Bio e Natura

Venti milioni di euro dal Mipaaf. Attenzione, non tutta la biomassa è uguale

Finanziamento fino al 40% per impianti termici o elettrici da biomasse. Una misura necessaria perché l’Italia si è impegnata verso la Ue a coprire il 17% dei suoi usi finali d’energia attraverso fonti rinnovabili

20 febbraio 2010 | Graziano Alderighi

Via libera del Ministero per le Politiche agricole alimentari e forestali alla pubblicazione del bando per la realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica e/o termica da biomasse. La procedura prevede il finanziamento di impianti a spiccato contenuto innovativo di potenza installata fino a 1 Mw elettrico, con un contributo massimo pari a 500 mila euro ed intensità non superiore al 40% del costo dell’investimento. L’importo stanziato a tal fine ammonta a 20 milioni di euro.
La procedura, in collaborazione con il Mipaaf, sarà gestita dall’Enama – Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola.
Il bando è disponibile sul sito www.politicheagricole.it e www.enama.it.
Con questo provvedimento, il Ministero prevede di finanziare impianti per una potenza complessiva superiore a 30 Mw elettrici, tutti alimentati da biomasse di origine agricola compatibili con i criteri di sostenibilità ambientale dettati dall’Unione Europea, fornendo in tal modo una importante opportunità di integrazione e diversificazione del reddito degli imprenditori agricoli.

Un intervento legislativo che si è reso necessario dopo che l’Italia si è impegnata verso l’Unione europea a coprire il 17% dei suoi usi finali d’energia attraverso fonti rinnovabili.

Non tutte le biomasse sono però ugualmente efficienti, sicure e pulite.

E’ notizia di questi giorni che il servizio antifrode dell'Ufficio delle Dogane di Trieste, con la collaborazione dei Carabinieri del Noe di Udine, ha effettuato, presso la sezione operativa di Fernetti, un sequestro di 23 tonnellate di pellets radioattivi di origine ucraina provenienti dall'Ungheria.
Si tratta di materiale destinato a stufe e caldaie domestiche ma è lecito chiedersi se, con la costruzione di grandi centrali, non poterebbe essere conveniente importare grandi quantità di biomasse, di provenienza estera, più a buon mercato, ma della cui sicurezza è lecito dubitare.

Qualche dubbio di questo tipo è anche venuto a Livorno, dove, nel distretto portuale, è prevista la costruzione di una grossa centrale a biomasse che verrà alimentata di oli "preferibilmente di provenienza comunitaria".
Nulla vieterà quindi alla società che si occuperà della gestione di approvvigionarsi in ogni parte del mondo con i rischi per la sicurezza di cui abbiamo parlato ma anche con risultati controproducenti sul piano ambientale.
Infatti sono molti gli studi che indicano in poche decine di chilometri la massima distanza di approvigionamento, altrimenti i costi energetici di trasporto vanificano la sostenibilità della filiera agrobioenergetica.
Inoltre l’approvigionamento a lunga distanza pone problemi di natura sociale e ambientale in Paesi lontani. Pensiamo al pericolo di deforestazioni selvagge in Sud America o Africa pur di reperire biomasse da vendere poi ai Paesi industrializzati.

Se occorre pensare a un modello di sviluppo ecocompatibile non è sufficiente fermarsi alla superficie, non è sufficiente costruire qualche centrale a biomasse ma occorre uno studio più approfondito per valutare il bilancio energetico complessivo dell’operazione.

Esempi positivi, per fortuna, non mancano.

Calmiera, a pochi chilometri da Lecce potrà pregiarsi di essere la prima a sfruttare il legno vergine di ulivo derivato dagli scarti della potatura, raccolti e triturati (cippato). Una risorsa che abbonda nella provincia salentina, dove sono stati censiti circa 11 milioni di alberi. La filiera corta è garantita da un accordo già siglato con la Cia (Confederazione italiana agricoltori) di Lecce.
Gli studi commissionati dalla Provincia di Lecce dicono che ogni ulivo produce circa 3 quintali di legna da potatura ogni cinque anni, ma che soltanto al 60% degli 11 milioni di alberi presenti sul territorio viene effettuata con regolarità la rimonda. Sono perciò disponibili circa 400mila tonnellate all'anno: legna che per metà va ad ardere nei camini delle abitazioni o nei forni delle panetterie, e per metà viene bruciata dai contadini direttamente nei campi o lasciata marcire. Da qui l'idea di sfruttare queste biomasse legnose per la produzione energetica a bilancio neutro di anidride carbonica (la quantità rilasciata durante la decomposizione, che avvenga naturalmente o per conversione energetica, è infatti equivalente a quella assorbita durante il periodo di crescita), risparmiare l'emissione in atmosfera di circa 4.500 tonnellate all'anno di Co2, garantire il riutilizzo delle ceneri come fertilizzante.
L'impianto di Calimera sarà il primo in Europa e nel Mediterraneo a farlo con il legno d'ulivo. “Potremo soddisfare l'80% del fabbisogno energetico di Calmiera” affermano i soci di Fiusis, che contano di “reperire le risorse sufficienti in un raggio di 10 Km”.