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LA RASSEGNA DEGLI OLI MONOVARIETALI HA UNA PAROLA D’ORDINE: IDENTITA’, PER SALVARE IL PATRIMONIO OLIVICOLO ITALIANO

Alla quarta edizione la manifestazione sta assumendo i contorni di una sfida. Creare un nuovo modello, il connubio territorio-varietà è insostituibile ed è una risorsa per il rilancio della nostra olivicoltura, nel segno del motto “una varietà, un olio”

09 giugno 2007 | Alberto Grimelli

Quest’anno la Rassegna degli oli monovarietali, giunta alla quarta edizione, si è tenuta tra gli stand della Raci (Rassegna agricola del Centro Italia). Una collocazione che ha permesso un maggiore afflusso di pubblico tra gli stand degli olivicoltori e alle degustazioni, d’extra vergini e di prodotti tipici, abbinati sempre a oli monovarietali.
Una festa ben riuscita, anche se il padiglione alle volte risultava tanto rumoroso e caotico da non far risaltare appieno la Rassegna e i suoi eventi, una situazione a cui comunque l’amministrazione provinciale di Macerata, con notevole ed apprezzabile spirito critico, ha promesso di porre rimedio fin dal prossimo appuntamento.

Nonostante quindi qualche trascurabile pecca logistica, la manifestazione è stata certamente un successo, forse anche al di sopra delle aspettative degli stessi organizzatori che, con questa Rassegna, intendono segnalare una via alternativa per le imprese olivicole del nostro Paese.
“Una varietà, un olio” è il motto scelto, uno stimolo affinché gli olivicoltori riscoprano il patrimonio olivicolo nazionale, centinaia di cultivar che rappresentano una risorsa non solo paesaggistica ma anche economica.
La capacità di differenziarsi, di caratterizzare il proprio olio rappresenta, per le piccole medie aziende oliandole, la sola possibilità di sopravvivenza in un mercato che viene dominato sempre più dal fattore prezzo, laddove, quindi, l’Italia non può competere, per ragioni strutturali, alla pari con la Spagna e con i Paesi nordafricani.
Indicare la varietà significa distinguersi ma anche lanciare diversi messaggi al consumatore. Innanzitutto l’artigianalità del prodotto ma anche la capacità di innovazione dell’azienda unita alla riscoperta della storia e delle tradizioni. Messaggi impliciti ma che il consumatore attento sa cogliere e che risvegliano in lui quell’attenzione e curiosità che, spesso, davanti allo scaffale del supermarket vengono annichilite da promozioni, scoutistiche e offerte varie.

“Il binomio germoplasma - territorio è irripetibile – afferma Giorgio Pannelli, direttore dell’Istituto per l’olivicoltura di Spoleto – In Italia abbiamo la fortuna di avere un ricco repertorio varietale che non è andato perso, come invece avvenuto in altri Paesi. Basti pensare che in Italia 20 varietà rappresentano il 58% della superficie olivetata totale, in Spagna 20 varietà coprono il 90% dell’intera superficie olivicola, in Marocco addirittura una varietà copre il 97% della superficie olivicola. Offrire un vasto ventaglio di oli, abbinandolo alla gastronomia locale, significa recuperare le identità autoctone, quelle unicità per cui il nostro Paese è conosciuto nel mondo.”

Un percorso assolutamente condivisibile, una via possibile, ma non priva di rischi. Alcune delle maggiori e più diffuse varietà italiane presentano vari sinonimi a seconda della localizzazione geografica. Alla famiglia del “Frantoio” appartengono almeno 25 cultivar, a quella del “Moraiolo” circa 10, come pure è noto che “Peranzana” e “Bosana”, geneticamente, sono la stessa varietà, che si può ritrovare altrove con altre 8 o più denominazioni diverse.
Si pone, quindi, un problema di comunicazione. “Una varietà, un olio”? Peranzana e Bosana sono la stessa varietà, avrò quindi un solo olio? Certamente no, è sufficiente una degustazione per coglierne le differenze, anche da parte dei palati meno esperti. Esiste un’influenza del clima, del terreno, della stagionalità sul profilo organolettico di un olio che è nient’affatto trascurabile.
Ecco perché cambierei, senza snaturalo, tanto è semplice ed efficace, il motto della Rassegna: “una varietà, un territorio, un olio”.
In questo modo si aprirebbe certo un nuovo mondo, fatto di centinaia di oli diversi perché frutto di diverse varietà e di differenti territori.
Non esiste l’olio extra vergine d’oliva ma, almeno in Italia, i molteplici e variegati oli extra vergini di olive.

“Sono 305 da 17 Regioni– ricorda Barbara Alfei, Assam Marche – i campioni pervenuti quest’anno alla Rassegna. Una crescita continua che ci inorgoglisce, anche perché non assegniamo alcun premio, il nostro non è un concorso. Degustiamo gli oli, li descriviamo e ne forniamo un profilo chimico ed organolettico. Il catalogo, realizzato in collaborazione con Edagricole – Il Sole 24 Ore, è il risultato di questo lavoro e dota consumatori, ristoratori ed enotecari di una guida importante, una bussola tra le molte etichette che ormai si trovano in commercio”

Proprio il consumatore è il più spaesato nel mondo dell’olio tanto da affidarsi, spesso, a flavour conosciuti, ritenuti quindi più affidabili e “sinceri”.

“Con l’abbinamento olio cibo – afferma Cerni, Provincia di Rimini – si possono rompere alcuni desueti schemi e tabù. Un olio può esaltare e arricchire un piatto oppure anche peggiorarlo. Avvicinare a quest’idea il consumatore significa fargli comprendere che esiste una molteplicità di oli. In questo percorso, che ho dovuto affrontare io stesso, ho tra l’altro scoperto che il concetto di armonia, caro ai concorsi, è ininfluente ai fini dell’abbinamento. Vi possono infatti essere extra vergini squilibrati che si adattano però magnificamente ad alcune preparazioni gastronomiche. Studiare gli abbinamenti olio cibo con un approccio metodologico è quanto stiamo realizzando.”

La Rassegna degli oli monovarietali 2007 ha fornito numerosi spunti di riflessioni, alcuni dei quali magari azzardati, il piacere gastronomico può essere ridotto a una formula matematica? E’ tutto, compreso il piacere della tavola, schematizzabile e catalogabile?, ma assai stimolanti.
Mi auguro che questa manifestazione possa quindi continuare a crescere, ad arricchirsi fino a diventare punto di riferimento per quanti vanno alla ricerca dell’identità, dell’unicità anche a tavola.