L'arca olearia
E' l'industria a boicottare l'extra vergine di nicchia?
Vi può essere il legittimo sospetto che i grandi marchi non vogliano la nascita di altro mercato, quello degli oli artigianali. Corrisponde al vero? Lo abbiamo chiesto ai protagonisti: Gennaro Forcella, presidente Federolio e Claudio Ranzani, direttore Assitol
18 febbraio 2012 | Alberto Grimelli
Dopo l'inchiesta sui prezzi e costi dell'industria/commercio, dopo l'auspicio della nascita di un mercato di nicchia, in cui anche il consumatore più esigente possa veder soddisfatte le sue aspettative, ho ricevuto critiche, da entrambe le parti: industria/commercio e olivicoltori/frantoiani.
Apprezzamenti per il ragionamento in sé, giudicato serio e condivisibile, ma molte perplessità sulle possibilità che anche l'olio possa avere un mercato di nicchia e un mercato di massa. Su questo vi è una straordinaria comunità di idee, trasversale, in tutta la filiera.
Alcuni esponenti dell'industria mi hanno detto che gli olivicoltori e i frantoiani sono troppo legati al loro ruolo di produttori per essere dei buoni commercianti, confrontandosi col mercato e le sue regole.
Olivicoltori e frantoiani sostengono che industria e commercio boicotteranno sempre la nascita di un vero mercato di nicchia per paura di perdere venduto e fatturato.
Mi è quindi venuto il legittimo sospetto che entrambi questi fronti siano talmente abituati a essere contrapposti da essersi formati degli stereotipi e dei preconcetti che inibiscono il dialogo e che provocano arroccamenti.
In questi casi è bene fare un passo indietro, per muoverne due avanti.
La domanda, semplice, banale, forse un po' ingenua, da porre a industriali e commercianti è allora: volete davvero boicottare il mercato di nicchia?
Le posizioni di Federolio e Assitol
Gentile Presidente,
la presente per invitarla a intervenire sul tema dell'alta qualità oliandola, ovvero di extra vergini di nicchia. Nel suo intervento in particolare mi interesserebbe che rispondesse ai seguenti quesiti: vuole il commercio oleario boicottare strumenti, anche normativi, per la valorizzazione dell'extra vergine prodotto dai piccoli olivicoltori e frantoiani? Siete voi ad opporvi a che si possa inserire in etichetta il quantitativo di polifenoli dell'olio? Vi opporreste affinchè vengano messi a disposizione di olivicoltori e frantoiani dizioni aggiuntive in etichetta o altro che possa essere utilizzato come leva di marketing per creare valore aggiunto?
Spero di essere stato sufficientemente chiaro ed esaustivo con le mie richieste.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
Caro dott. Grimelli,
sono piuttosto sorpreso dal contenuto della sua nota dato che mai la Federolio ha assunto posizioni che possano, anche solo lontanamente, essere accostate a intenzioni del tipo di quelle ipotizzate nella nota stessa.
Il termine “boicottaggio” è poi del tutto estraneo alla pratica della Federolio che al più – ma non è certo il caso delle materie da lei evocate – si è opposta con fermezza a certe misure che potevano minare qualità e genuinità degli oli di oliva. Ricordo, ma solo a titolo di esempio, che ci opponemmo a certe modifiche del reg. Cee 2568/91 (ad es. il delta 7) che potevano favorire la contaminazione con oli di semi.
Credo che gli strumenti di cui lei parla richiedano un certo approfondimento tecnico e giuridico e su tale piano si aprirà certamente un dibattito. Ma su un piano generale ben venga tutto ciò che può valorizzare gli oli extra vergini di oliva ivi compresi quelli che lei definisce di nicchia. La nostra disponibilità in questo senso – credo - l’abbiamo largamente dimostrata con la commercializzazione delle d.o.p. e dei bio.
Rimango a sua disposizione per ogni ulteriore approfondimento e le porgo i migliori saluti.
Gennaro Forcella
Presidente Federolio
Sentiamo Claudio Ranzani, direttore Assitol, al telefono. E' reduce da un recente incidente e gli auguriamo di riprendersi presto. Anche per lui le stesse domande.
- Vuole l'industria olearia boicottare strumenti, anche normativi, per la valorizzazione dell'extra vergine prodotto dai piccoli olivicoltori e frantoiani?
No
- Siete voi ad opporvi a che si possa inserire in etichetta il quantitativo di polifenoli dell'olio?
No
- Vi opporreste affinchè vengano messi a disposizione di olivicoltori e frantoiani dizioni aggiuntive in etichetta o altro che possa essere utilizzato come leva di marketing per creare valore aggiunto?
Tutto ciò che è valorizzazione e marketing del prodotto non ci vede minimamente contrari. Si deve valorizzare naturalmente ciò che è vero.
Le dichiarazioni sono chiare e inequivocabili.
Tra il dire e il fare c'è certamente di mezzo il mare, ma le parole del presidente Forcella e del direttore Ranzani aprono non solo uno spiraglio ma spalancano una porta se, ai prossimi tavoli istituzionali, qualcuno vorrà aprire un serio confronto e dibattito sul tema delle leve di marketing, e relativa normativa, per dar vita a un mercato di nicchia dell'olio extra vergine d'oliva.
Commenta la notizia
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Accedi o RegistratiEMILIO FRANCIOSO
20 febbraio 2012 ore 12:34Sig. Breccolenti, esiste un codice per l'assaggio universalmente riconosciuto dal COI, incamerato nella normativa della Comunità europea e recepito su scala nazionale attraverso regolamenti attuativi specifici (evito di elencare le norme visto che sono certo che ne è a conoscenza meglio del sottoscritto). Per chi ancora non ne fosse a conoscenza, in quei disposti esistono le elencazioni dei difetti e delle caratteristiche pregevoli degli oli extravergini e non. Il lavoro degli assaggiatori merita più spazio e credibilità, a cominciare dalle scuole. Le dirò di più, sono tra quelli che si batte affinché il Ministero dell'Istruzione, di concerto con i Ministeri della Salute e dell'Agricoltura, renda obbligatorio nelle scuole primarie un percorso per favorire la conoscenza degli ingredienti della dieta mediterranea. Esistono già diversi progetti in tal senso, ma a macchia di leopardo e basati sulla buona volontà dei singoli insegnanti... Non basta.
Agli assaggiatori dunque il compito di entrare nelle scuole per insegnare a distinguere due cose semplicissime: le note positive di amaro e piccante. Non complichiamoci la vita, il resto verrà da se negli anni, quando quel bambino-consumatore avrà potuto scegliere di diventare un consumatore adulto "consapevole". Sarà la sua capacità di essere e sentirsi libero a decidere del suo futuro nutrizionale, dove, probabilmente, un pezzo di libertà sarà purtroppo vincolato alla capacità del suo portafoglio.
Se poi volessimo entrare nel merito di altre questioni ossia le pressioni per regolarizzare l'odore di riscaldo come una peculiarità di un tipo di extravergine, le rispondo dicendo che viviamo comunque in un mondo retto da piccoli e grandi interessi, dove sta al buon senso mettere in moto dinamiche preventive capaci di rispondere adeguatamente, anche a norme un po' zoppe. Avremo sempre chi dirà "sì", chi dirà "no", chi "ni", chi "so"... Ma alla lunga se dovremo arrivare a difendere il nostro "grasso nazionale" da altre sostanze grasse lo potremo fare tutti insieme appassionatamente rilevando le potenzialità della dieta italica dove l'extravergine d'oliva è una costante dal potere terapeutico. Lo abbiamo detto, letto, sentito migliaia di volte, ma ancora troppo poco si è fatto per esaltare questo valore che dovrebbe far crescere il consumo sia dell'extravergine eccellente sia di quello onesto da GDO.
giovanni breccolenti
20 febbraio 2012 ore 08:41Sig. Francioso,i grandi industriali dell'olio non temono la nicchia,casomai temono il consumatore che sa riconoscere l'olio (e forse neanche,anche se il consumatore è sempre meglio tenerlo lontano dalla conoscenza).La grande industria sa benessimo che piu' di tanto non potra' aumentare il numero dei "consumatori consapevoli" perche' è molto difficile imparare a riconoscere pregi e difetti dell'olio e occorre molto tempo e addestramento(per questo è fondamentale agire negli asili e nelle scuole).Il punto è,anche se si arrivasse nell'utopica scelta di inserire una materia o dei corsi paralleli di educazione alimentare nelle scuole,chi andrebbe a insegnare nelle scuole e come insegnerebbe l'olio extravergine? Quali oli verrebbero esaltati,il profumo di pipi' di gatto o topo come verrebbe catalogato? Gli oli dolci, poco piccanti, stramaturi,come verrebbero descritti?E come e con che forza verrebbero rimarcate le incredibili differenze tra oli comunque extravergini?
EMILIO FRANCIOSO
20 febbraio 2012 ore 01:36Parto da due dati di fatto per sviluppare una mia considerazione: i grandi industriali dell'olio in termini di mercato non possono temere i piccoli produttori di nicchia; i piccoli produttori di nicchia non hanno interesse per il mercato industriale. Prendendo questi due fatti inconfutabili vale la pena formulare la domanda: può esistere una reciproca vantaggiosa relazione tra questi due mondi? La risposta a parer mio è sì. La grande industria dovrebbe appoggiare ed aiutare chi produce alta qualità perché in questo modo offre un significato valoriale più interessante al consumatore che al di là delle preferenze personali avrà modo di apprezzare l'olio d'oliva per la ricchezza di connotazioni espresse dal prodotto rispetto a qualsiasi altro grasso alimentare. In sostanza, il problema non è vedere dei "probabili avversari" tra quelli che da sempre sono degli "improbabili amici". La chiave sta nel trovare una politica della comunicazione che leghi gli interessi diversi offrendo ritorni economici a entrambi. Il pianeta olio d'oliva ha bisogno di ricette politiche capaci di ridare impulso ad un settore che rischia di implodere tra le chiacchiere e le polemiche degli addetti ai lavori. Tutto ciò, lo dirò allo sfinimento, non potrà prescindere da una campagna di educazione alimentare da condurre nelle scuole primarie.
Alberto Grimelli
19 febbraio 2012 ore 14:41Teatro Naturale, o il sottoscritto, certamente non vogliamo santificare l'industria o il commercio. Ci chiediamo, allo stesso modo, se sia corretto demonizzarli e criminalizzarli, quasi che fossero l'origine e il focolaio di ogni male del settore oleario.
L'industria e il commercio oleario hanno le loro colpe. Certi atteggiamenti, certe prese di posizione, certe iniziative sono poco condivisibili. Il sottoscritto, per esempio, ha sempre contestato l'utilizzo da parte dell'industria di oli di grande qualità, di nicchia quali leve di marketing e strumenti di promozione a favore dell'immagine aziendale. Si tratta di operazioni che, sotto il profilo meramente economico, sono in perdita ma che danno vantaggi sotto altri fronti. Comprare un olio a 8 euro per rivenderlo a 6, perdendoci 2 euro (inseriti in budget come iniziativa promozionale), è legittimo ma distorsivo del mercato perchè, evidentemente, nessun piccolo produttore di nicchia può permettersi di perdere 2 euro sul proprio prodotto.
Si possono fare critiche, si possono segnalare e correggere le storture ma bisogna cominciare da casa propria.
Ogni tanto, infatti, ho l'impressione che si voglia vedere la pagliuzza nell'occhio dell'”avversario” e non si veda la trave nel proprio. Non esiste solo quanto segnalato da Pierluigi Marino. Col mio esempio sull'Igp Toscano, che ha limiti sui parametri chimici ben superiori alle richieste di “tagli” che vengono da più parti, volevo significare proprio questo. Prima di chiedere agli altri, pensiamo a rendere trasparente, forte e credibile il settore produttivo. Occorre una “bonifica”. Dalle “piccole furbate” di tagliare l'olio vecchio con quello nuovo a inizio stagione così da vendere bene le giacenze, fino a correggere disciplinari di produzione troppo antiquati o lassisti. Prima di chiedere campagne di promozione da milioni di euro bisognerebbe sforzarsi in prima persona per acculturare i consumatori.
Per ripartire con maggiore slancio serve anche un po' di autocritica.
PIERLUIGI MARINO
19 febbraio 2012 ore 09:20Cari lettori di T.N.
La crisi del settore oleario sicuramente non proviene soprattutto dall'industria o dalla non conoscenza del prodotto di qualità, oggi non dimenticatevi che in italia abbiamo sempre avuto la differenza tra olio commerciali e olio di nicchia, il problema che la maggior parte dei produttori di nicchia vedendo un ottimo riscontro sul mercato , ma la produzione non sufficiente nel soddisfare la domanda hanno pensato di acquistare il prodotto, secondo Voi l'olio acquistato quale sarebbe...
Io molte volte sono stato al Sol e da visitatore parlando con molte aziende espositrice riscontravo che la loro produzione annua risultava al max di ql.50,pertanto chiedevo se erano interessati ad acquistare olio , la loro risposta era che già acquistavano l'olio da un commerciante, tramite alcuni amici abbiamo individuato il soggetto , l'olio commercializzato risulta il classico venduto all'ingrosso
cioè deodorato spagnolo arricchito con l'olio di coratina pugliese.
Pertanto la guerra contro l'industria non può essere mai vinta, perché anche se viene applicata una nuova normativa il loro prodotto risulta regolare , ma noi produttori non riusciremo mai ad avere un prodotto perfetto rispettando i valori chimici da noi stessi imposti.
Distinti Saluti
Pierluigi Marino
giovanni breccolenti
19 febbraio 2012 ore 08:58Sig. Montini,sul fatto che i produttori affinerebbero le loro capacita' per produrre sempre meglio se il consumatore richiedesse questo e sarebbe disposto a spendere quei 40-50 cent al giorno in piu,io non ho dubbi.E' ovvio che anche gli altri paesi, con una richiesta di oli di qualita' si indirizzerebbero a fare meglio.E dove sta il problema?Il meglio, a prescindere da dove viene è sempre una manna dal cielo.La grande differenza che noi possiamo mettere in campo sono le seicento varieta' di olivi che danno oli con tante meravigliose sfumature diverse,noi possiamo mettere in campo una capacita' produttiva e di immagine legata al territorio non indifferente.E poi vuol mettere,con un consumatore consapevole finalmente sparirebbe quell'odorino particolare che alcune ricerche "autorevoli" attribuiscono come tipico all'ottima varieta' piqual(ottima se fatta come si deve e con un suo odore caratteristico ma che non è quello che si vuol far passare come tale).
maria montini
18 febbraio 2012 ore 22:38
Non riesco a capire quali problemi possano avere Federolio ed Assitol se riuscissimo ad abbassare il valore dell’acidità, dei perossidi etc etc. Forse ci stiamo dimenticando che queste due associazioni riuniscono commercianti che acquistano, ripeto, acquistano olio solo se conforme alle normative comunitarie?
Vogliamo portare l’acidità a 0,3? i perossidi a 8 e gli alchilesteri a 20? Bene, facciamolo ma poi ricordiamoci che dobbiamo essere in grado di produrre un olio extra vergine con questi parametri agli stessi prezzi dei bravi produttori, perché ci sono, spagnoli e greci.
Il problema vero è quello segnalato dal Sig Breccolenti perché il consumatore non sa riconoscere l’olio di qualità. Se lo riconoscesse non comprerebbe certi oli. Cerchiamo di imparare dal mondo del vino: chi mai ha letto o sentito tutte queste feroci polemiche nei confronti del vino in cartone? Io vedo che i produttori di vino invece di perdersi in polemiche contro un nemico immaginario, che avrebbe disorientato il consumatore, si sono dati da fare per far conoscere il vino di qualità. Nel mondo dell’olio in Italia, non nascondiamocelo, il consumatore è poco preparato e per aiutarlo a capire e a conoscere anziché parlare degli oli buoni cosa facciamo? Lo spaventiamo parlandogli di truffe e nelle lotte intestine tra le varie associazioni compresa coldiretti ed unaprol, gli unici a trarne vantaggio saranno i nostri cugini spagnoli e i poveri greci che riusciranno a vendere all’estero grazie alla cattiva pubblicità che sappiamo fare all’olio italiano. Però poi non lamentiamoci.
Maria Montini
giovanni breccolenti
18 febbraio 2012 ore 19:21Sig Lo Scalzo l'olio di nicchia ha ben pochi riferimenti con i ricordi di antichi sapori,quando si lavorava soprattutto per la quantita' e quando neanche sfiorava l'idea di raccogliere presto,quando difficilmente restavano olive a terra senza essere raccolte.Ed era proprio il piccante e l'amaro ad essere considerato tabu'.No,oggi gli oli di nicchia a cui si fa riferimento sono quelli ricchi di profumi che ricordano erbe fresche,provenienti da olive appena invaiate,in cui il piccante è superbo e persistente in gola ed è accompagnato da un amaro deciso ma non aggressivo.Questo bisogna insegnare nelle scuole e negli asili e non gli antichi ricordi di sapori che sicuramente piu' si avvicinano agli oli della grande industria di adesso.
Andrea Landini
18 febbraio 2012 ore 19:00Carissimo Grimelli
sono Toscano, e felice di esserlo, ma il fatto che l'Igp Toscano abbia come limiti 0,6 di acidità e 16 di perossidi non significa automaticamente che tutti i toscani siano d'accordo, io, per esempio, non lo sono, e se dipendesse da me i limiti sarebbero quelli che ho indicato nel commento precedente. E' anche per questo motivo che, per adesso, ho scelto di non certificare il mio olio.
Mi scusi ma dovrebbe spiegarmi meglio perchè la proposta di Copagri, che non conosco, ma che apprezzo a priori (se mira ad un abbassamento dei limiti di acidità e perossidi e quindi a migliorare la qualità dell'olio) possa non portare benefici a chi produce e commercializza olio di qualità, a mio avviso, nel caso in cui la proposta venisse accettata, si sfoltirebbero molti scaffali della GDO con le promozioni dell'extravergine a 2-3 euro a litro, alzare l'asticella della qualità non dovrebbe essere un problema per chi ha intenzione di lavorare con serietà trasparenza ed impegno.
Sono purtroppo d'accordo con lei quando afferma che "la società non riconosce il valore storico, ambientale e culturale dell'agricoltura" e quindi non è disposta a sovvenzionare gli agricoltori, ma se in futuro permetteremo che l'unico arbitro della competizione sia il mercato il risultato sarà che fra pochi anni gli oliveti spariranno dalla Toscana, e questo forse sarà anche giusto, dato che da noi una pianta produce un quinto di un olivo pugliese e periodicamente il gelo causa danni quasi irreparabili, se però vogliamo che ciò non accada dovremo necessariamente far si che il prezzo dell'olio si colleghi strettamente a qualità e a costi di produzione.
Infine l'autocritica, ha perfettamente ragione quando dice che anche noi, anzi soprattutto noi, produttori non facciamo abbastanza per sviluppare una sufficiente cultura olearia nei consumatori, probabilmente dipende dal fatto che fino a pochi anni fa eravamo chiamati solo a produrre oggi dobbiamo essere produttori, commercialisti, avvocati, esperti marketing, esperti di sicurezza etc. etc.
Oltre a tutto questo non sempre è facile essere anche dei buoni comunicatori, e noi in generale non lo siamo. In ogni caso non è che le istituzioni (penso alla scuola) o i mass media ci aiutino molto, da noi si parla di olio solo quando c'è qualche scandalo o qualche sofisticazione e quasi mai per spiegarne i tanti aspetti positivi sul piano salutistico o anche solamente su quello del gusto.
Alberto Grimelli
18 febbraio 2012 ore 17:03Noto con piacere che si è sviluppato un vivace dibattito anche su questo tema.
Innanzitutto, l'idea che i produttori non siano buoni commercianti non è del sottoscritto ma di alcuni industriali che mi hanno chiamato, come tale l'ho riferita. Così ho riferito l'opinione di alcuni olivicoltori e frantoiani sul mondo dell'industria.
Venendo a questioni più serie. Perchè, di volta in volta, si scaricano le responsabilità su industria e consumatori e non si fa un po' di autocritica? Se non c'è ancora una sufficiente cultura olearia nel consumatore, e quindi non si è ancora creato un mercato di nicchia, non è anche per l'immobilismo di tanti olivicoltori e frantoiani i quali hanno sempre atteso che le politiche di promozione, marketing, cultura ecc le facessero gli altri? Il 10% degli olivicoltori, circa 80mila persone, viene giudicato professionale, ovvero con una dimensione aziendale dai 1000 olivi in su. Se queste 80mila persone si preoccupassero di acculturare e far appassionare all'extra vergine 10 persone a testa, avremmo 800mila oleoappassionati. Il vero problema è che coloro che svolgono una meritoria opera di informazione e divulgazione solo solo alcune centinaia di aziende in Italia, oltre a qualche centinaio di assaggiatori, con la conseguenza che si dovranno attendere tempi biblici affinchè si crei una diffusa cultura oliandola.
Che risposte ti aspettavi? Certo l'industria non avrebbe mai riconosciuto di voler boicottare il mercato di nicchia. E' questo quanto pensano, alcuni me l'hanno detto espressamente, olivicoltori e frantoiani. Teatro Naturale è e sarà sempre vigile. Se riceveremo segnalazioni che le dichiarazioni sono state disattese ne chiederemo conto e ne daremo notizia. Perchè partire prevenuti? E' tempo di accogliere positivamente certe dichiarazioni e di farle fruttare.
In merito all'abbassamento dei limiti per l'extra vergine richiesto da Landini. L'Igp Toscano ha come limiti 0,6 di acidità e 16 di perossidi. Forse, prima di chiedere agli altri di abbassare certi limiti, occorrerebbe dare il buon esempio. Oltretutto so che una proposta di abbassamento generalizzato dei limiti per l'extra vergine è stata esaminata dal tavolo oleicolo presso il Mipaaf qualche settimana fa. La proposta veniva da Copagri. E' stata bocciata univocamente da tutta la filiera, rappresentanti di olivicoltori e frantoiani compresi, perchè nessuno ne avrebbe tratto reale beneficio.
Infine rispondo all'amico Giannone, del quale ormai apprezzo la verve. L'extra vergine è un alimento. Il pane, la pasta, la passata di pomodori non lo sono? Lo sono anch'essi. Tutte le derrate alimentari e i prodotti agroalimentari sono alimenti. C'è però la pasta industriale e quella artigianale trafilata al bronzo. Un altro esempio. “nessuno pensa di trovare un Barbaresco o un Lacrima di Morro d'Alba a 3 € la bottiglia e men che meno uno champagne” Vero. Ma sullo stesso scaffale, magari solo un poco più in là c'è il vino in brik (anche il Barbaresco è un vino) a meno di un euro al litro. Il consumatore, confrontando i due prodotti, non dice: tanto è tutto vino. Lo stesso consumatore, davanti allo scaffale dell'extra vergine, dice però: tanto è tutto olio. Questo diverso atteggiamento merita una riflessione.
Infine. Riguardo all'abbandono degli oliveti. Cos'è e cosa deve essere l'olivicoltura italiana oggi e nel futuro? Se è paesaggio e cultura, allora ci si svincola da qualsiasi logica produttiva. L'olivicoltore è un manutentore al servizio della società. Se l'olivicoltura è invece produzione d'olio allora l'olivicoltore, indipendentemente dai contributi pubblici, da questo deve ricavarci di che vivere o comunque una redditività sufficiente. E' chiaro che, in questo secondo scenario, essere un ottimo produttore non basta, occorre anche saper valorizzare e vendere la propria produzione, in proprio oppure in sinergia con altri olivicoltori e frantoiani. Qualcuno potrebbe obiettare che l'olivicoltura è entrambe le cose. Un'affermazione condivisibile, solo che, purtroppo, la società non riconosce il valore storico, ambientale e culturale dell'agricoltura. Ne consegue che non è disposta a sovvenzionare gli agricoltori. E' per questa ragione che vi saranno tagli drastici alla Pac. Può non piacere ma la realtà è questa.
Vincenzo Lo Scalzo
18 febbraio 2012 ore 16:57Un lettore ha commentato: non è l'industria a boicottare i grandi oli, ma è la gran massa dei consumatori che vivono nell'ignoranza assoluta verso questo prodotto.
Personalmente faccio parte della massa dei consumatori, con ascendenti di familiarità con l'agricoltura familiare, olio in Sicilia, in collina, in provincia di Agrigento, che settanta anni fa rappresentava una "chicca" ricca di aromi inconfondibili che erano poco "capiti", apprezzati e ricercati nell'area in cui predominava in terra lombarda, nel varesotto, a cui ero approdato dall'Istria con i genitori. Per naturale istinto e per successivi approfondimenti in gioventu, maturità e vecchiaia, l'imprinting è rimasto inalterato: sono proprio quelli come l'olio del nonno, che condiva da crudo i minestroni di verdure che si cuocevano lentamente al fuoco di brace in paioli giganteschi sotto la penombra dei carrubbi nella vigna, al momento della raccolta con l'aiuto delle maestranze... Profumi e sapori restano indimenticabili.
Per la promozione degli oli d'oliva di nicchia occorrerebbe moltiplicare queste memorie, o meglio, occorrerebbe che nello scenario e ambiente più semplice e con qualche riferimento di festa s'imprimessero analoghe sensazioni nei ragazzini in grado di ricordare e capire, spiegando quali siano i tesori di sensazioni - che i bambini devono gradire - anche di una minestra, o di una fetta di pane sulla griglia, unta con crudo d'oliva profumata. non si dimentica.
Con i bambini impareranno anche i genitori, poi si affineranno: come i ragazzi e uomini pugliesi, toscani, siciliani, del centro sud, ma anche dei laghi lombardi... e dei mari a valli di Liguria!
E' il più efficace, seppure lento, ma poco costoso programma di educazione, dall'asilo in avanti.
Accompagnato da una efficiente scelta di strategia, conserverà per sempre il mercato di nicchia dell'olio vero, a cui nessuno può opporsi.
Fare tutto questo all'estero, con gl italiani all'estero distribuiti in tanti paesi autoproduttori, costituirebbe il "target" della testimonianza della bontà del Oil Made in Italy...
Piccarsi di colpo di insegnare ai grandi il valore del "piccantino" a chi ha ricordi di Sasso, è molto arduo. Quanto all'amaro, confesso, ho sempre ritenuto, forse ingiustamente, che non fosse un pregio: ho, in Lombardia, apprezzato presto, da ragazzo, la dolcezza delle cultivar dei laghi...
Andrea Landini
18 febbraio 2012 ore 15:26Perfettamente d'accordo con Raffaele Giannone.
Forse sarà perchè anche io sono un produttore e quindi (come dice Grimelli) troppo legato al mio ruolo per essere un buon commerciante, comunque prima di confrontarmi col mercato e le sue regole devo confrontarmi con la realtà e questa mi dice che produrre un litro di olio extravergine di oliva nel centro della Toscana nelle mie bellissime, ondulate ( e poco meccanizzabili) colline mi costa quando va tutto bene dai 7 ai 9 euro al litro.
Partendo da queste basi il confronto con il mercato è impietoso e la conclusione immediata, che purtroppo molti miei colleghi hanno già tratto, è mollare tutto e sostituire gli oliveti con le sterpaglie e i roveti, sicuramente meno belli paesaggisticamente ma sicuramente meno onerosi da mantenere.
Se qualcuno di noi ostinatamente continua ad investire tempo, e soprattutto denaro, nella nostra olivicoltura è perchè l'olio che produciamo non è neppure parente con gli oli che si vendono sugli scaffali della grande distribuzione a 3 euro al litro, e nella nostra beata ingenuità siamo convinti che prima o poi questo sarà chiaro ed evidente a tutti, e come nel consumatore è oggi chiara la differenza che passa fra un vino da tavola e un Brunello un domani sarà chiara anche la differenza fra un olio di eccellenza e un olio "di prezzo" fatto con le più varie miscele e provenienze.
Perchè non provate a chiedere a Federolio e Assitol se sono d'accordo ad abbassare i limiti di acidità e di perossidi per gli oli extravergini rispettivamente a 0,4 e a 12 ?
vediamo se rispondono di si a delle richieste precise, come si dice numeri alla mano, piuttosto che a dei generici impegni a parole sulla qualità degli oli.
Andrea Landini olivicoltore in Carmignano
giovanni breccolenti
18 febbraio 2012 ore 14:38Sig. Giannone io non voglio far diventare piccolo chimico nessuno.Faccio l'assaggiatore da tanti anni e per me è una missione far capire alla gente che cos'è l'olio.Ma come fai a far capire alla gente che il piccante è un grande pregio? Dicendogli che la molecola che maggiormente da' questa sensazione ha proprieta' antitumorali,cose che non dico io ma alcune ricerche scientifiche.Come fai a far apprezzare l'amaro alla gente? Dicendogli che l'amaro è dato dai famosi antiossidanti(citandoglieli pure)che tanto contribuiscono al nostro benessere.Che cosa c'entra il piccolo chimico,se si inizia a spiegare alla gente una cosa è sempre meglio farlo bene,associando un sapore o una sensazione a qualcosa di benefico.Vede sig, Giannone la gente quando annusa un olio apprezza subito il profumo dell'erba tagliata,la foglia di pomodoro o la mandorla,ma quando lo assaggia e sente l'amaro e il piccante spesso storce la bocca e per fargli cambiare idea bisogna essere convincenti e esaustivi(molto piu' facile agire sui bambini che non partono da preconcetti sbagliati).
Raffaele Giannone
18 febbraio 2012 ore 13:09Cari amici di TN,
l'argomento proposto dal buon Grimelli, specie avendo seguito (e a volte contestato) alcune puntate precedenti, è tale da non poter far tacere nemmeno un piccolo, testardo olivicoltore e frantoiano di montagna quale mi onoro di essere, nei ritagli lasciati liberi dalla mia professione.
Chi, come me, era ventenne tre decenni fa ricorderà una bellissima canzone di Francesco De Gregori, Alice, dove si narra di "un mendicante arabo" che aveva qualcosa nel cappello, ma che la ritenesse "un portafortuna".
La metafora stava ad indicare, negli anni '60, l'immensa ricchezza del petrolio non ancora completamente e consapevolmente valorizzata dalle nazioni produttrici.
Era l'epoca delle famose "sorelle", del mero sfruttamento economico, del mercato pilotato …. e il nostro Enrico Mattei, che, seppur montanaro, non era uno sprovveduto, avrebbe potuto dirci qualcosa…
Orbene, non certo per tornare polemizzare con Grimelli, il quale ormai conosce l'intento squisitamente benevolo, anche se vivace dei miei interventi piccanti (come il mio olio!!), ma, ditemi, cosa vi aspettavate che rispondessero Federolio e Assitol, nelle persone dei loro pur rispettabilissimi rappresentanti???
Siii, noi siamo accentratori, noi boicottiamo i piccoli produttori, noi taglieremo le gambe alla produzione di nicchia, noi osteggiamo la produzione di qualità, la vendita diretta, l'acquisto solidale, etc..etc?
Nulla di tutto questo: ben vengano i piccoli, siamo per la qualità, per la tracciabilità…..applausi.
La realtà (non la verità!) è invece, come sempre, meno lineare.
Esiste il problema di proporre alla gente il VERO OLIO d'OLIVA, di qui l'universo polemico della denominazione, dell'origine, dei parametri chimici e organolettici, delle modalità colturali ed estrattive, conservazione e chi più ne ha più ne metta.
Esiste il problema CULTURALE, ovvero quello di divulgare fra la gente gli elementi basilari per conoscere e ri-conoscere un vero olio d'oliva, pur dissentendo dal sig. Breccolenti sulla necessità od opportunità di far diventare ogni consumatore una sorta di"piccolo chimico" !
Esiste infine, ma non ultimo, il problema economico, di qui l'universo statistico, programmatico, strategico (sul quale mi dichiaro sostanzialmente incompetente) tanto caro a Grimelli ed altri, che, seppur con fondati e scientifici argomenti numerici, rischiano di svilire o spostare quella che secondo me è l'essenza della questione.
L'olio d'oliva (notate come, ostinatamente, continuo ad omettere extravergine) è un ALIMENTO, oserei "l'alimento" se non sconfinassi nel fanatismo.
Il suo pregio, il suo valore, il suo profumo, la sua storia, il lavoro per averlo si pagano.
Nessuno si chiede se mai l'oro avrà prezzi da scaffale o di nicchia, nessuno contesta ormai la forza dell'OPEC, nessuno pensa di trovare un Barbaresco o un Lacrima di Morro d'Alba a 3 € la bottiglia e men che meno uno champagne !
Non so se appartengo ancora alla generazione dei "mendicanti arabi", se il futuro vedrà una degna collocazione dell'olio d'oliva, magari fuori dalle mire finanziarie di qualche speculatore transeunte, so solo che mi sto battendo nel mio piccolo, anche con questo intervento, per la nascita del nostro "OPEC", essendo convinto, questo si, di possedere e ammirare il mio ORO VERDE !
Raffaele Giannone, olivicoltore molisano
Raffaele Giannone
18 febbraio 2012 ore 12:49Cari amici di TN,
l'argomento proposto dal buon Grimelli, specie avendo seguito (e a volte contestato) alcune puntate precedenti, è tale da non poter far tacere nemmeno un piccolo, testardo olivicoltore e frantoiano di montagna quale mi onoro di essere, nei ritagli lasciati liberi dalla mia professione.
Chi, come me, era ventenne tre decenni fa ricorderà una bellissima canzone di Francesco De Gregori, Alice, dove si narra di "un mendicante arabo" che aveva qualcosa nel cappello, ma che la ritenesse "un portafortuna".
La metafora stava ad indicare, negli anni '60, l'immensa ricchezza del petrolio non ancora completamente e consapevolmente valorizzata dalle nazioni produttrici.
Era l'epoca delle famose "sorelle", del mero sfruttamento economico, del mercato pilotato …. e il nostro Enrico Mattei, che, seppur montanaro, non era uno sprovveduto, avrebbe potuto dirci qualcosa…
Orbene, non certo per tornare polemizzare con Grimelli, il quale ormai conosce l'intento squisitamente benevolo, anche se vivace dei miei interventi piccanti (come il mio olio!!), ma, ditemi, cosa vi aspettavate che rispondessero Federolio e Assitol, nelle persone dei loro pur rispettabilissimi rappresentanti???
Siii, noi siamo accentratori, noi boicottiamo i piccoli produttori, noi taglieremo le gambe alla produzione di nicchia, noi osteggiamo la produzione di qualità, la vendita diretta, l'acquisto solidale, etc..etc?
Nulla di tutto questo: ben vengano i piccoli, siamo per la qualità, per la tracciabilità…..applausi.
La realtà (non la verità!) è invece, come sempre, meno lineare.
Esiste il problema di proporre alla gente il VERO OLIO d'OLIVA, di qui l'universo polemico della denominazione, dell'origine, dei parametri chimici e organolettici, delle modalità colturali ed estrattive, conservazione e chi più ne ha più ne metta.
Esiste il problema CULTURALE, ovvero quello di divulgare fra la gente gli elementi basilari per conoscere e ri-conoscere un vero olio d'oliva, pur dissentendo dal sig. Breccolenti sulla necessità od opportunità di far diventare ogni consumatore una sorta di"piccolo chimico" !
Esiste infine, ma non ultimo, il problema economico, di qui l'universo statistico, programmatico, strategico (sul quale mi dichiaro sostanzialmente incompetente) tanto caro a Grimelli ed altri, che, seppur con fondati e scientifici argomenti numerici, rischiano di svilire o spostare quella che secondo me è l'essenza della questione.
L'olio d'oliva (notate come, ostinatamente, continuo ad omettere extravergine) è un ALIMENTO, oserei "l'alimento" se non sconfinassi nel fanatismo.
Il suo pregio, il suo valore, il suo profumo, la sua storia, il lavoro per averlo si pagano.
Nessuno si chiede se mai l'oro avrà prezzi da scaffale o di nicchia, nessuno contesta ormai la forza dell'OPEC, nessuno pensa di trovare un Barbaresco o un Lacrima di Morro d'Alba a 3 € la bottiglia e men che meno uno champagne !
Non so se appartengo ancora alla generazione dei "mendicanti arabi", se il futuro vedrà una degna collocazione dell'olio d'oliva, magari fuori dalle mire finanziarie di qualche speculatore transeunte, so solo che mi sto battendo nel mio piccolo, anche con questo intervento, per la nascita del nostro "OPEC", essendo convinto, questo si, di possedere e ammirare il mio ORO VERDE !
Raffaele Giannone, olivicoltore molisano
Raffaele Giannone
18 febbraio 2012 ore 11:31Cari amici di TN,
l'argomento proposto dal buon Grimelli, specie avendo seguito (e a volte contestato) alcune puntate precedenti, è tale da non poter far tacere nemmeno un piccolo, testardo olivicoltore e frantoiano di montagna quale mi onoro di essere, nei ritagli lasciati liberi dalla mia profe
PIERLUIGI MARINO
18 febbraio 2012 ore 10:38 La dichiarazione del presidente di Federolio fatta alla trasmissione di occhio alla spesa venerdì 10/02/2012, sicuramente non è un comportamento corretto, perché dire che siamo noi frantoiani i veri speculatori del settore oleario , dove vendiamo l'olio con prezzi elevati, mentre le piazze pugliesi registrano vendite di olio al prezzo di € 2,30 con il dubbio se sia vero olio pugliese. Pertanto sfido il presidente se al prezzo commerciali di oggi si possono raccogliere, trasformare e vendere l'olio extra vergine italiano creando reddito per l'azienda, parlare e troppo facile purtroppo.....
Distinti saluti
Pierluigi Marino
giovanni breccolenti
18 febbraio 2012 ore 10:22Sig. Grimelli, non è l'industria a boicottare i grandi oli,ma è la gran massa dei consumatori che vivono nell'ignoranza assoluta verso questo prodotto.Il punto è:chi ha interesse a tenere nell'oblio tanta gente?Oblio che non è solo verso l'olio ma anche verso tante altre eccellenze alimentari.La risposta che mi sento dare piu' spesso è che l'eccellenza costa e in un mondo in piena crisi il costoso viene scartato a priori.Mi starebbe bene questa risposta se il consumatore fosse veramente a conoscenza dell'importanza di molecole come l'oleocantale,quella famosa sostanza tanto simile all'ibuprofen con proprieta' antitumorali che si puo' facilmente riscontrare negli oli buoni perche' è la classica senzazione di piccante(la maggiorparte delle persone pensano che un olio piccante è acido);mi starebbe bene se fosse a conoscenza del'importanza di molecole come l'idrossitirosolo,gli agliconi dell'oleoropeina,gli alfatocoferoli tutte molecole antiossidanti che proteggono i grassi e il nostro corpo e che si trovano in quantita' adeguate solo negli oli fatti a dovere;ma soprattuto fosse a conoscenza dei profumi che tutto il nostro parco varietale olivicolo puo' esprimere e dell'importanza che queste differenziazione possono avere nella nostra grande cucina.Ecco,una volta scoperte e magari imparate tutte queste cose, bhe, poi sarebbe da vedere che cosa andrebbe a cercare il consumatore o una gran parte dei consumatori, magari se scoprisse anche che la spesa giornaliera per avere un ottimo olio (ottimo inteso come termine assoluto) è di soli 40-50 centesimi in piu!!
giovanni caravatti
18 febbraio 2012 ore 09:00non è assolutamente vero che la grande distribuzione non venda oli di nicchia,forse loro vogliono grandi quantitativi per sopportare al meglio i loro costi di distribuzione,ciò che il piccolo frantoiano non può accontentarli.
Caravatti Giovanni piccolo produttore di olio biologico toscano
Vincenzo Lo Scalzo
20 febbraio 2012 ore 14:36Bene ascoltato il commento di Emilio, positivamente costruttivo nel rispetto della libertà e della qualità del gusto, cerchiamo di scegliere il girone o il campionato in cui giocare, e fare bene: dai pulcini ai fuori età, non evitando i rinfreschi di aggiornamento.
In un altro canale emerge la proposta di un colloquio, tra p.l.u. (people like us, gente come noi). Non ho vergogna di nascondere le mie preferenze di gusto. La sensibilità c'è, comunicarla è un piacere, obbligarne la condivisione una scommessa... Parlarne di fronte ai ragazzi, uno stimolo. Cercherò di esserci...