L'arca olearia

I nuovi paesi olivicoli lanciano l'ultimatum: cambiare le regole o sarà battaglia nel 2013

C'è aria di tempesta nel mondo oleario internazionale. L'assemblea del Coi, tenutasi a Buenos Aires come segno di distensione, non ha in realtà placato gli animi. E' tregua solo fino alla prossima riunione del Codex Alimentarius

21 luglio 2012 | Alberto Grimelli

Il Consiglio oleicolo internazionale aveva deciso di tenere l'assemblea a Buenos Aires, in Argentina, all'inizio di luglio, come segno di attenzione nei confronti dei nuovi paesi produttori che, da qualche mese, rumoreggiano apertamente contro l'ostracismo del Coi nell'introduzione di nuove regole per combattere le frodi (Dags e pirofeofitine) e nell'armonizzare la normativa tenendo conto delle specificità territoriali (campesterolo).

Il direttore esecutivo Jean Louis Barjol, come già descritto nell'articolo Il Consiglio olivicolo internazionale prepara la rivoluzione, aveva cercato di rasserenare il clima spiegando che il Consiglio oleicolo è pronto ad autoriformarsi, dando maggiore peso e spazio anche alle nazioni consumatrici.

A fronte di tali aperture, però, non sono seguite uguali dimostrazioni di dialogo sul fronte dei parametri chimici e relativi limiti, dal che l'alzata di scudi del ministro dell'agricoltura argentino e poi la presa di posizione della North American Olive Oil Association.

Particolarmente duro il ministro argentino Lorenzo Basso che ha dichiarato “la necessità che il Coi si adegui alle esigenze della comunità internazionale, così potendo lottare tutti insieme contro le frodi.” Dito puntato anche contro le presunti contraddizioni del Consiglio oleicolo internazionale, reo di essere troppo debole contro i truffatori ma fin troppo ligio su alcune regole che non tengono però conto di specificità territoriali. “Sappiamo bene- ha dichiarato Basso – che il campesterolo è indice della presenza di oli di semi ma il limite di 4 mg/l è troppo basso per alcune realtà come l'Argentina e l'Australia che sforano tale soglia con oli prodotti naturalmente e genuinamente.”

A dar man forte al ministro argentino anche la North American Olive Oil Association che, dopo anni di silenzio, è tornata, il 17 luglio scorso, a reclamare uno standard nazionale federale, valido quindi in tutti gli Usa, per l'olio extra vergine d'oliva. Le richieste dell'associazionismo produttivo americano non sempre coincidono perfettamente con i dettami del Coi.

Il tutto è stato scandito da un vero e proprio ultimatum, lanciato da Argentina, Australia e Usa. Cambiare le regole sui parametri chimici entro la prossima primavera, altrimenti sarà battaglia in sede di Comitato sugli oli e grassi del Codex Alimentarius, convocato in Malaysia dal 25 febbraio al 1 marzo 2013.

Se, da una parte, vi sono venti di guerra, dall'altra non mancano gesti distensivi anche nei nuovi paesi produttori. Vi è la convinzione, almeno si spera, che una guerra fratricida nel mondo dell'olio d'oliva gioverebbe solo ai produttori degli altri oli vegetali. Al bastone, le minacce e gli ultimatum, ha infatti fatto seguito anche la carota, con la richiesta, avanzata da Uruguay e Cile, di entrare a far parte del Coi e le manifestazioni di interesse di Argentina e Brasile per far parte del Consiglio oleicolo internazionale.

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Donato Galeone

23 luglio 2012 ore 11:01

Sigg.Giovanni Breccolenti e Alberto Grimelli, nel gennaio 2012, grazie a Teatro Naturale, su similari argomenti furono centrati anche i miei modestissimi commenti.
Lei,Signor Giovanni, colloca sovente la sua "strategia" - da me condivisa - mirando verso tre essenziali "investimenti" che nel Suo commento, in parte, ripropone dopo sei mesi e che mi permetto richiamare:
- miglioramento qualità di prodotto;
- tracciabilità varietale tramite DNA;
- restrizione dei parametri chimici.
Quel mio lungo commento-risposta a Lei, Signor Giovanni,si completava con un "quarto investimento " - importante ed immateriale - quale è, sempre, la "divulgazione-informazione" mirata alla maggiore conoscenza di contenuto, verificabile, dai consumatori nel riconoscere gli "oli di olive di alta qualità" non solo indicati per legge comunitaria dalle "etichette".
Mi sono permesso di richiamare quel mio commento, provocato da una Sua interrogazione, Signor Giovanni, da me gradita per convenire con Lei che la metodica molecolare basata sull'analisi del DNA, pur di "complessa applicazione", caratterizza gli oli di oliva così come, ripeto, già la Regione Lazio, Arsial, CRA di Spoleto identificò anche la "varietà di olivi" mediante analisi molecolare, estraendo DNA, dalle foglie di campioni raccolti tra le cultivar del basso Lazio, tra le Province di Latina e Frosinone, compresa l'areale prevalente con varietà "carboncella" di Vallecorsa - aggregata tra piccoli produttori in partita unica ed in filiera locale - dall'Agricola Peronti Lucia.
Sono queste, visibili, le cultivar di olivi vegetanti in Italia, già identificati o da identificare, utilizzando e promuovendo "centri di ricerca comprensoriali" collegati con le nostre Università e con gli olivocoltori che, regionalmente, già sono impegnati a migliorare le produzioni in qualità (volontariamente disciplinate e documentate, annualmente, con i quaderni di campagna)da "aggregare" - lungo la filiera - con la volontaria "partecipazione sociale" anche alla vendita del prodotto ottenuto dalle olive fornite e trasformate in olio, certificato e confezionato, da offrire ai consumatori.
Sono questi, la maggioranza degli olivocoltori, che con le oltre 500 cultivar italiane già salvaguardano - a costi diretti e non riconosciuti - il nostro agrosistema ambientale e paesaggistico, esaltandone il valore ecologico pur con le "ripetute dichiarazioni parolaie" - più che prevalenti - delle istituzioni nazionali e regionali preposte - con Ministro e Assessori - alla tutela ambientale, che lo rilevano - oggettivamente - non solo a patrimonio italiano.
Così come saranno, a mio avviso, le "aggregazioni di prodotto" - tracciati e certificati - non escludendo la metodica del DNA che, organizzate, possono e potranno ricostruire la "vetrina italiana degli oli di olive" prodotti e confezionati dalle nostre filiere locali, comprensoriali e regionali.
Condivido, Signor Giovanni, l'eccezione che non è la regola italiana, pur legittimata da normative comunitarie, che "dentro all'olio italiano non c'è solo italiano" così come non si escludono le "incertezze di qualche DOP".
Ecco, quindi, il valore divulgativo e culturale (più conoscenze) di Teatro Naturale nel promuovere, ricerca, informazione e confronto - tutti utilissimi - per concorrere a dare e garantire "più certezze tra "produzione e consumo" non solo nella "vetrina degli oli extravergini di olive".
E, con essa vetrina, rappresentare gli "oli di olive italiane di alta qualità" nei suoi contenuti alimentari e salutistici - dichiarati e verificati - anche dai consumatori che saranno rappresentati, per l'Italia, nel Consiglio Olivicolo Internazionale.
E' complicato ? E' difficoltoso ? Certamente non sarà facile ma non è neppure impossibile. Proviamoci con impegno, organizzandoci per comprensori regionali.
Teatro Naturale già con il suo "decalogo sui frutti di olivi" e con gli appelli "unitari" - ripetuti- del suo direttore Caricato è, da anni, riconosciuto quale specifico mezzo di qualificata informazione olearia oltre ad essere promotore sia di aggregazioni di prodotto che di produttori, preferibilmente associati in filiera, per produrre e vendere "oli di olive di alta qualità",tracciati e certificati nei loro contenuti di "succo di olive".
Donato Galeone

giovanni breccolenti

21 luglio 2012 ore 11:21

Ma quante problematiche si risolverebbero introducendo la metodica del DNA per il riconoscimento varietale ma soprattutto per il riconoscimento della presenza di oli estranei? Se la precisione è di circa il 98% per il riconoscimento varietale (l' 1-2% è il DNA dell'impollinatore)è del 100% se si tratta di vedere la presenza di olio estraneo.
Abbiamo a portata di mano la soluzione di tante questioni ma da tutte le parti(associazioni produttori,grande produttorio,organi istituzionali interessati,ma soprattutto stampa del settore),in questa direzione, silenzio quasi assoluto.
Qualcuno sostiene che ha delle lacune,che è di difficile applicazione? Benissimo,andiamo a verificarla,troviamo questi presunti buchi e proviamo a tapparli (sempre che esistano) dov'è il problema.Ma il disinteresse e il silenzio fa pensare veramente che oltre alle chiacchiere e la presunta indignazione per qualche questione,non si vada,le metodiche che potrebbero dare piu' certezze a questo comparto sembrano non interessare.E giu' a battersi per il campesterolo o al fatto che dentro all'olio Italiano non c'è solo Italiano o che qualche Dop è incerta.Sarebbero risolti ma a noi piace farci male.