La voce dei lettori
LA CRISI NEGLI AGRITURISMI
Ci scrive il giornalista Stefano Tesi intorno all'articolo di Francesca Racalmuto sulla crisi che ha coinvolto anche il turismo rurale
18 settembre 2004 | T N
Caro direttore,
oltre che un collega sono un affezionato lettore di Teatro Naturale. Ho appena finito di scorrere il pezzo di Francesca Racalmuto sulla crisi dell'agriturismo e ti confesso di esserne piuttosto deluso. Premetto che conosco bene l'argomento: come giornalista me ne occupo da tre lustri e con mia moglie gestisco una piccola attività ricettiva nel
Senese.
Mi sembra che la Racalmuto non abbia affatto centrato il problema. Vaticina come probabile e imminente una crisi che in realtà si è aperta nel 2002 e le cui avvisaglie erano avvertibili già nel 2001. Predica un ritorno al vero agriturismo e auspica la riconsegna dello stesso agli agricoltori, ma non dice in cosa consista l'uno e chi siano gli altri. Infine cita a sostegno dei suoi argomenti una serie di luoghi comuni vagamente moraleggianti e, come tali, assai poco utili sotto il profilo dell'analisi economica.
Cercherò di essere sintetico.
1) Non è vero che la domanda scende. Questo è quello che percepiscono i singoli operatori, quando nelle loro strutture registrano, come in effetti accade da qualche stagione, un tasso medio di occupazione in calo. In realtà la domanda globale di agriturismo è tuttora in crescita: in Toscana è stimata del 7% circa. Il problema però è che da anni anche l'offerta cresce e in percentuali enormemente superiori alla
domanda. Nella mia regione è raddoppiata in un triennio. Il risultato è che i turisti arrivano, ma si "spalmano" su un numero di aziende ormai così alto che il tasso di occupazione della singola struttura agrituristica ne soffre a tal punto da scendere, a
volte, sotto il minimo necessario per la sopravvivenza economica dell'impresa. Questo è esattamente quello che sta accadendo da un paio d'anni.
2) A questo fenomeno se ne lega un altro, diventato concausa della crisi. Per una serie complessa di ragioni - non ultima la regia delle categorie concorrenti che, con sapienti azioni di lobbing, sono piano piano riuscite a spingere l'agriturismo ad
assomigliare sempre di più (per adempimenti burocratici richiesti, canali commerciali utilizzati, sistema normativo vigente, etc.) alla tipologia del ricettivo alberghiero tradizionale - l'agriturismo ha perso la sua identità di nicchia ed è diventato un
"prodotto" turistico paraindustriale che, sullo scaffale virtuale del supermercato del turismo, è in concorrenza alla pari con altri prodotti di uguale natura: mare, montagna, bellezza, salute, etc.
Ciò ha portato la competizione non sul terreno dei "contenuti" (l'ospitalità rurale dovrebbe avere in teoria una "natura" e una filosofia legate ai valori e allo stile di vita della campagna) ma su quello dei puri prezzi: e già su questo piano l'agricoltore, per
la viscosità strutturale tipica del sistema agricolo, è perdente rispetto al commerciante. Ma soprattutto, questa rincorsa alla conquista del mercato generalista
ha indotto gli operatori agrituristici, come sotto un certo aspetto è comprensibile, a modulare la loro offerta in base appunto alle esigenze della domanda generalista: cioè mettendo a disposizione degli ospiti servizi e strutture costosi (grandi piscine, climatizzazioni, insonorizzazioni, progettazioni, tecnologia, impiantistica cpmplessa, insomma tutto un apparato paralberghiero) che per essere ammortizzati richiedono molti anni e flussi di entrate elevati e costanti. Da qui la necessità di alzare i prezzi e
quindi la perdita di competitività . Basta farsi due conti: cinque anni fa l'investimento minimo per realizzare un agriturismo di media qualità era di un terzo rispetto ad oggi.
3) Per l'effetto combinato di quanto detto sopra, negli ultimi anni l'agriturismo ha finito anche per veicolare di sè un'immagine sbagliata, creando premesse e aspettative tali da attirare la clientela sbagliata: quella cioè che, un po' superficialmente,
in agriturismo cerca un semplice servizio alberghiero di poco prezzo "spostato" in campagna anzichè al mare o in città . E che poi digerisce con difficoltà gli
atout/scomodità tipici della ruralità (dalla lontananza dai mezzi pubblici alle strade polverose, dalla presenza degli insetti al fango quando piove).
4) Alla fine, dunque, non è vero che la domanda cala. Sono le prenotazioni che calano. La domanda ci sarebbe ancora, ma è una domanda relativamente di nicchia, di cui gli operatori hanno perso le tracce. Le partecipazioni alle grandi fiere, le grandi campagne di promozione hanno avvicinato sì all'agriturismo una vastissima clientela, una clientela però che è rimasta occasionale e che in generale è poco adatta al
prodotto. Una volta gli ospiti si andava a "cercarli", snidandoli nei bacini di chi, per vocazione, era alla ricerca delle qualità intrinseche della vita in campagna. Oggi invece, in sostanza, si tenta di vendere a tutti un soggiorno rurale con i comfort
dell'hotel o del villaggio turistico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
5) Concludo con due parole sulla polemica, un po' da bar sport, a proposito di coloro che accederebbero a finanziamenti e contributi per il settore senza essere "veri" agricoltori. Mi sembra un argomento senza senso. C'è un'autorità che rilascia patenti di "vero agricoltore"? Non mi risulta. Sia chiaro: comprendo benissimo cosa si intenda con questa espressione e la condivido perfino sotto il profilo, diciamo così,
etico e filosofico. Ma in base alla legge è agricoltore chi conduce un fondo agricolo, ha una partita iva ed è in regola con le iscrizioni agli albi, gli elenchi delle cciaa, etc. Bisogna prenderne atto, questa è al realtà . E' sbagliato credere che chi accede a certe agevolazioni lo faccia grazie a un qualche tipo di "truffa" o compiacenza da parte delle istituzioni. La cosa è molto più semplice: la legge consente a certi soggetti di accedere a certe provvidenze e costoro, da buoni imprenditori, ne approfittano. Non ci vedo niente di male: il problema casomai è nel "manico". Dovrebbero essere viceversa i "veri agricoltori" a autorganizzarsi per tenersi stretta un'identità , poi ben spendibile anche sul mercato dell'agriturismo, che nessun neofita o
finanziere o imprenditore potrà mai sottrargli. Ma questo è un discorso che porta lontano.
6) Quali conclusioni trarre da quanto sopra? Semplice:
- l'agriturismo non può essere un'industria: se diventa industria cessa di essere agriturismo e quindi deve obbedire alle leggi della prima e non del secondo;
- la crisi era inevitabile e necessaria, vista la crescita abnorme del settore in pochi anni: la selezione sarà selettiva e dolorosa, ma salutare;
- lo "spirito" degli esordi dovrebbe essere utilizzato dai superstiti per riconquistare l'utenza perduta, quella del pubblico sensibile a certi valori e stili
di vita, rassegnandosi al fatto che tale mercato è di nicchia, quindi fatto di numeri "piccoli";
- chi invece sarà capace di fare il salto e di passare al settore alberghiero, potrà farlo senza rimpianti;
- in generale, l'agriturismo - inteso nel senso dell'ospitalità offerta da chi vive davvero (per radici, consapevolezza, scelte di vita) la realtà rurale - resta un'opportunità importante di procacciamento di un reddito, anche non necessariamente integrativo di quello derivante dall'attività agricola tradizionale: occorre però che esso vada difeso nei suoi principi fondamentali e
nella sua specificità .
Cordiali saluti,
Stefano Tesi
Capisco la delusione, è comprensibile; ma un articolo che intende essere provocatorio non può certo evitare di lasciare stupiti e persino perplessi.
Intorno alla crisi degli agriturismi avevamo già scritto suâTeatro Naturaleâ con altri toni. Ora ho accolto senza alcuna esitazione un pezzo intemperante - quello appunto della Racalmuto â proprio perché rimescola e agita le acque stagnanti. E sta bene così, i riscontri li abbiamo avuti. Le risposte non sono mancate, tra cui la tua, molto circostanziata peraltro, e quanto mai qualificata, proprio nellâintento di inquadrare la realtà quale oggi appare in tutta la sua evidenza, con tutte le contraddizioni, oltretutto, con le quali si presenta. Mi sembra per contro che le problematiche che coinvolgono il settore non vengano sufficientemente affrontate con la dovuta determinazione. Eâ necessario pertanto aprire un luogo di discussione. Va precisato intanto che lâarticolo della Racalmuto è da intendersi soprattutto, se non espressamente, in chiave di pura denuncia. Non si tratta di una panoramica esaustiva, perché le tante sfaccettature saranno affrontate con maggiori dettagli in seguito. La situazione prospettata non riguarda, come si è visto, il solo turismo rurale; e, dobbiamo ammetterlo, in generale le anomalie riportate rispondono purtroppo al vero. Câè chi abusa, non lo si può in alcun modo negare. Un poâ di moralizzazione certo non guasterebbe, con le dovute distinzioni sâintende.
Luigi Caricato