La voce dei lettori
Unaprol chiama Assitol. Ciascuno si schiera dietro i propri scudi
Ci scrive Giuseppe Del Console: sono tutti a posto con la loro coscienza i protagonisti del comparto oleario?
04 luglio 2009 | T N
Egregio Dott, Caricato,
Leggendo lâarticolo dal titolo: âPresente, passato e futuro dellâolio dâoliva italiano. Unaprol chiama Assitolâ mi sono sorti dei dubbi su cui chiedo lumi a Lei o ai partecipanti allâincontro stesso.
Appare evidente che i protagonisti di questâincontro si schierano soltanto dietro i propri scudi di appartenenza, ma sono tutti a posto con la loro coscienza?
Mi spiego meglio;
Il presidente Colavita, persona stimata nel settore a cui bisogna dar atto che la sua azienda rappresenta una grossa fetta di mercato negli U.S.A. e non solo, ha fatto inizialmente una provocazione fasulla, poiché sa benissimo che chi ha proposto il concetto dellâalta qualità non ha mai venduto una bottiglia di olio in vita sua nè allâestero nè in Italia, ma conosce bene le sue quantità di acquisto, sia di olio Italiano che estero con i relativi prezzi e sa molto bene che con una giusta miscela vende lâimmagine di azienda confezionatrice italiana e non di un prodotto italiano.
Allo stesso modo il Dott. Forcella che, per spirito di parte, vuole valorizzare il know how italiano, anche se nel suo cuore câè un progetto (EXTRISSIMO ITALANO), purtroppo dai suoi soci di spicco non accettato perché è più facile vendere ciò che il mercato chiede, al limite limando un poâ i prezzi, facendo attenzione a riacquistare ad un prezzo più basso, anziché proporsi con un prodotto che i consumatori neppure chiedono.
Ed è pure vero come dice Maccari che non sono le dop a rappresentare nel modo gli oli italiani ma i grandi marchi italiani. Proprio questo è lâequivoco. Sembra sia più valorizzante la sede fisica di uno stabilimento o peggio ancora lâindirizzo di una sede legale che lâorigine e la storia di un prodotto; se cosi non fosse crede che gli spagnoli avrebbero scucito lo stesso un bel poâ di soldi per acquisire la Carapelli?
Il comparto olivicolo italiano, non solo quello oleario, messo alla disperazione negli ultimi anni, egregio Dott. Maccari, vale più o meno di 400 persone?
Il Sig. Cremonini sostiene che gli spagnoli abbiano fatto dei miglioramenti qualitativi.
Eâ vero, accidenti se è vero, ma cosa ne dice (ad esempio) dei super intensivi di arbechina, abbastanza interessante fino ad una certo periodo dalla produzione, poi cosa mantiene basso il valore di analisi, soprattutto nei mesi caldi? Il deodorato.
Allo stesso modo parliamo di pigual in Andalusia con il sapore di provenienza, dove le deodorazioni sono un obbligo. Questo con il concetto di âonestà con noi stessiâ ha qualche riferimento?
Il Sig. Gargano continua a confondere i ruoli, ma è necessario chiarirli una volta per tutte.
Il comparto è così composto:
- olivicoltori (che con professionalità producono solo olive, non olio)
- frantoiani (che le frangono anche essi con la stessa professionalità e sono i veri detentori del prodotto)
- imbottigliatori (anchâessi con il grande bagaglio di professionalità , che per mestiere devono fare soldi da ciò che confezionano. Che sia olio italiano, spagnolo o tunisino che differenza fa!
Ed è anche chiaro che ci tengono allâitalianità perché è quella che nel mondo si vende, altrimenti farebbero i confezionatori in Cina, là risparmierebbero pure. Che poi ci sia una confusione fra un italianità di indirizzo ed un italianità di ciò che si confezione, che importa, anzi meglio, lâimportante e vendere!
- la GDO che vende tutto ciò che è vendibile da 1,90 a 18,00 Euro, dallâacqua oleosa senza profumi e sapori (a volte anche con qualche puzzina per fare diversità ) allâolio tipico con grandi profumi e sapori che parla di olive e di terra. Anche per loro lâimportante e vendere, quindi offerte su offerte. Se poi il prodotto si svilisce che importa. Dato che i consumi procapite non riescono ad aumentarli voglio provare se con un offerta sempre più bassa, e non qualitativa, i consumatori usano lâolio per lavarsi le parti intime, lâolio idrata, rende la pelle liscia.
- i consumatori, che hanno il compito di consumare quindi pagare, meglio se in offerta, ma in realtà non sono in grado di percepire le caratteristiche della vera qualità , non quella stabilita dai valori analitici di legge che ben sappiamo come si raggiungano.
Sig. Gargano, è se iniziasse a promuovere fra i consumatori, un poâ prima di parlare con in resto della filiera, il concetto dellâalta qualità ITALIANA quindi il progetto IOO%, se si facesse invitare nei programmi televisivi e spiegasse ai consumatori che un buon olio ITALIANO è un concentrato di sapori e profumi che vanno dal pomodoro al fieno dalla mela verde al carciofo dalla mandorla alla sapore netto di olive, che il piccante e lâamaro sono indici di genuinità e di qualità , difficilmente sofisticabile (invece di trovare nelle bottiglie olio piatto â deodorato - , o peggio ancora pipi di gatto). Quindi elevare fra i consumatori le aspettative del vero olio ITALIANO?
Chi fa trend è il consumo. Tutti si adeguano, non le pare?
Dott Caricato, non sarebbe meglio sedere tutti ad un tavolo in compagnia del Ministro ZAIA il quale dovrebbe dire: per il momento ho 10 milioni di euro da spendere in comunicazione sulla tipicità del vero OLIO ITALIANO (che insieme con quelli destinati allâUnaprol sono una bella sommetta): che famo?
Grazie, con stima e cordialità .
Giuseppe Del Console