La voce dell'agronomo
LE AGROBIOENERGIE POSSONO DIVENIRE UN BUSINESS. MA ANCHE PER GLI AGRICOLTORI?
Si moltiplicano i progetti per l’installazione di centrali a bioenergie. Indagando si scopre che dovrebbero funzionare a olio di palma oppure che sono sovradimensionate rispetto alle capacità di approvvigionamento sul territorio. Gli interessi dell’agricoltura, ma non solo, verrebbero così ignorati
10 marzo 2007 | Alberto Grimelli
La recentissima decisione del Consiglio europeo sullâincremento delle fonti rinnovabili, fino a coprire il 20% del fabbisogno complessivo di energia entro il 2020 aiuterà certamente lo sviluppo di filiere agroenergetiche.
Si tratta di una decisione per fino attesa e auspicata. Si tratta di inviare un segnale al mondo occidentale, e non solo, per sensibilizzarlo circa le problematiche ambientali, le ripercussioni sul clima che potrebbero produrre, nel medio lungo periodo, danni economici devastanti.
Non nascondiamoci nemmeno che lâapprovigionamento di energia è uno dei temi âcaldiâ per la politica. Ridurre la dipendenza europea dal petrolio arabo e dal gas russo sta diventando una priorità . Troppa è lâinfluenza sulla nostra economia e sul nostro stile di vita.
Ambiente e autosufficienza, lâEuropa sta quindi attivamente lavorando su entrambi i fronti.
Come ho sentito spesso ripetere, le agrobionergie non salveranno certo il Vecchio Continente e rappresenteranno probabilmente una misera percentuale rispetto a quellâobiettivo del 20% fissato or ora da Bruxelles.
Eolico e solare, oltre che nucleare, almeno per alcuni Paesi, sono in netto vantaggio. Il recupero sarà difficile.
Le agrobioenergie, insomma, non saranno forse strategiche per il futuro dellâEuropa ma lo possono essere per parte dellâagricoltura italiana.
Purtroppo si parte già col piede sbagliato.
LâUe ha deciso che i 45 euro ad ettaro di aiuto alla produzione per chi produce materia prima destinata alla filiera agronergetica verranno probabilmente ridotto, perché ne potranno beneficiare anche i nuovi Stati membri, che hanno superfici enormi da investire allâuopo, esportando quindi i loro oli vegetali o biomasse verso le centrali site in altre Nazioni Ue.
Una pazzia? Probabilmente sì, ma sono già molti gli imprenditori pronti a scommetterci.
Vi sono progetti per almeno due impianti, da circa 60 Mw ciascuno, siti in un territorio che non può garantire lâapprovigionamento di materia prima che per una di esse, ed anche a stento. Nessun problema, per gli imprenditori in questione, pronti a importare oli vegetali a buon mercato. Questo ammesso che non acquistino il più economico olio di palma dalle Nazioni in via di sviluppo.
Scaturiscono quindi, quasi spontanee, alcune domande.
Posto che esista unâeconomicità a importare olio di palma per produrre energia a prezzi concorrenziali con altre centrali ad agrobioenergie, che ne è dellâautosufficienza energetica, considerando che lâUe non è certo tra i maggiori produttori del suddetto olio vegetale?
Qualcuno si è preso la briga di eseguire un bilancio energetico complessivo di un sistema siffatto? Ovvero, lâenergia ottenuta è inferiore a quella utilizzata per produrla? Infatti i costi energetici per trasportare materie prime a centinaia, se non migliaia, di chilometri di distanza non sono trascurabili.
Occorre, ora che lâUnione europea ha accelerato sul fronte delle fonti rinnovabili arrivare a delle regole chiare e semplici in tempi brevi. Norme che tengano conto dei due obiettivi principali dettati da Bruxelles: autosufficienza e tutela ambientale, magari cercando anche di tutelare gli interessi di un settore, quello agricolo, che dovrebbe essere il punto di forza, il fulcro dellâintero sistema delle agrobioenergie.