La voce dei lettori

L'OLIVICOLTURA CHIAMATA A UNA SVOLTA

Ci scrive Luca Di Pierro: "La mia personale impressione è che i grossi imprenditori olivicoli si stiano già organizzando per affrontare il futuro del dopo integrazione mentre i "medi" e i "piccoli" olivicoltori stiano per lo più a guardare gli eventi"

24 novembre 2007 | T N

Caro Direttore,
ormai sono tante le voci che affermano che l'olivicoltura è chiamata ad una svolta.
Con la fine dei contributi per la produzione olearia (la cara e vecchia Integrazione) dal 2013 gli olivicoltori saranno costretti finalmente a porre gli occhi sul BILANCIO AZIENDALE senza affidarsi ad interventi esterni. Dato che il prezzo dell'olio non è un fattore controllabile dall'imprenditore, tutto sarà indirizzato alla riduzione dei costi.

Da tempo si sente parlare di impianti intensivi o superintensivi: sicuramente interessanti per quel che riguarda alcuni costi di gestione(raccolta e potatura in primis), ma che pongono altri problemi come l'inevitabile aumento del'utilizzo della chimica di sintesi (fertilizzazzioni massiccie e trattamenti fitosanitari più frequenti) e l'utilizzo di cultivar differenti da quelle autoctone (le famose Arbequina,Arbosana, e Koroneki).

Ma come la mettiamo, allora, con tutti i programmi di miglioramento dell'impatto ambientale in olivicoltura, per i quali tanti o forse TROPPI fondi Europei sono stati spesi?
E gli sforzi intrapresi per affermare l'importanza della tipicità del prodotto? Questi impianti, sarebbero per definizione fuori dalle DOP i cui disciplinari con grande solerzia descrivono sesti di impianto e cultivar specifici.

No, se i governanti non vorranno dire: "Bhè fino ad ora abbiamo scherzato" non credo che il superintensivo sarà il futuro dell'olivicoltura italiana (certo qualcuno seguirà questo sistema colturale e qualcuno già lo fa con un suo personale profitto).
Anche perchè fare il superintensivo senza che la base degli olivicoltori sia organizzata e compatta come invece accade in Spagna è abbastanza utopistico nonchè non risolutivo.

La mia personale impressione è che i grossi imprenditori olivicoli si stiano già organizzando per affrontare il futuro del dopo integrazione mentre i "medi" e i "piccoli" olivicoltori stiano per lo più a guardare gli eventi. Così facendo tra qualche anno i primi faranno incetta dei terreni dei secondi tornando cosi a una situazione quasi da "latifondo"(ammetto che forse il termine è un po eccessivo).

Che possa essere questo uno uno scenario positivo per l'olivicoltura italiana?
con questa riflessione che non so se poter definire pessimistica o meno le invio i miei più cordiali saluti
Luca Di Pierro