L'arca olearia
Per far crescere l'olivicoltura italiana c'è bisogno di idee
Il mondo cambia, le esigenze dei consumatori pure. I mutamenti climatici obbligano a riconsiderare abitudini e tradizioni consolidate. Occorre volgere lo sguardo a cosa accadrà di qui a dieci anni. Intanto le proposte di Enzo Perri, Riccardo Gucci, Tiziano Caruso, Eddo Rugini e Marzia Migliorini
07 aprile 2012 | Alberto Grimelli
Senza innovazione non c'è crescita. E' una frase che sentiamo ripetere spesso nel corso di talk show, sui giornali, in tv. Un ritornello a cui siamo ormai così avvezzi da non considerarlo più. E' diventata una frase fatta, esattamente come “fare sistema”.
Per dirla con le parole di Sandra Mondaini: “che noia, che barba... che barba, che noia...”
Occorre però guardare un po' più in profondità rispetto ad alcuni presunti stereotipi, magari cercando di capire le ragioni di chi, per primo, ha utilizzato questa espressione, senza limitarci all'abuso che ne è stato poi fatto.
Le esigenze del consumatore cambiano, si modificano ed evolvono. Gli stili di vita e di consumo si trasformano e con essi devono mutare anche i prodotti, se vogliono continuare ad avere uno spazio di mercato. Rimanere uguali a sé stessi significa rischiare di estinguersi.
Non è solo l'umanità, in tutte le sue espressioni e sfaccettature, a evolvere. La nostra amata terra cambia. Il suo clima, che sia per cicli naturali o per la pressione antropica, è in divenire. L'olivicoltura deve adeguarsi, senza ancoraggi o retaggi del passato che risultano anacronistici.
Come cambiare? Quali strade prendere? Quali errori evitare?
Certamente il passato ci può aiutare. Lo studio dei testi tecnici e scientifici può sicuramente offrirci spunti interessanti, certe tematiche sono già state affrontate, ma volgere solo lo sguardo indietro è pericoloso anche solo perchè si rischia di essere superati da chi, con lungimiranza, guarda avanti, al futuro.
Mai come in questo momento il settore ha bisogno di idee, di prospettive e di ricerca.
Mai come in questo momento c'è bisogno del contributo di tutti: istituzioni, olivicoltori, frantoiani, imbottigliatori e industriali, associazionismo, mondo accademico e mass media.
Mai come in questo momento, tuttavia, uno di questi attori è a rischio. Il settore della ricerca è sull'orlo del collasso e non si può pensare che il comparto oliandolo possa farne a meno.
Ecco perchè, a Olio Capitale, ho voluto lanciare l'appello “Non lasciamo morire la ricerca oleicola italiana”, ecco perchè sono qui, oggi, a dar voce ad altri illustri esponenti di questo mondo. Attraverso le loro parole, i loro progetti si può comprendere realmente, meglio di mille editoriali, che senza innovazione non c'è crescita.
Tre le domande poste: se venissero ripristinati i fondi alla ricerca oleicola italiana, quale progetto, avente ricaduta operativa e applicativa per il settore produttivo, potrebbe e vorrebbe realizzare? Quali obiettivi si prefiggerebbe? In quanto tempo si potrebbe, prevedibilmente, raggiungere gli obiettivi prefissati?
Enzo Perri, Centro di Ricerca per l’Olivicoltura e l’Industria Olearia
Poco più di un anno fa, su esplicita richiesta delle Regioni e degli attori della filiera, il Tavolo di filiera promosso dal MIPAAF per il varo del Piano di Settore Olivicolo oleario aveva inizialmente previsto il finanziamento di un progetto di ricerca sulla rintracciabilità degli oli italiani. Sfortunatamente, la penuria di risorse ha impedito al Ministero di varare un simile progetto.
Gli obiettivi prioritari di un Progetto sulla rintracciabilità degli oli italiani dovrebbero essere:
- la validazione di recenti ed innovative metodiche analitiche, complementari, fondamentalmente basate sull’analisi chemiometrica dei dati chimici e chimico-fisici ottenuti con varie metodologie analitiche (gascromatografia, risonanza magnetica del protone e del carbonio, spettrometria di massa applicata al rapporto isotopico del carbonio, dell’idrogeno e dell’ossigeno, all’analisi dei metalli in tracce, ed ai composti volatili), in grado di verificare la corrispondenza tra ciò che è dichiarato in etichetta ed il contenuto corrispondente;
- lo studio ed il monitoraggio degli alchil esteri presenti o che si formano in oli di sicura provenienza ed identità (prodotti o reperiti da enti pubblici di ricerca e università);
- la creazione di una o più banche dati che coordinino, validino e valorizzino tutti i metodi, i dati ed i risultati suddetti.
Considerata la complessità del panorama della filiera nazionale, le esigenze statistiche del campionamento, il verificarsi di annate di carica e di scarica dell’olivo e di variazioni climatiche significative, il progetto dovrebbe durare almeno tre anni.
Riccardo Gucci, Università di Pisa
Progetti ve ne sono tanti, ma mi viene subito in mente la messa a punto di metodi ed indici per la valutazione in tempo reale o quasi dell'andamento del processo di maturazione dei frutti al fine di determinare il momento ottimale di raccolta. Attualmente in olivicoltura l'epoca di raccolta è stabilita in modo empirico e dettata prevalentemente da fattori tecnico-organizzativi, mentre vi è bisogno di informazioni quantitative sulle variazioni dei diversi componenti della qualità. Molte tecnologie sono già disponibili e si tratta di svilupparle in funzione delle caratteristiche delle diverse varietà di olivo. Un progetto triennale consentirebbe di ottenere risultati generalizzabili.
Tiziano Caruso, Università di Palermo
Note le difficoltà di reperire manodopera per la raccolta del prodotto e per la potatura delle piante, qualora si dovessero rendere disponibili risorse per la ricerca le destinerei allo sviluppo di nuovi modelli d'impianto che favoriscano la meccanizzazione della raccolta con macchine che operano "in continuo". Mi sto occupando della suddetta tematica da una decina di anni e mi farebbe piacere avere la possibilità di saggiare, nei vari contesti colturali del nostro Paese, sistemi d'impianto ad alta densità (800-1200 piante/ha), basati su piante delle principali cultivar del panorama varietale italiano, innestate su portinnesti clonali (e non più su sconosciuti semenzali) in grado di contenere la crescita vegetativa ("nanizzanti"). Relativamente a tale aspetto ho infatti individuato un paio di soggetti che hanno risposto positivamente a screening condotti con diverso approccio metodologico (morfologico, fisiologico; biomolecolare). Le prove sono state però condotte su piante allevate in contenitore, per cui mancano ancora le fondamentali verifiche di campo. In collaborazione con il settore privato, dedicherei inoltre maggiori risorse allo sviluppo di macchine, attualmente "prototipi" più o meno definiti, per la raccolta meccanica, e per la potatura, in "continuo". Molto probabilmente istituti di ricerca italiani, con competenze diverse, potrebbero collaborare ad un programma di ricerca nazionale multidisciplinare finalizzato al raggiungimento dei suddetti obiettivi, Alcuni di essi (collaudo delle macchine) potrebbero essere ottenuti nel breve termine (5 anni); altri (verifiche agronomiche sui soggetti nanizzanti) nel medio (10 anni) ed altri ancora (messa a punto di nuovi modelli colturali) nel lungo (15 anni) periodo. Purtroppo in Italia, tranne rare eccezioni, vengono finanziati progetti di durata bi-triennale che, di fatto, escludono qualunque possibilità di intraprendere attività di ricerca agronomica e/o di miglioramento genetico, due settori oggi fondamentali ai fini dello sviluppo di nuovi modelli olivicoli con elevato grado di automazione delle pratiche colturali.
Eddo Rugini, Università della Tuscia
Portare a termine il sequenziamento del genoma e della trascrittoma dell’olivo. Intensificare le attività di miglioramento genetico, impiegando anche le conoscenza della genomica e trascrittomica, e utilizzando tutte le tecniche a disposizione (tradizionali e moderne). Si potrebbero così ottenere piante di ridotte dimensioni, resistenti alle principali patologie e tolleranti gli stress ambientali, producenti olio di elevate e diversificate qualità organolettiche e nutritivi, aumento della produzione di nuovi metabolici utili alla salute umana. La genomica e la trascittomica potrebbe essere di valido aiuto nella selezione e nelle attività agronomiche che prevedono diverse olivicolture tra le quali impianti ad elevata densità con cv importanti del nostro panorama varietale ma innestati su portinnesti nanizzanti. Se si dovesse portare a termine il genoma e il trascrittoma dell’olivo, molti obiettivi potrebbero essere raggiunti in 5-6 anni, altrimenti almeno più del doppio 10-20 anni.
Marzia Migliorini, Laboratorio Merceologico CCIAA Firenze
Negli anni passati, in collaborazione con alcuni enti di ricerca nel territorio toscano tra cui soprattutto l’Università degli Studi di Firenze e il CNR, abbiamo lavorato a numerosi aspetti inerenti la qualità dell’olio extravergine di oliva sempre con un approccio applicativo di filiera. In particolare ci siamo dedicati allo studio delle maturazione tecnologica delle olive caratteristiche del territorio toscano, ad alcuni aspetti legati alla trasformazione in frantoio, alla caratterizzazione del prodotto finito e alla sua conservazione/stabilizzazione. Tra i tanti aspetti che ancora oggi devono essere approfonditi della filiera dell’olio di qualità, un progetto vorremmo che fosse ripreso e completato proprio per la ricaduta operativa e applicativa al settore. Si tratta di un progetto, cofinanziato dalla Regione Toscana, coordinato dal Cra Oli di Pescara, con la partecipazione dell’Università Tor Vergata di Roma e Metropoli Azienda Speciale della CCIAA di Firenze-Divisione Laboratorio Chimico Merceologico, con l’obiettivo di sperimentare alcune tecniche analitiche semplici, rapide e riproducibili da affiancare alla valutazione del panel test. L’attuale metodologia di valutazione delle caratteristiche sensoriali dell’olio di oliva vergine mira a stabilire l’appartenenza di un olio ad una delle categorie commerciali, prevedendo l’impiego di personale addestrato al riconoscimento olfattivo. Pur riconoscendo un ruolo di estrema rilevanza ai comitati di assaggio nella definizione della classificazione merceologica e nella valutazione delle caratteristiche di qualità degli oli, può accadere che in alcune situazioni gli alti costi per la formazione e il mantenimento della performance degli assaggiatori, la difficoltà a riunire insieme un numero significativo di persone, il numero limitato di campioni assaggiabile in ogni seduta e la scarsa riproducibilità tra le valutazioni effettuate da diversi comitati di assaggio su medesimi campioni, riconducibile ad un training disomogeneo degli assaggiatori, siano di ostacolo ad una corretta valutazione del prodotto. In conseguenza di ciò, si verifica la difficoltà a garantire e proteggere la qualità del prodotto, prevista dal Reg. CEE 2565/91 e successive modifiche ed integrazioni, presente nel mercato nazionale ed estero e, quindi, la tutela del consumatore, anche in considerazione del fatto che le altre analisi previste dal regolamento non mettono in evidenza la presenza di difetti sensoriali. L’individuazione di composti caratteristici dei difetti fondamentali di un olio vergine di oliva con metodologie analitiche cromatografiche e sistemi olfattivi artificiali, capaci di caratterizzare una miscela di odori o addirittura il flavour di un prodotto alimentare senza che le singole componenti volatili debbano essere preventivamente separate, permetterebbe un rapido, riproducibile screening degli oli per quanto attiene alla qualità sensoriale. Il progetto già realizzato ha raggiunto risultati interessanti, ma per renderlo applicativo necessiterebbe di essere validato in un triennio di sperimentazione con un numero di campioni di olio statisticamente significativo e con caratteristiche definite e distinguibili.
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08 aprile 2012 ore 09:32Sig. Grimelli vorrei aggiungere che il gruppo di ricerca della dottoressa Baldoni del CNR di Perugia ha messo a punto un metodo rivoluzionario che unito ad altri metodi puo' dare una grande mano all'olio Italiano e a tutta la tracciabilità di filiera: l'estrazione di frammenti di DNA dall'olio,la loro amplificazione e la conseguente lettura per risalira alla varieta' di olivo a cui appartiene quel DNA.Oggi la ricerca,con mille difficoltà ha gia' tracciato i profili genetici di duecento varietà,con qualche investimento in piu' si potrebbe tracciare la gran parte del patrimonio genetico,o almeno quello piu' rappresentativo ed ecco che molti dubbi sulle provenienze di oli o allusioni che qualcosa di non proprio nostro finisca nell'olio a marchio Italiano,sparirebbero(per non parlare dei dubbi sull'aggiunta di altri oli non di oliva).Investire su una metodica cosi' importante e renderla metodo ufficiale sarebbe importante (ovviamente per chi fa le cose come si deve).
edoardo costantini
07 aprile 2012 ore 15:43C'è bisogno di idee per far crescere l'olivicoltura italiana? Bene,presso il CRA-ABP, Centro di ricerca per l'agrobiologia e la pedologia di Firenze, sono state realizzate ricerche che hanno dimostrato l'effetto del Terroir sulla qualità dell'olio di oliva toscano e la possibilità di utilizzare gli isotopi dello stronzio per la tracciabilità dei prodotti, che hanno dato risultati molto incoraggianti. Legare la produzione al territorio è una idea che si è dimostrata vincente per la vite, potrebbe esserlo anche per l'olivo!
Nicola Ferraro
07 aprile 2012 ore 15:04Voi potete fare e rifare molti convegni sull'ulivicoltura ma se non cambiate la mentalità negli olivicoltori fra 10/20 anni i nostri oliveti daranno solo buona legna da ardere. E' necessario progettare un programma di ristrutturazione degli oliveti. Le piante secolari dovranno essere sostituiti da impianti tecnologicamente avanzati per far diminuire i costi, aumentare la qualità del prodotto finale ad un prezzo accessibile da tutti i consumatori. La visione dell'olio di elite dura una campagna olearia. Se non lo farà l'Italia lo farà la Spagna, la Grecia.... lo faranno gli stati uniti, l'Australia e tante altre nazioni che guardanon ammirazione ai nostri prodotti. Cercate di convincere gli olivicoltori a cambiare prima che cambieranno gli altri. Colamais
Alberto Grimelli
08 aprile 2012 ore 14:34Sto notando con piacere che sta iniziando un proficuo dibattito sul tema. Lo scopo di questi articoli, infatti, non era soltanto presentare i progetti e le idee di ricercatori e gruppi di lavoro italiani ma anche quello di far capire quanto e quale fermento di idee vi sia nel mondo accademico del nostro paese, troppo spesso frustrato da carenza di fondi.
Personalmente conosco e apprezzo il lavoro della Prof.ssa Baldoni, che invitai a Olio Capitale nel 2009, proprio per accennare al progetto di ricerca sull'identificazione genetica delle varietà di olivo italiane. Allo stesso modo riconosco il valore di tutti gli interpellati in queste due puntate e in quelle che seguiranno.
Non ho alcuna intenzione di lasciar cadere l'appello "non lasciamo morire la ricerca olivicola italiana" nel vuoto, anche se riconosco che si tratta di una battaglia di lungo termine, da condurre un passo alla volta.
Personalmente, inoltre, non conosco altro metodi per far cambiare mentalità agli olivicoltori, se non spronarli all'innovazione, facendone cogliere i benefici, anche aprendo loro una finestra su quanto sta accadendo a livello internazionale. Sono tutt'altro che pessimista. Vi saranno imprenditori che supereranno l'impasse del momento, altri dovranno chiudere, alcuni nuovi subentreranno. Probabilmente dovremo abbandonare l'idea di un'olivicoltura che si tramanda di generazione in generazione, insieme con gli olivi, abbracciando un modello più aziendale e meno familiare. Si perderanno per strada alcuni valori e identità, se ne guadagneranno altri.
So di per certo che Teatro Naturale continuerà ad esistere per supportare e stimolare il sistema olivicolo-oleario italiano. Un impegno preso fin dal 2003, da compiere fino in fondo.