La voce dei lettori

La severità della legislazione sul lavoro, cosa fare?

Ci scrive Marco Chiletti: è possibile avere risposte certe? Sono inoltre preoccupato anche delle possibili conseguenze di un eventuale infortunio...

19 luglio 2008 | T N

Spett. redazione,

sono un coltivatore diretto. La mia non è un’azienda agrituristica, ma semplicemente una piccola azienda agricola che conduco pressoché totalmente da solo. Negli ultimi anni, in seguito alle migliorie via via apportate, mi trovo a produrre un quantitativo di olive superiore alle mie singole forze. Per la prima volta ho provato ad assumere due braccianti per una decina di giorni, ma alla fine mi sono reso conto che si è trattato di una perdita economica netta. D’altronde trovo che sia un insulto alla fame lasciar cascare a terra tanto ben di Dio.

Parlavo di questo con una coppia di vecchi amici (e clienti di olio), nostri ospiti per Pasqua e, con mia grande sorpresa, si sono offerti con entusiasmo di venire per una settimana a darmi una mano in cambio di vitto, alloggio ed i loro soliti trenta litri annui. Li ho ringraziati, declinando con rincrescimento la generosa offerta, perché so quanto sia (giustamente) severa su questo punto la legislazione sul lavoro. Inoltre sono preoccupato anche delle possibili conseguenze di un eventuale infortunio, visto che proprio questo amico (un tassista), alcuni anni fa, nell’aiutarmi a caricare di legna la caldaia, si era slogato un polso; dopodiché non è stato in grado di guidare per parecchi giorni.

Ora, la lettura dell’articolo di Antonella Casilli sul n. 25 di TN del 28 u.s. “Come comportarsi con gli ospiti di un agriturismo, o di un'azienda agricola, intenzionati a entrare nel vivo dei lavori, prendendo parte in prima persona alle attività di campagna?” (link esterno), con la risposta del dott. dott. Romano, mi apre improvvisamente una nuova, inattesa prospettiva.

Torno a precisare che la mia azienda non è, nella maniera più assoluta, un agriturismo: i miei amici, occasionalmente ospiti, sono semplicemente “ospiti” e non “clienti”: non vi è cioè alcuna transazione economica fra di noi.

Se è dunque attendibile quanto affermato dal dott. Romano (cioè se non si tratta solo di un parere personale, per quanto autorevole, magari però poi controvertibile in sede giudiziaria), forse sono ancora in tempo per avvertire i miei amici affinché possano programmarsi le ferie per l’epoca della raccolta.

È possibile ottenere una risposta “certa” a questo mio problema?

Grazie.

Marco Chiletti
Calci (PI)



Cortese lettore,
le considerazioni del dottor Romano esplicitate nell'intervista, concessa alla sottoscritta, è bene ricordare sono frutto esclusivo del pensiero dell'autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'amministrazione. Resta poi l'autorevolezza del parere espresso perchè funzionari come il dottor Romano, in quanto membro del gruppo nazionale di esperti che risponde agli interpelli, concorrono a formulare pareri vincolanti.

Questa solo la premessa perchè in verità l'assunto del dottor Romano, inequivocabile nel significato, è stato da lei interpretato "ad usum delphini".

I suoi amici si sarebbero offerti di "dare una mano in cambio di vitto, alloggio e i soliti trenta litri l'anno".

Il requisito rappresentato dalle modalità della retribuzione ha perso valore. Quest'ultimo aspetto non va confuso con la sussistenza del requisito della onerosità della prestazione di lavoro subordinato.

Secondo l'orientamento prevalente in Giurisprudenza, l'elemento caratteristico del rapporto di lavoro subordinato è rappresentato dall'assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro, inteso come facoltà di quest'ultimo di ingerirsi nella esecuzione della prestazione lavorativa, determinandone le modalità di esecuzione.

In tal senso il dottor Romano aveva precisato che "il cliente deve rimanere libero di partecipare o meno ai servizi della struttura... le informazioni riferite all'attività svolta non devono integrare vere e proprie direttive..."

Antonella Casilli