Bio e Natura

AGRICOLTURA SPRECONA? NO, LE ESIGENZE IDRICHE AUMENTANO PERCHE’ IL CLIMA STA CAMBIANDO

Appena si prospetta un periodo di siccità ecco che si punta l’indice sul settore primario che consuma certo molta acqua ma che ne ha assoluto bisogno. In stagioni secche molte colture richiedono il 15% di acqua in più

21 luglio 2007 | R. T.

L'acqua del Po sta diminuendo e, complici i cambiamenti climatici e l'aumento delle richieste soprattutto per l'agricoltura, il suo corso rischia di fermarsi a 100 chilometri di distanza dalla foce, nel ferrarese.
E' l'allarme lanciato a Parma, in un convegno sugli effetti del clima sul bacino del Po organizzato dall'Apat (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) insieme con Arpa Emilia-Romagna e le altre agenzie padane per conto del ministero dell'Ambiente.

La portata del principale fiume italiano - il cui bacino si estende su un quarto del territorio nazionale, coprendo sei regioni e 3200 comuni dove si concentra il 40% del Pil nazionale - è calata del 20-25% negli ultimi trent'anni (circa 1500 metri cubi al secondo contro gli storici 1800), per cui ogni dieci litri di acqua che arrivavano in precedenza alla foce, oggi mancano all'appello oltre due litri. Colpa in parte dell'aumento delle temperature medie, e quindi della maggiore evaporazione, e in gran parte dei maggiori prelievi. Un trend che, secondo gli esperti, è destinato a peggiorare per via delle piogge, diminuite del 15-20% nel bacino del Po nell'ultimo trentennio e in media del 10% sull'intero Paese.
La situazione degenera nei periodi più caldi, quando la portata può scendere fino a 180 metri cubi d'acqua al secondo, che non bastano nemmeno a raffreddare gli impianti di Porto Tolle, una delle maggiori centrali elettriche italiane.

A fronte di questo quadro angoscioso si punta l’indice sull’agricoltura che è il settore più “assetato”, beneficiando del 73% dei prelievi dal Po. E’ anche il settore più a rischio a medio termine, tanto che, per effetto dei cambiamenti climatici e in mancanza di politiche agricole adeguate, si dovranno abbandonare progressivamente le colture che richiedono più acqua come riso, mais e kiwi.
A rischio quindi le irrigazioni dei campi, che in stagioni particolarmente secche richiedono circa il 15% di acqua in più.

La soluzione prospettata nel workshop è la più ovvia e la più semplice: pianificare un uso più razionale della risorsa adottando sistemi irrigui più efficienti e individuando specie vegetali meno esigenti di acqua.

“L’agricoltura non spreca acqua e sta facendo, e farà, la sua parte nella politica di risparmio idrico”. ha ribattuto il componente di Giunta della Confagricoltura Mario Vigo.
Vigo ha ricordato agli agricoltori che quest’anno sarà chiesta una riduzione dei consumi, lungo l’asta del Po, dell’8% rispetto a quelli ordinari (circa 130 milioni di mc), raggiungendo in alcuni comprensori anche il 15%.
“Senza dimenticare - ha detto Vigo - che in agricoltura c’è sempre una quota di reimpiego dell’acqua, in quanto quella non direttamente utilizzata dalle coltivazioni torna nel sottosuolo”.
E rispondendo alla notizia diffusa ieri che per produrre un chilo di grano in Italia occorrono, in media, 2.400 litri d'acqua mentre in Olanda sono sufficienti 600 litri, Vigo ha sottolineato che l’irrigazione, per l’agricoltura italiana, è una necessità, legata alla particolare collocazione geografica ed alle specifiche condizioni climatiche. Senza acqua è difficile coltivare piante o allevare animali. Per cui è totalmente fuorviante paragonare i consumi irrigui in Italia con gli altri paesi europei che dispongono di un clima totalmente diverso con una distribuzione delle piogge in sintonia con le coltivazioni effettuate.

A dimostrazione dell’importanza dell’acqua per fini irrigui Confagricoltura ricorda che la produzione agricola proveniente da colture irrigue costituisce circa il 40% di quella nazionale, mentre il rapporto tra superficie irrigata e SAU è pari al 20% (2,7 milioni di ettari su 15 milioni circa complessivi). I 2/3 delle esportazioni di prodotti agricoli provengono da colture irrigue.
Vigo ha replicato anche alla polemica, sorta negli ultimi mesi, che ha inserito le tecniche di irrigazione a pioggia tra quelle dissipatrici d’acqua, prevedendo per l’Italia come unico sviluppo futuro la microirrigazione.
“Il 70% degli impianti, in Italia, è dotato delle più moderne tecniche di irrigazione - ha detto Vigo -. E il metodo a pioggia è quello maggiormente usato dagli agricoltori ed è quello che permette la migliore gestione idrica. Senza contare che l’irrigazione a goccia non può essere utilizzata in tutti i settori agricoli, come ad esempio nelle coltivazioni in pieno campo, come il mais, le foraggiere ad uso zootecnico, i prati”.