L'arca olearia
Extra vergine a denominazione d'origine. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Il monitoraggio effettuato da Federdop delinea un quadro di un segmento di mercato ancora in cerca di una chiara identità e collocazione. Nonostante le tante criticità emerge qualche lampo nel buio
07 aprile 2012 | R. T.
L'Italia è il paese che vanta il maggior numero di denominazioni d'origine per l'extra vergine d'oliva. Siamo a 43, compreso l'Igp Toscano. Abbiamo quasi doppiato la Grecia (27 Dop) e la Spagna (24 Dop).
Un traguardo ragguardevole, ma la vera domanda è: riusciamo a valorizzare queste produzioni di nicchia e d'eccellenza? I produttori a denominazione d'origine spuntano sul mercato condizioni decisamente vantaggiose, all'altezza delle aspettative?
Stando ai dati del monitoraggio sugli extra vergini a denominazione, effettuata da Federdop, l'Italia si presenta spaccata a metà, con il centro nord che riesce a spuntare prezzi interessanti, dai 22/23 euro/kg della Brisighella fino ai 6/7 euro/kg delle denominazioni toscane e laziali. Man mano che ci si sposta a sud, però, le quotazioni scendono vertiginosamente, arrivando a una quotazione media di conferimento di 3,14 euro/kg che sale di 50 centesimi nel caso di vendita a intermediario o grossista.
Sugli scaffali della Grande Distribuzione la situazione appare in tutta la sua criticità con gli oli Dop che rappresentano l'1%, tra l'altro con una flessione di venduto dell'1,2% nel 2011 rispetto al 2010. Il 33% degli oli a denominazioni è venduto in Lombardia, a seguire Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Val d'Aosta e Toscana. Non solo vendite elevate ma anche prezzi elevati a scaffale. Nel 2011 in Trentino mediamente un litro d'olio Dop è stato venduto a 13 euro.
Non è però la GDO il canale di vendita privilegiato per gli oli a denominazione. La commercializzazione diretta al consumatore rappresenta infatti il 32%, poco superiore a quella della GDO. Buone performance anche nel mondo della ristorazione, dove viene esitato il 19%. A chiudere la classifica le vendite nei negozi tradizionali.
Una nota positiva del mondo delle denominazioni è certamente il grado di istruzione del conduttore, per lo più diplomato (41%) o laureato (28%), segno evidente che si avvicinano al mondo Dop le nuove leve, le forze fresche dell'olivicoltura nazionale. A testimoniarlo anche il fatto che a produrre oli a denominazione vi sono pochi pensionati, 5% al centro nord, fino al 9,5% delle isole.
Si tratta inoltre di tipologie di aziende, di solito, ben strutturate, società di capitali in maggioranza, specialmente al nord, mentre al sud dominano ancora le ditte individuali. Le società cooperative rappresentano il 6% del mondo a denominazione.
Ne esce un mondo in chiaroscuro, con pecche e punti critici che anche il presidente di Federdop non si è sottratto dal manifestare: “vi sono molte potenzialità inespresse, occorre uno sforzo aggiuntivo. Occorre spiegare al mondo della ristorazione cos'è Dop e qual'è il suo valore aggiunto. Occorre anche una maggiore sinergia tra consorzi affinchè si riduca il divario prezzo tra gli oli Dop, da nord a sud. Come spiegare infatti al consumatore che due oli a denominazione, ugualmente certificati, costano l'uno 20 euro e l'altro 4,50 euro al litro?”
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?