema come gli Spagnoli, e vedere apprezzamento per il nostro contributo all’economia nazionale, piuttosto che rischiare di essere rimpianti tra qualche anno.

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GIANLUCA RICCHI

26 novembre 2012 ore 17:08

Il dramma della vicenda Berizzi, non soltanto dimostra la totale assenza delle associazioni di categoria, la risposta del Ranzani ne è la testimonianza, ma ancor più evidenzia come il Ministero non abbia preso una posizione netta portando alla luce l'intera vicenda. Quello che voglio dire è che le istituzioni avevano l'obbligo di replicare difronte a tali calunnie in difesa delle nostre imprese che, senza ragione alcuna, si vedevano bloccati sui porti di tutto il mondo containers di olio extra vergine di oliva in attesa di controlli aggiuntivi; Ovviamente questi danni economici sono andati sulle spalle degli imprenditori onesti che ancora oggi sono visti come Agromafiosi. I nostri competitors spagnoli sostengono che il Ministero non sia intervenuto perchè troppo impegnato a salvaguardare il made in italy o perchè davvero convinto di ciò che sosteneva il Berizzi nel suo articolo. Non so quali delle due scegliere onestamente, inutile dire quanto gravi siano entrambe.