La voce dei lettori
Il frantoiano del ventunesimo secolo alla ricerca di una identità
“Della professione di mastro oleario non c’è traccia nella nostra legislazione” si duole Giampaolo Sodano che lancia l'idea di un albo professionale. Ma siamo sicuri che sia la via giusta?
25 settembre 2010 | T N
Da tempo Teatro Naturale dedica attenzione e articoli ai frantoiani, ai loro problemi e alla loro evoluzione.
In riferimento all'ultimo articolo apparso su questa figura la scorsa settimana: âFrantoiani, duemila anni di storia e non sentirliâ link esterno, ci scrive Giampaolo Sodano, Vice Presidente Aifo.
Caro Grimelli,
negli scritti di Pico della Mirandola è centrale la figura dellâhomo faber come colui che cerca lâautonoma creatività . Una cultura che impronta il lavoro di molti âmastri oleariâ. Il loro ideale è il moderno artigiano che padroneggia tutte le fasi della creazione di un prodotto.
Ne âLâuomo artigianoâ il sociologo Richard Sennett propone, di fronte alla crisi del nostro tempo, il ritorno alla concretezza del fare. Partendo da una analisi delle diverse forme assunte dal capitalismo nel corso della sua evoluzione, rileva come il capitalismo attuale abbia portato allo sviluppo di un modo di lavorare senza tenere conto della qualità . E per quanto riguarda il settore dellâolio in particolare, e del cibo in generale, del valore della diversità e della tipicità .
Per chi scrive, e in generale per lâimprenditore artigiano, lâorgoglio di un lavoro ben fatto, può valere più di quanto rende.
Credo sia un codice etico. E lâetica deve essere intrinseca al prodotto alimentare e ai suoi processi.
Se ciò è vero in genere, oggi nel settore della produzione olearia è necessario. Per le ragioni che tu descrivi, per i cambiamenti profondi che sono avvenuti nel corso degli ultimi decenni. Câera una volta il contadino e il frantoiano. E spesso erano la stessa persona. Coltivava gli ulivi e faceva lâolio. Tutto iniziava nei mesi dellâinverno e finiva allâinizio della primavera. Si âmacinavanoâ le olive, si spremeva la pasta con le presse e si faceva così un olio il cui primo requisito non era certo la qualità . Poi il contadino tornava al suo lavoro dei campi e il âmolinoâ chiudeva per riaprire lâanno successivo. Lâolivicoltura era una coltivazione marginale e il frantoio svolgeva una funzione di servizio locale per lâagricoltore. Poi venne il tempo dellâolio di carta e il frantoio si trasformò in una agenzia per i contributi europei. Intanto, come sappiamo, lâindustria si adoperava per confezionare bottiglie mettendoci dentro grassi da semi oppure olio dalle sanse, o ancor meglio del pregevole extravergine spagnolo o nordafricano, ma pur sempre bottiglie made in italy per arraffare la sua quota di contributi europei.
Poi il mondo è cambiato.
Oggi il frantoio è unâimpresa artigiana, tecnologicamente avanzata, dotata del know how professionale del mastro oleario, che produce e commercializza, in Italia e sul mercato internazionale, il proprio prodotto, lâextravergine italiano.
Ma di questa nuova realtà imprenditoriale e della professione di mastro oleario non câè traccia nella nostra legislazione. E scelte coerenti tardano a manifestarsi. Tanto che si continua a credere che esista nel nostro Paese una industria di produzione olearia (sarebbe corretto parlare di industria di confezionamento) oppure si definisce produttore di olio colui che ha la proprietà di un oliveto che, come è noto, produce olive. Questo vuoto legislativo, come è sempre accaduto, penalizza gli onesti e favorisce i furbi: chi stampa etichette in cui non si legge chi è âlâautoreâ del prodotto e chi inventa corsi per diventare mastro oleario in una settimana.
Eâ tempo di scelte nuove e coraggiose.
Partiamo da che cosâè oggi il frantoio, e che funzione svolge.
- Eâ unâimpresa artigiana perché, con lâapporto dello specifico know how del mastro oleario, trasforma un frutto, lâoliva, creando un proprio, unico e irripetibile prodotto.
- Eâ unâimpresa culturale perchè assolve ad una funzione di informazione e formazione dei consumatori.
- Eâ unâimpresa del territorio perchè, attraverso la gestione del processo produttivo, garantisce lâorigine, la rintracciabilità e la qualità del prodotto.
- Eâ unâimpresa di marketing perchè, per la sua omogeneità e diffusione, costituisce un network di punti vendita.
- Eâ unâimpresa etica perché difende lâeconomia agricola locale, rende valore ad un prodotto tipico, garantisce la qualità del prodotto necessaria alla salute del cittadino.
Quindi il frantoio è unâimpresa artigiana di produzione, servizio e marketing
che assolve ad una funzione culturale e sociale.
E il frantoiano? Un professionista. Che per essere riconosciuto come tale ha diritto ad un titolo e ad un albo professionale. LâAIFO sta lavorando per raggiungere questi obbiettivi.
P.S. Ci sono poi i conto terzisti. Ma questa è unâaltra storia.
Gentilissimo Sodano,
nel dialogo costante che ho con il mondo dei frantoiani, che non si limita alla sfera giornalistica, quello che non manca di stupirmi è quel mix di innovazione e arretratezza che lo contraddistingue.
A più di trent'anni di distanza si vive ancora come un shock il passaggio dal sistema tradizionale al continuo, ancora quello viene considerato il punto di svolta del settore della trasformazione olearia, come se tutto, da allora, si fosse cristallizzato.
Non è così, lo sappiamo bene. Né dal punto di vista tecnologico né da quello economico, per non parlare di gestione, amministrazione e normativa molto è cambiato, si è rinnovato.
Il frantoiano da la sensazione di aver subito questa evoluzione, quasi che fosse passata sopra la sua testa e oggi definire la stessa figura del frantoiano è tutt'altro che facile.
La definizione data: âOggi il frantoio è unâimpresa artigiana, tecnologicamente avanzata, dotata del know how professionale del mastro oleario, che produce e commercializza, in Italia e sul mercato internazionale, il proprio prodotto, lâextravergine italiano.â è complessa ma non è esaustiva del mondo frantoiano, tanto che poi si dice âci sono poi i conto terzisti. Ma questa è unâaltra storia.â
Sono davvero un'altra storia? Non si possono più definire frantoiani?
Esiste poi la figura dell'olivicoltore-frantoiano, che torna alla ribalta, grazie agli impianti molitori di dimensione aziendale. Come considerarli?
Uno scenario piano di sfaccettature, anche complicato, da estrinsecare e delineare.
Un albo artigianale dei frantoiani, meglio non toccare la parola professionale che è appannaggio delle professioni intellettuali, non è richiesta irragionevole o immotivata ma richiede, a priori, un processo culturale che parta da una fondamentale domanda:
Chi è il frantoiano del ventunesimo secolo?
Delineati e condivisi i contorni del mastro oleario si può definirne gli ambiti di attività e le competenze, quindi studiare il percorso formativo (scolastico o extra scolastico?) necessario per iscriversi all'albo, senza considerare la necessità di individuare tempi e modi per inquadrare, nel nuovo contesto, l'attuale scenario che, come detto, è molto variegato.
Il punto di partenza, tuttavia, è rispondere alla semplice domanda: chi è il frantoiano del ventunesimo secolo?
Teatro Naturale verrebbe meno alla sua missione e alle sue origini se non offrissimo i nostri spazi per tale dibattito che è centrale per la maturazione e l'evoluzione dell'intero settore oleicolo italiano e proprio alla vigilia di una nuova campagna olearia è necessario guardare oltre.
Alberto Grimelli